Che cosa significa credere?
Prima
conferenza del ciclo di incontri organizzati dall’ocds dei SS. Teresa e
Giuseppe di Napoli per l’Anno della Fede
La fede: una
definizione.
Papa Benedetto
XVI ha voluto dedicare l’anno liturgico 2013 alla fede. Certamente la fede è la virtù che caratterizza
ogni cristiano. Tutti noi battezzati abbiamo fede in Dio e per questo tentiamo
di comportarci di una certa maniera, cioè tentiamo di far coincidere la nostra
vita con quello che noi professiamo nella fede. Certamente la fede è la virtù principale
del cristiano attraverso la quale si crede in Dio e nella sua azione nel mondo,
nella storia e, soprattutto, personalmente nella nostra vita.
Possono
sorgere alcune domande la cui risposta è molto importante per la nostra vita
personale e spirituale. Personalmente penso che questa è l’intenzione che ha avuto
Benedetto XVI e ha offerto alla Chiesa. Come dice lui stesso: “Dall’inizio del
mio ministero come successore di Pietro, ho ricordato l’esigenza di riscoprire
il cammino della fede” (PF 2). Molte volte ci sono realtà che si tengono per
presupposte, si pensa che l’abbiamo e mai riflettiamo. Non so è come la salute
non ci rendiamo conto quanto importante è fino a che non l’abbiamo perso. Per
questo è necessario e doveroso fare una riflessione sulla fede.
Quando
ci mettiamo a riflettere sulla nostra fede sorgono varie domande: Che cosa è la
fede? Che significa credere? Che conseguenze ha nella mia vita? È sempre stata
uguale la fede? Come posso sapere se ho fede?
Queste
sono domande alle quali tenterò di rispondere in questa riflessione, ma
soprattutto spero di stimolarvi ad una
riflessione personale, una riflessione che aiuti ognuno di noi a riscoprire e
riflettere sulla propria fede. Forse
la prima affermazione che dovremmo fare è che la fede è un’adesione personale dell’uomo a Dio come risposta libera a
tutte le verità che Lui ci ha rivelato nel mondo e nella storia. In quanto
adesione personale a Dio e accoglienza alla verità che Lui ha rivelato, la fede
cristiana differisce della fede in una persona umana .
“Maledetto l'uomo che confida nell'uomo, e
pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuore dal Signore. Sarà
come un tamerisco nella steppa; non vedrà venire il bene, dimorerà in luoghi
aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere” (Ger
17,5-6);
“Beato l'uomo che ha posto la sua fiducia nel
Signore e non si volge verso chi segue gli idoli né verso chi segue la menzogna”
(Sal 40,5).
Essendo
un’adesione personale diventa un’opzione che dà senso alla vita e mette in
gioco tutte le facoltà della persona umana orientandola verso una finalità,
cioè la maturità umana, l’equilibrio psicologico e spirituale o, se vogliamo,
il compimento del piano che Dio ha su ognuno di noi.
LO SVILUPPO DELLA FEDE NELLA STORIA
Come l’uomo, la fede è una realtà viva che si
è sviluppata dall’inizio della rivelazione, ha raggiunto con Gesù la sua pienezza
e continua ad essere viva attraverso la storia dell’uomo.
Per questo
penso che la prima cosa che dovremmo fare è analizzare la rivelazione, il suo
sviluppo e dopo riflettere sul contenuto della fede.
Qual è
il testo il cui è raccolta la storia la rivelazione di Dio a gli uomini? La Bibbia. Cominciamo dall’Antico Testamento. In questo gruppo di
libri non troviamo un termine specifico come dopo succederà nel Nuovo
Testamento che usa il termine greco “pistis” (si legge: pistis) per
riferirsi alla fede. Nell’Antico
Testamento la fede, più che un termine, è un attitudine, cioè un’accoglienza
della Parola di Dio, una disposizione, l’accogliere quello che indica Dio.
Questa caratteristica si vede molto bene nella figura di Abramo e nei profeti.
Per l’Antico Testamento la fede si riflette nella vita, in quello che faccio
non in quello che penso.
CHE SIGNIFICA COMPORTARSI DA CREDENTE? LO SI VEDE
NELL’ANTICO TESTAMENTO: QUANDO DIO CERCA L’UOMO (E LO FA SEMPRE CON AMORE), L’UOMO RISPONDE CON
LIBERTÀ E RICONOSCENZA.
Per
l’Antico Testamento, Dio è il
protettore, il difensore del popolo d’Israele, dei più deboli del popolo:
il povero, la vedova e lo straniero. Ma la cosa che colpisce di più in questo
libro è la scelta libera e incondizionata
che Dio fa del suo popolo. Di solito nelle altre religioni è l’uomo che
cerca Dio, ma in questo caso è Dio che cerca e sceglie l’uomo e si rivela a
lui.
Questa
è anche l’esperienza di San Giovanni della Croce che ci dice: “Se l’uomo cerca Dio molto più lo cerca Dio
a lui” (Fiamma B 28). Dio non soltanto si rivela al popolo d’Israele, ma lo
protegge, gli parla, lo accompagna e gli svela il piano di salvezza. Tutto
gratuitamente, senza aspettare niente a cambio, soltanto la risposta dell’uomo,
la sua fedeltà, il rispetto per l’altro… quindi Dio vuole soltanto la maturità dell’uomo (lo vedremo molto più sviluppato
nel Nuovo Testamento).
Comprendere
la fede come una risposta dovuta a Dio è avere in mano la chiave che ci apre la
porta alla sua esperienza e ci mostra come la fede non è tanto qualche cosa
intellettuale piuttosto che una realtà esperienziale. Così la fede, come
risposta a Dio, come esperienza di un Dio vivo, non lontano ma vicino all’uomo,
è la virtù più importante di tutta la Bibbia, tanto nell’Antico come nel Nuovo
Testamento, e continua, viva, fino a noi.
IL PRIMO CREDENTE: ABRAMO
Forse
la figura della fede più importante che passa dall’Antico al Nuovo Testamento è
Abramo. Secondo leggiamo nella Bibbia, Abramo è modello di fede per ogni ebreo,
e poi anche per ogni cristiano, perché “egli
ebbe fede sperando contro ogni speranza” (Rom 4,18); ma anche viene usato
come figura di fede nei vangeli, nella Lettera agli Ebrei e nelle lettere di
San Pietro e in quelle di Giacomo.
La
storia di Abramo viene raccontata nel libro della Genesi a partire del capitolo
12 e si allunga fino al capitolo 25, dove si racconta la sua morte. Dio appare
nella vita e nella storia di Abramo all’improvviso, senza che lui meritasse
niente, ci dice la Genesi: “Il Signore
disse ad Abram: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo
padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti
benedirò” (Gen 12,1-2). L’entrata di Dio è “a sacco”, non c’è nessun
preambolo, niente unisce questa apparizione con i passi anteriori. E fa una
promessa che nessuno aspettava, ma certamente questa non poteva essere più
imprecisa. Dio chiede ad Abramo di abbandonare la sua casa, il suo popolo, i
suoi dei, le sue radici, per una promessa della quale non ha nessuna sicurezza.
Per un semita lasciare le radice è come morire.
Nella
logica non si può capire questa richiesta. Credere è compromettersi seriamente
con il progetto di Dio senza capire logicamente tutto. Lo stesso succederà
quando Gesù nel vangelo chiama i primi discepoli a convertirsi in pescatori di
uomini, non da sicurezze, no da spiegazioni, semplicemente c’è il fascino della
sua persona, il fascino di Dio. Abramo non aveva discendenza, aveva il suo
popolo, le sue radice e i suoi dei, ma lascia tutto confidando nella promessa
che Dio li ha fatto.
Abramo
accetta questa sfida che Dio li manda e parte della sua terra “Allora Abram partì, come gli aveva ordinato
il Signore” (Gen 12,4). Il cammino della fede per Abramo, come per ogni
cristiano, è molto difficile, e ci sono i momenti di difficoltà, o di notte
oscura, come li chiamerà San Giovanni della Croce. C’è un momento nel quale
Abramo tocca fondo quando dice a Dio: “Ecco,
a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede” (Gen 15,3);
ma la risposta di Dio è rassicurante: “Guarda
in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle”; e soggiunse: “Tale sarà la tua discendenza”. (Gen 15,5).
Abramo crede nella promessa di Dio, si fida di Lui, e alla fine Sara, sua
moglie, avrà un figlio (Gen 21,2).
Ma sua fede avrebbe potute essere una fede
egoistica, Dio sarebbe potuto diventare per lui un idolo e invece no: Abramo lo
ascolta e lo teme al punto da offrire suo figlio in sacrificio, senza chiedersi
perché. In Genesi 22,12, nel momento in cui Dio ferma la mano di Abramo dal
sacrificare Isacco, dice " Ora so
che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito".
Si
possono offrire al Signore anche sacrifici, per ottenere qualcosa, ma la vera
fede ci fa offrire quello che Dio ci chiede. Quella è idolatria questa è vera
fede.
Questa
fede di Abramo apre un grande progresso nella storia della salvezza. Passiamo dalla
disobbedienza e superbia di Adamo ed Eva all’obbedienza di un uomo. Dall’inimicizia
con Dio dell’uomo all’amicizia dell’uomo con Dio.
La vita
di fede d’Israele dipenderà della fedeltà all’alleanza che Dio ha fatto con
Abramo, e poi con Mosè e tutto il popolo. Lo stesso Dio manderà profeti per
ricordare questa alleanza, e il motivo di denuncia di questi sempre sarà
l’infedeltà d’Israele ad essa.
IL NUOVO TESTAMENTO
Arriviamo
così al, Nuovo Testamento, dove il concetto di fede rimane sostanzialmente lo
stesso, ossia una risposta dell’uomo a Dio che chiama. A partire di questo
momento non sarà il Dio impersonale, Yavhé, il cui nome non poteva essere
pronunciato, ma sarà Gesù, suo figlio: “Dio,
che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per
mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo
del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha
fatto anche il mondo” (Eb 1,1-2).
Nel Nuovo Testamento i concetti di fede e
credere appaiono con maggior frequenza, e soprattutto si usa il termine “pistis”; ma
soprattutto adesso la fede non è tanto essere fedele all’Alleanza di Dio, ma
credere nel suo inviato, ossia, in Gesù: “Padre
giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno
conosciuto che tu mi hai mandato”
(Gv 17,25). Questo è il cambiamento che chiede Gesù ai suoi ascoltatori. Se
prima si arrivava alla benedizione perché si era discendenza di Abramo, adesso
questa benedizione viene attraverso la fede in Gesù: “Ora io vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e
siederanno a mensa con Abramo,
Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli” (Mt 8,11).
Di che cosa ha bisogno l’uomo per credere?
Per
arrivare a questo nuovo atteggiamento si vuole la conversione, cioè, un
cambiamento radicale di mente e di cuore, un passare dall’Antico al Nuovo
Testamento. Purtroppo anche attualmente molti cristiani vivono credendo nel Dio
dell’Antico Testamento, o con un idolo per dio. Non si tratta di una
conversione etica, ma di una conversione teologica, di vita, di cambiamento
totale. La conversione e la fede sono due realtà che vanno insieme nella vita
del cristiano, qualche volta la fede entra in crisi per portare ad una nuova
conversione o ad una approfondimento di questa. Questo particolare lo vediamo
molto bene nella vita di Santa Teresa.
La fede
non è qualcosa che si acquista una volta per tutta la vita, questa come tutte
le cose umane è viva, cambiante, e si trasforma insieme con noi e con le nostre
circostanze. Uno su i può convertire in un momento della sua vita, ma poi, se
non cura questa fede, può lasciarla morire come il grano che cresce fra le
pietre o le spine, che spunta con forza ma poco dopo si secca (Mt 13,5-7).
Credere
è essere convinti che là dove finiscono le nostre forze iniziano le forze di
Dio, che quello che noi non possiamo fare lo farà Dio. Credere è fidarsi di Dio in tutto. Credere è confidare completamente
della persona di Gesù e del suo messaggio sapendo che Lui può tutto come ha
fatto Abramo, come dice Pietro nel vangelo di Giovanni (Gv 6,68).
Questa
fede ha una forza tale che non soltanto si possono fare dei miracoli ma si
possono spostare montagne ed alberi (Lc 17,6), non è che crei superuomini ma
lascia attuare Dio nella persona, perché per Dio non c’è niente d’impossibile.
Questo
è l’insegnamento che troviamo in tutti i mistici ma soprattutto nella prima donna
di fede e nella prima credente, Maria: “Ecco
la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola” (Lc 1,38) ed è
lei che canta “Grandi cose ha fatto in me
l’Onnipotente”(Lc 1,49).
Dio può
fare grandi cose in ogni credente e Santa Teresa di Gesù, soprattutto nel Cammino di Perfezione, vuole insegnarci
a lasciarci trasformare da Gesù, a dare tutto perché Lui ci dia tutto. Questo è
il punto centrale della vita del cristiano, del credente.
Ma che significa aver fede?
Fino
adesso abbiamo analizzato la fede nella rivelazione di Dio e ci siamo resi conto come la fede sia un esperienza umana,
un incontro personale con Dio e una risposta personale, fidarsi di Gesù,
sperimentare nella vita che Lui è Figlio di Dio… ma se noi chiediamo a
qualsiasi persona Hai fede? E che cosa significa la fede? penserà a qualche
cosa di intellettuale, da accettare in maniera incondizionata, come verità
rivelate, dogmi .
Quindi
attualmente la fede non è tanto considerata vita ed esperienza, come ci è stato
rivelato, quanto intellettualità e verità non comprensibili per la mente umana
da accettare incondizionatamente se si vuole essere cristiano.
Che è
successo perché si dia questo cambiamento? Perché oggi esiste questa immagine
distorta?
Come
abbiamo detto all’inizio di questa riflessione la fede, come la vita umana,
come la nostra società è qualche cosa viva, che cambia, si adatta alle diverse
circostanze…
Il grande intuito che ha avuto
il nostro Papa Benedetto XVI è proprio di farci riflettere sulla fede per
scoprirla nella sua verità, nella sua freschezza come centro di tutta la nostra
esperienza cristiana.
Come il pensiero ha
influenzato la nozione di fede.
Nei
primi secoli della Chiesa, come si vede molto bene negli Atti degli Apostoli e
nei primi scritti dei Santi Padri, per essere accettati fra i cristiani bastava
con confessare la divinità di Gesù che si sentiva nella vita, che ti
trasformava della tua vita passata. In parole di San Paolo potremmo dire che ti
faceva passare dell’uomo vecchio (peccatore) all’uomo nuovo (in Cristo). Questo
è stato così nei primi secoli di vita cristiana, ma a partire del III secolo
con l’estendersi della Chiesa, con la riflessione che fa di se stessa e dei
suoi misteri, cominciano a accedere i pensatori (filosofi) che traducono l’esperienza
in termini filosofici. Comincia a crearsi anche un linguaggio nuovo.
L’antropologia e i termini ebraici si cambiano in termini greci. La fede
annunziata attraverso il kerigma, dal greco “Kerux” (araldo), cioè primo
annuncio si comincia a dogmatizzare. Non tanto l’annuncio ma la riflessione.
Non tanto lo spirito ma la ragione.
La necessità di frenare le eresie
La
Chiesa comincia ad essere messa alle strette da alcuni modi di credere in Gesù
che non corrispondevano con la regola di fede. Già San Paolo parla di un altro
vangelo annunciato da altri apostoli (Gal 1,8). Una delle prime eresie nate è
quella del gnosticismo che sorge della filosofia greca e si stende rapidamente
per la Chiesa. Dire che Dio è buono e il mondo cattivo, quindi Dio non ha
creato il mondo. Questa eresia sorse presto nella Chiesa, forse proprio quando
si scriveva il vangelo di Giovanni, ossia, a fine I secolo.
A metà
del II secolo sorse il montanismo che difendeva una grande rigorismo. Nel III
secolo sorsero il monachismo, il docetismo, arianesimo… diverse eresie che
potevano deviare il cristiano dalla vera fede.
Quindi
la Chiesa si vide costretta a forgiare i termini che servivano, in un modo o in
un altro, a chiarire il Mistero che proclamava, a creare termini sempre più
tecnici ... Credere allora sembra dover essere edotti su certi argomenti
dell’ortodossia della Chiesa. Inizia la divisione fra esperienza e teologia.
Con il
Concilio di Nicea (325) si definisce la divinità di Gesù, si crea un simbolo
della fede, un credo, che deve essere accettato da tutti; e allo stesso tempo da
diversi canoni o decisioni che dovevano essere accettate. Per sapere se uno era
cristiano ortodosso doveva accettare alcuni termini teologici e negare gli
altri. I primi concili ecumenici creano altre tappe per combattere le eresie e
gli errori, e cominciano a stabilire i dogmi che definiscono la vera fede
arricchendo il Simbolo apostolico.
Nel
Concilio di Costantinopoli I (381) si definisce la divinità dello Spirito
Santo, nel Concilio di Efeso (432) si definisce la divina Maternità di Maria,
il Concilio di Calcedonia (451) definisce la doppia natura di Gesù, cioè vero
Dio e vero uomo. Pian piano i diversi concili della Chiesa sono andati
definendo maggiormente le varie verità della Chiesa, attraverso la confutazione
delle diverse eresie e l’approfondimento che portava le varie dispute
teologiche.
Siamo
arrivati così ad un sistema teologico di pensiero con un grande sviluppo nel Medioevo e un grande
influsso nella Chiesa: la filosofia o teologia Scolastica. Il suo nome proviene
dal greco “scholastikos (cioè che viene educato nella scuola), e si
tentava di conciliare la fede cristiana con il sistema di pensiero razionale,
specialmente la filosofia greca. Lo sviluppo di questa teologia coincide con lo
sviluppo del potere della Chiesa, quando dopo l’anno mille e la nascita degli
stati e dell’Europa cristiana, fede e potere civile si uniscono arrivando a
eliminare le persone che non accettavano la fede cattolica. È il periodo in cui
nasce l’Inquisizione.
Arriviamo
alla fine del Medioevo allo sviluppo dell’uomo, del pensiero filosofico e ad
una certa libertà di pensiero che porterà allo sviluppo della dottrina protestante,
in realtà una lotta politica per il potere politico e la libertà della Chiesa.
Lutero difenderà una libertà spirituale e di pensiero, una libertà di
interpretazione della Scrittura. La sua dottrina sarà più carismatica,
ammettendo, sotto l’influsso della dottrina di San Paolo, la sola fede come
causa di salvezza, negando l’infallibilità del Papa e il controllo dogmatico.
Questo provocherà la reazione cattolica con la Controriforma e il Concilio di
Trento (1545-1563).
Per
lottare contro la dottrina carismatica di Lutero, Trento stabilirà diversi
dogmi che devono essere accettati, fomenterà la redazioni di diversi catechismi
che riassumeranno la fede cattolica in verità concrete che devono essere
imparate. In questo clima si crea un immagine di un Dio monarca assoluto, che
non lascia libertà, che controlla tutto, soprattutto la morale, che sa tutto, contro
il quale non si può fare niente. Un Dio che non ha niente a che fare con il Dio
rivelato da Gesù nel Vangelo. Questa sarà la causa della defezione di molte
persone della Chiesa Cattolica.
Con il
razionalismo del ‘700 e con la Rivoluzione Francese del 1789 comincerà a
cambiare l’ambiente del pensiero. Ormai la verità non si trova in Dio e nella
Chiesa, l’uomo può pensare liberamente, ognuno può pensare quello che vuole,
inizia a darsi la libertà di espressione. Anche se il Concilio Vaticano I (1869
- 1870 ) afferma il dogma dell’infallibilità papale apre un dibattito su fede e
ragione, la società sembra essersi allontanata dalla Chiesa.
Soltanto
con la celebrazione del Concilio Vaticano II (1962-1965) la Chiesa farà una
riflessione su se stessa. E molto rilevante che è l’unico Concilio che non ha
dato dogmi nuovi, ma si è dedicato a riflettere sulla Chiesa, la sua funzione,
sul mondo, sulla fede… è stato un concilio pastorale e spirituale Un grosso
cambiamento rispetto alle idee precedenti. Ha voluto far scoprire nuovamente
che la fede è una esperienza e non un dogma.
Karl Rahner, gesuita e teologo tedesco, cattolico, fra i protagonisti del rinnovamento della Chiesa e del Vaticano II. |
Forse
si è reso conto della grande l’intuizione che ha avuto Karl Rahner negli anni
60 quando disse “Il cristiano del futuro
o sarà un mistico o non ci sarà”. Questo vuol dire che il cristiano del XXI
secolo sarà una persona che esperimenta Dio nella sua vita. Adesso il cristiano
ha meno appoggi esterni così per continuare ad essere cristiano deve sviluppare
una fede salda, una convinzione forte in quello che crede, una spiritualità
robusta che possa mantenerlo in piedi di fronte a tutte le difficoltà,
solitudini, scoraggiamento che possa avere.
Questa
è la sfida che ci ha lanciato il Concilio Vaticano II.
Benedetto XVI vuole che noi riflettiamo in
quest’Anno della Fede proprio su questo:il cristiano del XXI secolo non può
basare la sua fede esclusivamente sui dogmi, in verità riflettute e accettate
da secoli senza discutere, attualmente la Chiesa è carismatica e il cristiano
un uomo dello Spirito per questo deve essere carismatico, mistagogico, andare
con Gesù e vedere (Gv 1,39). Non defraudiamo l’invito del Papa ne l'invito che ci rivolge Dio, un Padre che
aspetta molto da noi.
conferenza di P. Arturo Beltràn ocd
26 marzo 2013 Napoli
Chiesa SS. Teresa e Giuseppe
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