LA
MISERICORDIA DI DIO
NELLA VITA DI S. TERESA DI GESU’
Conferenza di p.
Vincenzo Caiffa, OCD
del 28 febbraio
2010
Il tema che sono
stato invitato a svolgere è il Messaggio contenuto nel “ Libro della Vita” di Santa Teresa di Gesù.
In una lettera
scritta a Don Pedro Castro, del 19 novembre 1581 quasi al termine della sua vita,
la Santa, parlando del suo libro, dice:“ Com’è grande la misericordia di Dio! Ecco
che il racconto delle mie infedeltà ha spinto al bene Vostra Grazia! E ciò non
è senza motivo, per avermi lei vista libera dall’inferno da me tante volte
meritato. Per questo ho intitolato il libro le misericordie di Dio. Sia per
sempre benedetto”. In questa luce scopriremo che tutto il libro è un
messaggio.
Teresa di Gesù ci accoglie con il suo sorriso e la sua luce. È lei
che ci parla, è lei che soavemente ci spiega il Tutto della vita: Dio.
Ella ci parla di Dio e quindi di se stessa, di noi, del mondo, di tutto. Dio è
il suo tutto e il nostro, se lo accogliamo, se lo lasciamo fare quello che
vuole. Inoltre come ogni buon mistico, Teresa di Gesù, è donna di autenticità,
ben radicata nel reale e nel sostanziale, sobria nella propria vita spirituale
infatti così si esprime: “ Il Signore ci liberi da devozioni alla
sciocca” (V 13,16). Ecco quello che Teresa ci vuole dire: Dio è la
prima parola della vita, della storia, sua e nostra. Dio è il suo e nostro
dramma. Dio è la sua soluzione. Teresa di Gesù, quale maestra di vita
spirituale, ci aiuta a realizzare il nostro compito come credenti. Ossia, per
esprimerci con le sue stesse parole, ci spiega autorevolmente “quali
dobbiamo essere” per vivere con responsabilità la nostra vocazione
cristiana.
Teresa non ha altra prospettiva che quella della sua fede cristiana,
illuminata e approfondita dalla propria ricca esperienza mistica. Essere
cristiano significa per lei semplicemente e chiaramente vivere in pienezza la
nostra relazione costitutiva con Dio. Teresa centra il suo interesse sull’uomo
cogliendolo nel suo processo verso la propria piena realizzazione e lo
contempla nella prospettiva di Dio, perchè Dio è la parola che illumina l’uomo.
Il Dio di Teresa è il Dio biblico, presenza operante di salvezza: Dio come
grazia. Ed è presenza ininterrotta, che agisce sempre con o contro l’uomo;
comunque lo precede sempre. È un Dio desideroso di trovare chi voglia
riceverlo, perché necessitato, bisognoso di dare. Dio si rivela operando
salvezza. Teresa, conosce Dio attraverso ciò che Egli compie in lei. La
modalità con cui Dio si dona e agisce è del tutto secondaria; mentre e
assolutamente importante ed essenziale che Dio, donandosi, ricrea l’uomo e lo
renda capace del dono-risposta. Dio si da a tutti senza distinzione e si da
come Dio, senza misura. Egli, dice la santa: “ama molto che non si pongano
limiti alle sue opere”.
Tale visione di Dio incide indubbiamente nella
vita spirituale dell’uomo, intesa appunto come risposta. Anzi la determina e la
caratterizza in un duplice senso: anzitutto porta la persona a situarsi davanti
a Lui in atteggiamento recettivo, di povertà, “poiché tutto quello che
possediamo l’abbiamo ricevuto da Lui”. Noi glorifichiamo Dio
accogliendo quanto Lui ci dona, permettendogli di donare. In secondo luogo
perché questa visione di Dio ci colloca subito davanti all’essenza della
vocazione cristiana, che consiste nel rispondere personalmente a Lui con
assoluta gratuità. “Perché sia vero e l’amicizia duratura occorre parità di condizioni” (V
8,5). Nei confronti di un Dio che si da, l’uomo non può rispondere sostituendo
il dono di se stesso con altre cose, fosse pure l’esercizio di certe
pratiche. Non si accoglie Dio se non
dando se stessi stabilendo una relazione interpersonale di accoglienza e di
dono-risposta. È questo il contenuto dell’idea teresiana: accoglienza di Dio e
offerta di sé a livelli sempre più profondi e intimi. In tal modo le relazioni
interpersonali crescono in interiorità. Senza una simile visione di Dio non è
possibile un progetto di vita cristiana perché si rimarrebbe ciechi su se
stessi.
Occorre però andare oltre. La scoperta di un Dio che dà, che si dà, e
comunica grazia agisce sull’uomo con una provocazione di fedeltà. Quanto più
siamo consapevoli di ricevere tutto da Dio, tanto più siamo sollecitati a fare
della nostra vita un dono gratuito. Teresa lo afferma nel libro della sua vita:
“Amore
chiama amore” (v 22,14). Ossia l’amore passivo, che io ricevo, genera
l’amore attivo con cui rispondo. Il sapersi amati da Dio suscita potenziali di
fedeltà che, altrimenti, rimarrebbero eternamente sopiti. Occorre tener
presente il vertice spirituale in cui Teresa si trova quando riceve il comando
di prendere in mano la penna per scrivere ciò che Dio ha compiuto in lei e
spiegare come si è andata intessendo il suo rapporto con Lui. In questa fase
del suo percorso spirituale ella è ormai pienamente soggiogata da Dio. Teresa è
il risultato di quanto Dio è andato e va operando in lei giorno dopo giorno.
Tutto il resto non esiste più, perché Teresa non lo vive. Dio è il tutto per
lei. Se per Teresa è giunto il momento di sperimentare l’azione di Dio e la
capacità ti poterla esprimere è perché alle sue spalle sta un percorso, lungo
quanto la vita in cui Dio è andato operando in lei una salvezza. Scrive la
storia di grazie con cui Dio ha accompagnato i suoi passi nel cammino della
vita. Teresa sa da sempre, che l’uomo è chiamato ad essere buono, a realizzare
quella perfezione per cui si nasce. È questo il filo con cui andrà intrecciando
con spontanea semplicità i piccoli e i grandi avvenimenti della sua vita.
La
narrazione di Teresa, sfocia subito sull’altro estremo, Dio, che apre all’uomo
la strada per essere buono. Ciò spiega radicalmente il caso teresiano: “ Per
essere buona mi sarebbe bastato… di essere stata da Lui tanto favorita” (V
1,1). Il Dio che la favorisce è subito al centro della sua narrazione perché,
con sguardo retrospettivo, lo trova già al centro della sua vita. La sua è la
nostra vita sono piene della presenza di Qualcuno che la va costruendo. Solo se
ci sottomettiamo amorosamente, in attività passiva, a Lui, ci sarà possibile
portare a pieno compimento la nostra vocazione umana. Dio è la sostanza e la
radice, il centro del nostro essere e della nostra storia. Accettarlo è già
cominciare ad essere. Teresa lo afferma, dando testimonianza della sua vita nei
primi dieci capitoli del “libro della Vita”dove parla dei suoi peccati, di
fronte ai quali non mette né sé stessa né noi in contemplazione della sua
miseria, bensì esprime una confessione che va considerata, ricordando sempre che
vi è in lei una presenza, da lei stessa avvertita: la presenza del Signore.
Egli è anzitutto e principalmente la Presenza che si offre a Teresa già prima
di iniziare la propria strada e che l’accompagna in tutte le tappe del cammino,
fino a coronare il traguardo con una pienezza di dominio salvifico. Dio è la
parola di Teresa, percepita più e ancora meglio che pronunciata.
È il racconto
di una peccatrice che si sente cercata da Dio, ed avverte la crescente
necessità di gridare la Verità.
La sua esperienza di adolescente, di giovane, di giovane religiosa, è tutta permeata dalla consapevolezza di sentirsi povera, peccatrice, miserabile ma creata dal Signore. E proprio la consapevolezza di essere cercata da Lui la rende capace di afferrare tutta la profondità della sua miseria, di ciò che lei chiama i suoi peccati, scrive. Scrive: “O mio Signore e mio Bene, non è senza lacrime e grande gioia della mia anima che io ricordo questa cosa! Possibile, Signore, che amiate tanto di starvene con noi?... E’ mai possibile, Signore, che un’anima, dopo aver ricevuto così grandi gioie e favori, e compreso che voi vi deliziate con lei, torni ancora ad offendervi e dimenticare tante grazie e così grandi prove di amore di cui non può dubitare per vederne chiaramente in se stessa le opere? Purtroppo si, o Signore! Io sono quest’anima, io che vi ho offeso, e non solo una volta ma molte. Piaccia alla vostra Bontà che sia soltanto io la sconoscente, io sola che sia caduta in così mostruosa ingratitudine e malvagità! Da ciò la vostra infinita clemenza ha già ricavato del bene, perché dove più grande è la miseria, più risplendono i benefici delle vostre misericordie. Oh, le vostre misericordie, con quanta ragione io dovrei sempre cantarle! Signore datemi di poterle cantare in eterno, giacché vi siete compiaciuto di prodigarmele con tanta munificenza da meravigliare tutti coloro che lo vedono… Senza di voi o mio Bene, io non posso fare altro che sradicare di nuovo i fiori del mio giardino, e ricondurre questa mia terra miserabile allo stato di un letamaio come prima. Ma non permettetelo Signore. Non permettete che vada perduta quest’anima che, redenta un giorno con tanti vostri dolori, avete poi riscattata tante altre volte e strappata di bocca al dragone infernale” (V 14,10).
La sua esperienza di adolescente, di giovane, di giovane religiosa, è tutta permeata dalla consapevolezza di sentirsi povera, peccatrice, miserabile ma creata dal Signore. E proprio la consapevolezza di essere cercata da Lui la rende capace di afferrare tutta la profondità della sua miseria, di ciò che lei chiama i suoi peccati, scrive. Scrive: “O mio Signore e mio Bene, non è senza lacrime e grande gioia della mia anima che io ricordo questa cosa! Possibile, Signore, che amiate tanto di starvene con noi?... E’ mai possibile, Signore, che un’anima, dopo aver ricevuto così grandi gioie e favori, e compreso che voi vi deliziate con lei, torni ancora ad offendervi e dimenticare tante grazie e così grandi prove di amore di cui non può dubitare per vederne chiaramente in se stessa le opere? Purtroppo si, o Signore! Io sono quest’anima, io che vi ho offeso, e non solo una volta ma molte. Piaccia alla vostra Bontà che sia soltanto io la sconoscente, io sola che sia caduta in così mostruosa ingratitudine e malvagità! Da ciò la vostra infinita clemenza ha già ricavato del bene, perché dove più grande è la miseria, più risplendono i benefici delle vostre misericordie. Oh, le vostre misericordie, con quanta ragione io dovrei sempre cantarle! Signore datemi di poterle cantare in eterno, giacché vi siete compiaciuto di prodigarmele con tanta munificenza da meravigliare tutti coloro che lo vedono… Senza di voi o mio Bene, io non posso fare altro che sradicare di nuovo i fiori del mio giardino, e ricondurre questa mia terra miserabile allo stato di un letamaio come prima. Ma non permettetelo Signore. Non permettete che vada perduta quest’anima che, redenta un giorno con tanti vostri dolori, avete poi riscattata tante altre volte e strappata di bocca al dragone infernale” (V 14,10).
Per Teresa guardare i propri peccati in tale prospettiva significa
guardare il Signore. La seconda parte della vita, che va dal capitolo 23 sino
alla fine è quella in cui la Santa parla delle misericordie di Dio. E’
importante sottolineare che, all’inizio del capitolo 23, Teresa scrive “da
qui innanzi sarà un libro nuovo, voglio dire una vita nuova, perché quella che
finora ho descritta era la mia, questa che ho vissuto da quando ho incominciato
a parlare di orazione, è Dio che vive in me” (V 23,1).
Abbiamo dunque
un binomio: la storia dei suoi peccati, che è la sua vita, e la storia delle
misericordie del Signore. Anche in questa prospettiva il dilagare di Dio nella
sua esistenza viene raccontato dalla Santa, a livello esperienziale e ci mostra
una creatura continuamente macerata dalla consapevolezza della gratuità dei
doni di Dio e della propria indegnità di peccatrice: il Signore la invade e
mentre trasforma la peccatrice in amica, la lascia nella sua radicale povertà,
perchè abbia a risplendere la sua misericordia. “ Signore badate bene a quel che
fate! Non dimenticatevi così presto dei miei gravissimi peccati! Se li avete
dimenticati per darmene il perdono ricordatevene almeno ora per porre un limite
alle vostre grazie! O mio Signore non versate liquore cosi prezioso entro un
vaso tanto guasto, avendo già veduto altre volte come io l’abbia sciupato”
(V 18,4).
Teresa introduce nella scena della sua vita Colui che diverrà progressivamente
il protagonista gigantesco della sua vita. Per lei l’unico fatto importante è
Dio. Anzi, Egli è già presente quando Teresa prende coscienza di se: “Voi
Signore non avete tralasciato nulla per rendermi subito tutta vostra” (V
1,8). Dio le si fa presente come colui che si dona a lei perché lei si dia a
Lui: Dio donandosi, rende possibile il contraccambio, affinché la persona umana
possa cosi realizzare la propria vocazione. Sono queste le coordinate che
spiegano la vita di Teresa e che acquisteranno col tempo una consistenza sempre
più vigorosa e un profilo più nitido. La rivelazione di Dio comporta ed è
rivelazione del destino personale; nello stesso tempo è dono e forza per una
risposta personale e generosa. Dio si manifesta nell’intimo come amore che si
traduce in risposta, anzi, prima ancora, in capacità di risposta: Dio si rivela
operando una viva comunicazione di se. Scrive: “Tanto presto, Signore, avete
cominciato ad attirarmi e a chiamarmi affinché tutta mi occupassi di Voi! (E 4) “ Vidi chiaramente quanto Dio
aveva fatto e i mezzi efficacissimi da Lui adoperati per attirarmi a se fin
dall’infanzia... Mi rappresentò l’eccessivo amore che ha per noi tanto da
perdonarci ogni volta che torniamo a Lui” (R 16).
Questo eccessivo
amore che Dio ha per Teresa è entrato nella sua vita senza che ella lo
chiamasse, con intensità e forza per attirarla sé, per provocare una sua
risposta totalitaria all’amicizia che Egli gli offriva. Dunque, Dio si dà
perché Teresa si dia a Lui. Teresa vuole mettere in evidenza, come contrasto,
il suo assurdo e ingiustificabile comportamento, soprattutto dopo la precoce e
forte irruzione di Dio nella sua esistenza. Dio è entrato come una folgore,
riversando in lei tutto il suo amore, senza nulla tralasciare. Ma non si è imposto
con violenza, e la giovane Teresa è sempre libera di arrendersi o meno alla
forte pressione divina. Il motivo e semplice.
In Teresa di Gesù domina una sola
idea: mostrare l’opera salvifica ininterrotta di Dio su di lei: “
come si dimostrava vero che Voi mi amavate assai più di quanto mi amassi io” (V 32,5).
Ricorre all'argomento dei suoi peccati per dimostrare con maggiore forza di
persuasione la misericordia di Dio. Il testo forse più vibrante, e persino più
scandaloso a questo proposito, è la rievocazione della sua professione
religiosa: “… Dopo tante vicende la vostra mano misericordiosa e potente mi ha
condotta in questo stato così sicuro … Feci la mia professione con grande gioia
e fervore, ero divenuta vostra sposa, mio Dio! … Ma ricordandomi di quanto ebbi
poi ad offendervi, non ho coraggio di continuare: sento che non sarebbe troppo,
se dal dolore mi si spezzasse il cuore, o piangessi a lacrime di sangue.
Giacché dovevo così malamente abusarne – e ne abusai difatti per quasi
vent’anni – mi sembra di aver avuto ragione a non volere una sì grande dignità.
Intanto Voi permettete di essere sempre l’offeso affinché io mi potessi un
giorno migliorare. Eppure io, o Signore, pareva che io facessi promessa di non
mantenere mai nulla di ciò che promettevo, benché tale non fosse la mia
intenzione. Pensando a quello che allora facevo, non so neppure che intenzioni
avessi! Si veda da questo chi siete Voi, o mio Sposo, e chi sono io. Provo
tanta gioia che le mie infedeltà fanno meglio conoscere la vostra misericordia,
e che mi sento mitigare il dolore delle gravi offese che vi ho fatte. E in chi,
o Signore, può meglio risplendere la vostra misericordia se non in me che con
le mie opere cattive ho profanato tane volte le grandi grazie che avete
cominciato a farmi? ” (V 4,3-4); perciò la Santa chiede ai confessori,
nel leggere la sua autobiografia: “Per amor di Dio di non togliere nulla per
quanto riguarda (i suoi peccati). Cosi si vedrà meglio la grande bontà del
Signore e la pazienza con cui sopporta le anime” (V 5,11).
Il resoconto
dei suoi peccati e miserie, che vorrebbe fare dettagliatamente, entra in pieno
nella tesi che si propone di dimostrare con l’argomento incontrovertibile della
propria vita: “Il motivo per cui tanto insisto su questo punto... è far conoscere la
misericordia di Dio” (V 8,4). È
questo l’argomento dei suoi scritti, è la luce che le abbaglia gli occhi: “
innanzi alla grande bontà di Dio, l’anima mia andava spesso presa
d’ammirazione, compiacendosi nel considerare la sua magnificenza e misericordia”
(V 4,10). Si propone di presentare il Dio che le è stato vicino giorno dopo
giorno, riversando su di lei un eccesso di bontà, e di proclamare la presenza
amorosa sempre più viva, che l’avvolge con una forza travolgente, proprio
quando ella si dibatte per sfuggire all’assedio, alla persecuzione divina, come
in lotta aperta contro di lei: “Continuavo sempre a commettere peccati,
distruggendo le grazie che mi avete fatto …” (V 19,6).
Teresa non solo
non asseconda l’azione di Dio, ma cerca di contrastarla, di disfare ciò che Dio
opera in lei. Eppure Dio opera malgrado, contro Teresa: “Quanto gli dovevo per le molte
grazie che mi aveva fatto proprio allorché lo offendevo maggiormente”
(V38,16). Le cattiverie di Teresa non bloccano l’azione divina, ma la mettono
piuttosto in rilievo: Dio non opera perché l’uomo l’accoglie, perché è buono;
opera per quanto Egli è per fedeltà a se stesso e non si lascia condizionare
dell’essere colui che opera. Bisogna insistere su questo aspetto: la
persistenza, la tenacia salvifica, la resistenza divina a non arrendersi
all'azione distruttrice di Teresa, lo porta ad assediarla più fortemente,
moltiplicandosi in misericordia. “Come potrei esaltare i favori che in quegli
anni mi avete fatto? … Si castigavate i miei peccati con l’abbondanza dei
vostri doni” (V 7,19).
Chi è, dunque, Dio? E’ Colui che s’inviscera in lei, s’immerge
nel flusso della sua vita, conducendola attraverso sentieri di misericordia,
nonostante opposizioni e resistenze. Dio “nasconde” imperfezioni e peccati, né
“
indora” le colpe (V 4,10), né “migliora e perfeziona” le opere e “ fa
risplendere come mia una virtù che Egli stesso mette in me”. Dio è li,
presente, non a spiare i peccati ma a dorarli; si accontenta delle sue
buone disposizioni facendo risplendere le virtù che “Egli stesso mette in lei, quasi
costringendola a tenerle” (V 4,10).
Dio le sta continuamente attorno, “adoperando
tutti i mezzi per trovare il modo di ricondurla a se” (V 2,8), per
chiudere aperture facili e compiacimenti che portano il mondo il lei e lei nel
mondo e che le causano una tale emorragia spirituale da condurla infine “all’inferno,
se il Signore non l’avesse soccorsa con l’abbondanza dei suoi aiuti e delle sue
grazie particolari” (V 7,3).
Dio l’aspetta nell’insensato tentativo di
vivere lontana da Lui: “Mi ha tanto aspettata” ( Prol.). Per
Dio, però, si tratta di un’attesa, attiva, dinamica. Scrive: “Con
quanta pazienza sopportate la condizione (della creatura), aspettando che si
conformi alla vostra!” (V 8,5). “Abbiamo fiducia nella bontà di Dio, che è
più grande di tutto il male che possiamo fare … e dimentica tutte le nostre
ingratitudini … come ha fatto con me: mi sono stancata prima io a offenderlo
che non Lui a perdonarmi. Egli non si stanca mai di donare, né le sue
misericordie possono esaurirsi: non stanchiamoci noi di riceverle! … (V
19,15).
Il Risorto (dipinto di p. Vincenzo Caiffa) |
“Ringrazio senza fine la misericordia di Dio, perché solo Lui mi
stendeva la mano” (V 7,22). “ Ormai la mia anima si sentiva stanca e
voleva riposare, ma le sue perverse abitudini glielo impedivano. Entrando un
giorno in oratorio, i miei occhi caddero su una statua che vi era stata messa,
in attesa di una solennità che si doveva celebrare in monastero … Raffigurava
nostro Signore coperto di piaghe, tanto devota che nel vederla mi sentii tutta
commuovere perché rappresentava al vivo quanto Egli aveva sofferto per noi:
ebbi tal dolore al pensiero dell’ingratitudine con cui rispondevo a quelle
piaghe, che parve mi si spezzasse il cuore. Mi gettai ai suoi piedi in un
profluvio di lacrime, supplicandolo a darmi forza per non offenderlo più”
( V 9,1). “ Mi pare che gli dicessi che non mi sarei alzata dai suoi piedi, de
non mi avesse concesso quello di cui lo pregavo. Certamente Egli mi deve avere
ascoltata, perché d’allora in poi mi andai molto migliorando” (V 9,2).
Dio a finalmente la meglio: Teresa si arrende, convinta ormai di non poter “trovare
amico migliore” (2M 1,4). Il Signore ha lottato per aprirsi un varco
nel suo cuore, per guadagnarsela come amica, mettendo in gioco tutte le inventive
dell’amore, forzando la volontà della sua creatura. Da questo momento Dio passa
in primo piano: E’ Lui ad agire e fortificare, a portare a compimento l’opera
che è andato realizzando con un amore così evidente. A convertire Teresa è
stato Dio, che d’ora in poi, sarà il vero Protagonista della sua vita, tanto
che a lei non resterà altro che ripetere: “E’ Dio che fa tutto”.
Teresa ha
saputo credere all’amore di Dio e sperarne il definitivo trionfo, mantenendosi
coraggiosamente nell’orazione, tenendo aperta la porta della speranza in Colui
che voleva entrare per “deliziarsi e deliziarla” (V 8,9).
Il momento della conversione, il punto in cui si produce l’incontro fra Dio e
Teresa, segna un cambiamento nel suo modo di stare davanti a Dio, perché le
rivela come Egli sia stato sempre accanto e come ora potrà esserlo ancora più
manifesto, poiché sono caduti gli ostacoli che impedivano il suo travolgente
intervento salvifico. “il Signore mi inondava di grazie, lottando
quasi con me per dispormi ad accettare quello che gli altri si affannano a
procurarsi con grandi fatiche … perché se non mi induceva Lui, io certo non
l’avrei fatto” (V 9,9).
È il punto che ci interessa. Dio non aspetta
altro che le sue disposizioni. La lotta precedente, lunga e dura, non ha di
fatto altra finalità che preparare, temprare e disporre la volontà di Teresa a
ricevere Dio, affinché Egli possa darsi riversandosi in lei immediatamente e
abbondantemente. La Santa delinea così il ritratto di Dio: “ Egli non aspettava altro da me
che qualche buona disposizione e avendola trovata, le sue grazie andarono
subito crescendo” (V 9,9). “Poiché non aspettavate da me la volontà e
la disposizione a riceverli (i favori), cominciaste subito a
darmeli” (V 19,7). “Appena cominciai a sfuggire le occasioni e
a darmi di più all’orazione, il Signore prese a favorirmi delle sue grazie,
quasi che per darmele non avesse aspettato che la mia volontà di riceverle” (V
23,2). La presenza divina le s’impone: “Qui, da parte nostra, non c’è volere o non
volere che tenga … ma essere contenti di quello che ci dà” (V 29,2), “senza
quasi avervi acconsentito” (V 19.2). L’impressione di assoluta
incapacità a resistere all’azione di Dio è totale e perciò occorre rispondervi
con un atteggiamento di abbandono. Teresa ha una viva consapevolezza che Dio
prende e porta, imprigiona, con una chiara intelligenza che è il Signore a “fare
tutto … senza nessuna nostra fatica” (V 21,11). Si tratta dunque, di
una manifestazione personale, realissima e sovrabbondante di Dio, del Dio vivo.
Anche il solo ricordo di simile esperienza basta a consolarla. “ Mi
sentii consolata … del tempo in cui Dio mi era così presente da sembrarmi veramente
il Dio vivo” (R 18). È questo il clima spirituale in cui ella vivrà i
suoi ultimi anni, in un’attuale presenza della Trinità e non esiterà a servirsi
delle parole dell’apostolo Paolo per esprimere la propria esperienza di essere
vissuta da Dio: “Vi sono giorni in cui mi torna sempre alla mente quello che dice S.
Paolo … Anche a me sembra di non essere più io che vivo, che parlo e che
voglio, ma un altro in me, che mi dirige e mi da forza, e mi trovo come fuori
di me”(R 3).
Dio agisce il lei comunicandole la sua stessa vita;
allorché la comunicazione raggiunge il punto culminante, sarà tanto viva, vasta
e profonda che la santa vivrà la sensazione di essere vissuta da Lui,
come spiazzata da se: “Mi trovo come fuori di me” perché
tutta colma di Dio. L’azione divina acquista così forza e, dal lato opposto,
verità piena e la passività di Teresa si trova al suo punto massimo. Ci
troviamo al vertice di quel processo in cui Dio si era principalmente impegnato
e, dopo una certa fase, anche Teresa si era convertita e consacrata. Un
processo, che può chiamarsi di ricreazione, attraverso il quale Dio va
rivelandosi e mostrandosi come Colui che si dà e si comunica, che concede
grazie e favori che dispensa misericordie e copre, dorandoli, i nostri peccati.
Allora, per Teresa di Gesù, la
nostra vita è un’epifania di questo Dio che agisce in prima persona come amore
salvifico, se noi ci decidiamo a vivere in serena povertà e indefettibile
speranza. Dio, Teresa, lo elude quando è stordita dal frastuono della vita cui
si apre con veemenza, lo affronta con decisione e coraggio nei momenti di
sincerità, o finisce per adottare l’atteggiamento ambiguo e confuso dei più.
Egli, però, continua ad incombere su di lei come punto di riferimento
obbligato, cui non può in ogni modo sottrarsi. Teresa di Gesù non si è mai
liberata, non ha potuto mai liberarsi da Dio. In un modo o in un altro, con
maggiore o minore verità, l’ha sempre avuto compagno di vita. Non solo non è
riuscita a vedersi senza di Lui, ma si è sempre contemplata in riferimento a
Lui.
Ha letto la propria vita alla luce di Dio e così la descritta per noi.
Dio, anzitutto problema, poi soluzione, quando la scelta di Lui si fa strada
attraverso il cammino dell’umile accettazione, dell’amore disinteressato,
dell’abbandono fiducioso, ma anche attraverso un fattivo distacco dagli altri
amori che sottraggono energia e spazio all’amore. Dio domina con la sua
presenza tutta la sua vita: è la sua vita, poiché ella si è arresa a Lui, si è
data per vinta: “Gli rimette le chiavi della sua volontà” (V 20,11). Si sente
ormai invasa da un desiderio che le scorga dall’intimo: “Muoia ormai questo mio io e viva
in me, migliore per me di me stessa, onde possa servirlo” (V 22,11).
Pochi
mesi prima di morire scrive: “ (La mia anima), non è più soggetta come
prima alle miserie del mondo. Benché abbia maggiori sofferenze, sembra che
questa la sfiorino appena, perché è come una padrona in un castello e non perde
la sua pace. Però questa sicurezza non solo non l’affranca dal suo grande
timore di offendere Dio, ma neppure la dispensa dall’evitare quanto le possa
impedire di servirlo, per cui cammina con maggiore attenzione. Si preoccupa
così poco dei suoi interessi che le sembra di aver perduto parte del suo
essere, tanta è la dimenticanza in cui si tiene. Fa ogni cosa per l’onore di
Dio per meglio compiere il suo volere e per la sua maggior gloria” (R
6). La scalata qui ha raggiunto la vetta: la persona umana diviene pienamente
se stessa quando si consegna a Dio e vive radicata in Lui fino a simile
profondità. Quando non si muove più da quel centro che è Dio e quando tutto il
resto non può fare altro, al massimo, che “sfiorarle le vesti”, la persona è
padrona di sé e vive il suo costante riferimento a Dio. Ciò rende l’uomo
compiutamente persona.
Se vogliamo
dunque metterci alla sua scuola, saremo in un primo momento storditi e capiremo
ben poco; poi subentrerà lo stupore; infine rimarremo affascinati e saremo in
sintonia con la Santa, per cantare le Misericordie del Signore.
© citare l’autore e il sito da cui è tratto questo
testo
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