Cristo presente anche nei campi dell'orrore

 "Porgere la mano a tutti e tutti portare a Dio per mezzo dell'Immacolata, bella missione per la quale vale la pena di vivere, lavorare, soffrire e anche morire" (P.Kolbe).
 Abbiamo da poco ricordato Teresa Benedetta della Croce, la carmelitana uccisa nella camera a gas di Auschwitz il 9 agosto del 1942. Oggi ricordiamo S. Massimiliano Maria Kolbe dell'ordine dei francescani  deportato un anno prima della Stein ad Auschwitz
 Avendo meno di cinquant'anno, a differenza della carmelitana scalza non è destinato alla camara a gas, ma ai lavori forzati, tra cui il trasporto dei copri dalla camera a gas al forno crematorio. E proprio quando lo mettono a trasportare cadaveri, lo sentono mormorare con un fil di voce: "Santa Maria prega per noi" e poi: "Et Verbum caro factum est " (Il Verbo si è fatto carne).
Nel campo di sterminio Kolbe offre la sua vita di sacerdote in cambio di quella di un padre di famiglia, suo compagno di prigionia: "Sono un sacerdote cattolico. Sono anziano (aveva 47 anni). Voglio prendere il suo posto perché lui ha moglie e figli". Muore pronunciando «Ave Maria». E' il 14 agosto 1941. 
Giovanni Paolo II lo ha chiamato «patrono del nostro difficile secolo».
P. Kolbe ha dimostrato, in forza della sua fede, che l'uomo può creare abissi di dolore ma non può evitare che essi siano inabitati dal Crocifisso e dal mistero del Suo amore sofferente, che si riattualizza, che autonomamente e con forza inarrestabile decide di farsi "presente". Fu soprattutto per questa decisione di Cristo che Fritsch, contro se stesso, dovette "accettare" lo scambio (p. Antonio Maria Sicari, ocd).

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