Ma perché Dio ci crea tanto imbarazzo?

NATALE 2015. Una riflessione del p. Generale Saverio Cannistrà

Arriva la notte di Natale. Viene a turbare, diciamo pure: a disturbare le nostre vite, a interrompere i nostri abituali ritmi di lavoro e di relax, aprendo spazi che si riempiono di riti, feste, canti, doni, più o meno sempre gli stessi, quelli della nostra infanzia. E allora siamo tentati di pensare che la festa del bambino Gesù sia fatta essenzialmente per i bambini e non per noi uomini adulti del terzo millennio.
Sì, il Natale ci disturba, ci imbarazza, ci mette in difficoltà. Dovremmo gioire di fronte a questo bambino, ma, in verità, ci risulta sempre più difficile questa gioia. E a pensarci bene, questa gioia è difficile proprio perché ha a che fare non con Dio semplicemente, ma con noi, con un Dio che si fa uomo. Dobbiamo o dovremmo gioire di un Dio che ci riporta alla nostra umanità come alla sua suprema rivelazione? Ma è proprio quest'uomo che ci pone una infinità di problemi e di interrogativi. Dio è Dio, ma l'uomo siamo noi e dobbiamo con un certo imbarazzo e una certa vergogna confessare che sempre meno sappiamo chi siamo noi. Sempre di più ci sfugge il senso, il Logos (per usare la parola del Prologo di Giovanni che nel giorno di Natale riascoltiamo) che siamo noi.
Per questo Dio viene in mezzo a noi e il Logos si fa carne: per ricordarci chi siamo, per rimetterci sul cammino dell'umanità. "Adamo, dove sei?" "Eccomi, sono qui", risponde Gesù dalla mangiatoia di Betlemme. Lo dice al Padre che cerca con sollecitudine il Figlio, ma lo dice allo stesso tempo ai fratelli che vagano inquieti e smarriti. Per questo l'annuncio di Natale è inseparabilmente: gloria a Dio e pace agli uomini da Lui amati. Gloria: cioè rivelazione, manifestazione del suo essere, della sua bontà e verità nella storia. E insieme: pace, cioè liberazione e compimento della verità e bontà della creatura che Dio ama sopra tutte le altre: "E Dio vide che era cosa molto buona".
Quanto bisogno abbiamo di umanità! E come siamo incapaci di vederla, di capirla, di scoprirla, di toccarla oggi! Perché la disumanità ci circonda e ci assale con i suoi volti di violenza e di indifferenza. O anche la falsa umanità, che è una delle forme più sottili e pericolose della corruzione dell'umanità. 
Ma umanità c'è, quando c'è amore per l'uomo. In effetti, è questo che spesso ci manca: amore vero per l'uomo vero. Amore capace di dire un sì pieno a noi stessi e al nostro prossimo, alle nostre umanità ferite, deboli, affaticate, incapaci di affrontare i problemi che ci assillano. Noi così piccoli e i problemi così enormi. Folle di poveri che bussano alle nostre porte e noi ricchi e incapaci di accoglierli. Situazioni morali nuove, inedite, di fronte alle quali non sappiamo più che cosa dire, quale giudizio emettere. Strutture sociali ed ecclesiali da reinventare. E noi così limitati e così incoerenti di fronte a una responsabilità di questa portata. E soprattutto questa tristezza che sottilmente si insinua tra di noi, al punto che diventa difficile nasconderla dietro paraventi di lucine colorate o di confezioni scintillanti. Anche i consumi, dopo averci consumato, ci hanno stancato, ci hanno intorpidito. Ci svegliamo solo se quando all'improvviso la violenza scoppia. Allora abbiamo paura e ci difendiamo. Ma la paura è una passione fredda, che paralizza e ci rinchiude in noi stessi.
È qui che Tu vieni a trovarci, in questo cedimento del terreno su cui poggiamo. Ma Tu non vieni a risolvere i nostri problemi o a esaudire i nostri desideri, perché non sei una fiaba, ma una storia, anzi la Storia in cui vivono e si muovono le nostre storie. Tu sei Colui che ci accompagna, sei Colui che si fa via, verità e vita. Ed è di questo che abbiamo bisogno: una via da percorrere; una verità da ritrovare sempre di nuovo; una vita da accogliere, da proteggere, da amare. Tutto questo ce lo stai dando ora, nascendo in mezzo a noi. Se noi siamo capaci di riceverti, di ricevere dalle tue mani quello che sei, non saremo più gli stessi: saremo uomini nuovi, uomini che camminano senza stancarsi, che tengono lo sguardo fisso sulla verità, che sanno discernere i segni della vita e sperare in essi. Fa', Signore, che si compia in noi il miracolo del Natale, che il tuo Natale sia anche il nostro Natale!
P. Saverio Cannistrà
Preposito Generale

I segreti della vita spirituale secondo Giovanni della Croce

Per la solennità di San Giovanni della Croce, il nostro p. Generale, p. Saverio Cannistrà, accompagnando nuovi frati che cominciano il percorso nell'Ordine, ci ha donato un'omelia intensa e formativa e ci ha ricordato che nelle pagine, a volte lunghe e ardue, di fra Giovanni c'è il pathos, il fuoco di questa esperienza: che l'uomo non è così come siamo abituati a pensarlo e la vita è molto di più di come la viviamo ordinariamente.

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Solennità di San Giovanni della Croce

S. Giovanni della Croce  nacque nel 1542 a Fontiveros, una cittadina della Castiglia. Il papà, Gonzalo de Yepes, di nobile origine toledana, aveva sposato, contro la volontà dei genitori, Caterina Alvarez, una giovane tessitrice. I due vissero allora nella casa di lei, dando alla luce tre bambini. Gonzalo, però, vittima di una epidemia, morì giovanissimo e la povera Caterina, cominciò fra mille difficoltà a crescere i suoi piccoli. Giovanni era il più piccolo e fu ospitato in un collegio per orfani, dove gli fu almeno concesso di studiare. Per mantenersi agli studi, quando crebbe, egli lavorò come infermiere. La vita di stenti non fu mai rattristata da infedeltà o screzi familiari e così Giovanni  comprese che la vita può essere una sublime avventura d’amore, benché sia così spesso impregnata di sofferenze.
Scrive di lui p. Antonio Sicari "A 21 anni chiese, dunque, di entrare nel convento carmelitano di Medina, iniziandovi gli studi che l’avrebbero condotto fino al sacerdozio. Poté così frequentare la prestigiosa Università di Salamanca. Lo studio affascinava la sua intelligenza acuta e argomentativa, mentre la preghiera e l’ascesi lo affinavano interiormente e fisicamente. A tale scopo aveva scelto per sè una cella piccola e buia, solo perché aveva una finestrella che guardava sul presbiterio della Chiesa: là passava lunghe ore, assorto nella contemplazione del tabernacolo."
Conosciuto come cantore della notte oscura, San Giovanni della Croce (di cui qui puoi leggere una biografia), fondatore con Teresa d'Avila del ramo carmelitano degli Scalzi, cui apparteniamo come laici, questo profilo non gli rende giustizia.
Piccolo, coraggioso, il "dottore mistico" fu descritto dci  a potuto essergli vicino come uomo da un "imperturbabile sorriso, che infondeva una serenità disarmante. Riservato, misurato, capace di adattarsi a tutte le situazioni. Al punto che quando agli inizi della riforma teresiana qualcuno cercò di di screditarlo presso i superiori, declinò l'aiuto di una monaca pronta a prendere le sue difese, Giovanni disse: «Non pensi ad altro se non che tutto è disposto da Dio. E dove non c’è amore, metta amore e ne riceverà amore».
 Juan è il "cantore di quell'emozionante "Fiamma viva d'amore", l'unione dell'anima con Dio; è colui che ci propone un cammino che sfocia nella libertà e nella gioia (come ben ci mostra, qui a destra,  il disegno di Suor Maria Cecilia del Volto Santo, ocd).
Sì, perché  Dio cerca l'uomo - spiega san Giovanni della Croce - più di quanto l'uomo cerca Lui.
L'approdo è un convito, il convito dell'amore, la certezza dell'incontro con Chi ci ha tanto amato da morire trafitto per noi.
L'amore è più forte di ogni cosa, più forte della morte.

LA CHIESA , LA SUA NATURA, LA SUA MISSIONE, LA SUA ICONA

Sabato 12 dicembre, per il primo degli incontri quindicinali di formazione della fraternità dei SS. Teresa e Giuseppe ai Ponti Rossi, è stato invitato don Francesco De Franco, della Diocesi di Roma, parroco di S. Maria Madre del Redentore a Tor Bella monaca.
L'incontro è stato preceduto dalla Celebrazione Eucaristica, nella piccola cappella del monastero delle carmelitane scalze dei Ponti Rossi (nella foto qui sotto il congedo al termine della funzione).
Dopo un breve incontro con la Priora delle Carmelitane Scalze, don Francesco ha proposto alla fraternità il tema della Chiesa dividendolo i tre parti: la prima dedicata alla natura della Chiesa, con particolare riferimento alla  Lumen Gentium, la seconda parte sulla missione, con riferimento al recente sinodo della Chiesa italiana a Firenze e la terza a Maria che è la chiave per la comprensione del documento conciliare ma anche l’icona del credente secondo il Concilio.  La nostra giornata si è conclusa in un clima di gioiosa condivisione con un pranzo cui ha partecipato anche don Francesco, che ringraziamo di cuore per la disponibilità e la chiarezza con cui ha esposto un tema difficile da riassumere in un solo incontro.
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Una madre per la Chiesa

Pure, o Chiesa mia, l'Amore infinito ha voluto regalarti una Madre. E per questo, Egli si creò sua Madre, Maria Immacolata, per darla a te in dono e in regalo del suo cuore di Padre. Dio creò, guardando la sua Chiesa e amandola, una Madre per sé e per la sua Chiesa santa, e le diede tutto quello che nella Chiesa doveva depositare; in modo tale che tutta la donazione della Trinità alla sua Chiesa, prima di consegnarla ad essa, la depositò nella Madre della Chiesa, per il mistero dell'Incarnazione, mediante la sua Maternità divina e universale, affinché Costei gliela desse, con cuore di Madre, canzone di Verbo e amore di Spirito Santo.

Madre Trinidad de la Santa Madre Iglesia

by Carmelo di Quart

Bisogna lasciar fare a Dio

Oggi noi carmelitani ricordiamo S. Maria Maravillas, carmelitana scalza morta l'11 dicembre 1974, beatificata da San Giovanni Paolo II il 10 maggio del 1998 e da lui canonizzata il 4 maggio del 2003. A proposito del progetto di Dio su ciascun anima ebbe modo di dire:  «Dio, bisogna lasciarlo fare; bisogna lasciare che Lui ci faccia santi!».E ancora «Se tu Lo lasci fare, come lo farà bene!»,
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Fidati di Dio

Quando il Signore ci chiama
non descrive i dettagli del suo progetto:
non avremmo la forza di reggerlo.
Ci dice il titolo
e, poi, ci chiede di fidarci di Lui:
non scegliamo un progetto, ma il Progettista,
è un’altra cosa.
(Mons Vittorio Viola ofm)

Si apre domani il Giubileo della Misericordia

«La nostra preghiera si estenda anche ai tanti Santi e Beati che hanno fatto della misericordia la loro missione di vita».Papa Francesco
Misericordiae Vultus, 24

Che vuol dire "vegliare"?

del beato John Henry Newman

« Vegliate », ci dice Gesù con insistenza… Non dobbiamo soltanto credere, ma vegliare; non basta semplicemente amare, ma vegliare; non solo ubbidire, ma vegliare. Vegliare perché? Per questo evento supremo: la venuta del Cristo… Si capisce che si tratta di una chiamata speciale, un dovere che altrimenti non ci sarebbe venuto in mente.

Abbiamo un’idea generale di cosa vuol dire credere, amare, ubbidire, ma cos’è vegliare?... Veglia in attesa del Cristo chi conserva lo spirito sensibile, aperto, sul ‘chi vive’, che resta vivo, sveglio, pieno di zelo per cercarlo e onorarlo. Desidera trovare Cristo in tutto quanto accade… E veglia con Cristo (Mt 26,38) chi, pur guardando all’avvenire, guarda anche il passato, e contempla quanto ha fatto per lui il Salvatore, non dimenticando quanto Cristo ha sofferto per lui. Veglia con Cristo chi ricorda e rinnova in sé la croce e l’agonia di Cristo, chi porta con gioia la tunica che Cristo ha portato fino alla croce e che ha lasciato dopo l’Ascensione.

Gli scrittori ispirati esprimono spesso nelle loro lettere il desiderio della seconda venuta, ma non dimenticano mai la prima: la croce e la resurrezione… Così San Paolo invita i Corinti ad attendere la venuta del Signor Gesù Cristo (1Cor 1,7-8) e non manca di dir loro di “portare sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo” (2Cor 4,10)… Il pensiero di ciò che Cristo è oggi non deve cancellare il ricordo di cosa è stato per noi… Nella santa comunione vediamo contemporaneamente la morte e la resurrezione di Cristo, ci ricordiamo dell’una e dell’altra, gioiamo dell’una e dell’altra. Noi stessi ci offriamo e riceviamo una benedizione.

Vegliare è dunque vivere distaccati dal presente, vivere in ciò che non si vede, vivere nel pensiero di Cristo, come è venuto una prima volta e come deve venire, desiderare la seconda venuta partendo dal ricordo amante e riconoscente della prima.