Sabato 9 dicembre nel convento dei padri carmelitani di S. Teresa a Chiaia si è svolto il ritiro di Avvento per le comunità ocds di Napoli. Padre Arturo, assistente religioso delle comunità, ha svolto la meditazione “Avvento, tempo di attesa e di trasformazione”. L’occasione è stata utile per una sorta di discernimento sul significati dell’attesa, di cui oggi si è perso il gusto, l’importanza.
“Noi
cristiani aspettiamo la nascita di Gesù la notte di Natale, ma Gesù è già nato
duemila anni fa. Il senso della venuta di Cristo, come è inteso dalla Chiesa, è
triplice: la nascita storica di Gesù, la venuta di Cristo nella nostra vita
oggi, quando ci apriamo alla grazia, e la venuta nella gloria alla fine dei
tempo. Questa consapevolezza trasforma la fede in una forza viva, che crede in
un incontro che trasforma la persona. Se pensassimo al Natale anche sotto
questo aspetto, preparandoci non solo alla festa esteriore, lo vivremmo nell’interiorità del nostro cuore come incontro che ci trasforma e ci fa allontanare
dall’egoismo umano e da tutto ciò che c’impedisce di crescere come persone e
come cristiani.
Dio è il Bambino che tende le
braccia
Il cammino
cristiano è tutto rivolto a saper cogliere la novità di Dio, cioè a sviluppare
e far crescere una sensibilità che ci permetta di accogliere un Dio che si fa vicino
a noi, pieno di amore e di misericordia. Dio è il Bambino che tende le braccia
piene di tenerezza, il Pastore che cerca la pecorella smarrita per riportarla
salva all’ovile, è il padre che corre incontro al figlio perduto che ritorna, è
il Samaritano che si china premuroso sul ferito. È Gesù, che per noi muore
sulla croce, culla drammatica, scelta per darci a tutti noi la Vita celeste.
L’Attesa.
Per il cristiano contemporaneo l’Avvento è
probabilmente uno dei tempi forti più difficili dell’anno perché si fonda su
una delle dimensioni umane più essenziali e radicali: l’attesa. Appartiene alla
realtà della vita il nutrirsi di tempi lunghi, di lentezze, di pause, di
sorprese, di gradualità, di stagioni, di passaggi moderati e ritmati dalla
quotidianità, di fatiche, di stupore e meraviglia. Il giorno e la notte, il
crescere in un grembo, il formarsi di un corpo, le conquiste scolastiche e
professionali, la maturità affettiva e psicologica, la serenità spirituale,
l’amicizia, l’amore e ogni forma di relazione tra persone si decantano
nell’inesorabile gocciolare del tempo dell’attesa. E tutto questo richiede la
pazienza. Questa è una virtù cristiana antica, che attualmente sembra non
troppo di moda.
La
virtù della pazienza.
Santa Teresa di Gesù ci dice: “La pazienza ottiene
tutto”. Dio ha i suoi tempi, e sempre interviene al momento giusto. Come dice
San Paolo nella Lettera ai Galati (Gal 4,4-7) Gesù venne nella pienezza dei
tempi.
L’attesa è il frutto della pazienza, parola
che ha origine nel latino volgare, viene da “patire” (dal greco pathein e pathos, dolore corporale e spirituale). Quindi ha un chiaro
aspetto di sofferenza, perché aspettare richiede fatica, sofferenza. La fatica
è una condizione esistenziale umana e cristiana che il mondo contemporaneo sta
cercando di esorcizzare in tutti i modi. Non siamo più abituati al lavoro
fisico, al sudore, all’attività manuale che costruiva o coltivava
quotidianamente il proprio futuro confidando nella fecondità del tempo e nella
pazienza. Non abbiamo più la “forma mentis” della lettera, sostituita
dall’immediatezza del messaggino a tal punto che un silenzio eccessivo diventa
ansia e apprensione. Abbiamo una mentalità da microonde, dove in pochi secondi
vogliamo scongelare problemi che richiedono lunghi processi. Siamo nella
generazione che decide se e quando vedere la nostra coscienza. Trattiamo i
bambini come adulti, viviamo fidanzamenti come matrimoni, frequentiamo il
creato come un self-service dove prendiamo quello che ci serve senza pensare ad
altro oltre il nostro egoistico bisogno, l’anima trattata come un autogrill
dove si fa una sosta veloce per un pieno e uno spuntino che quieti gli scrupoli
e ci tolga qualche sfizio. È evidente che questo secolo corre per non pensare,
per evitare questa tensione che il tempo genera in noi, per gli interrogativi
che l’attesa risveglia. Eppure l’esistenza non è una realtà che si può
consumare, ma un dono da accogliere.
Attesa di un
incontro
Avvento vuol dire prima di tutto attesa, l’attesa di
un incontro personale, trasformante, di luce. Un incontro che si esprime
particolarmente nel ricordo della sua venuta, ma che può illuminare ogni
giorno, ogni istante della nostra vita. È, quindi, il tempo in cui dobbiamo
rinnovare la decisione di spalancare al Salvatore la finestra del nostro cuore
e della nostra mente, perché ci illumini e rischiari tutto ciò che siamo e ci
dia quella trasformazione che senza aspettarla ebbero la Samaritana e Nicodemo.
La figura di Nicodemo è molto interessante: prima ha un incontro casuale con
Gesù quando all’inizio del suo apostolato fa molti segni a Gerusalemme che
colpiscono molte persone: “Mentre era a Gerusalemme durante le feste di
Pasqua, molti credettero in lui, vedendo i segni che faceva. Ma Gesù non si
fidava di loro, perché li conosceva tutti … Egli sapeva quel che c’era
nell’uomo” (Gv 2,23-25). Troviamo Nicodemo altre due volte nel vangelo di
Giovanni con un attitudine piuttosto aperta verso Gesù. La prima volta quando
le guardie vanno dai capi dei sacerdoti e dei farisei per parlare di Gesù e fa
notare che viene condannato senza essere ascoltato e nel momento della
sepoltura quando porterà con se la mirra e l’aloe per il seppellimento (Gv
19,39). Ormai è già un discepolo che partecipa nel seppellimento del maestro.
Come si
traduce tutto ciò nella nostra vita?
Dobbiamo preparaci a questo incontro con Gesù anche
cercando di arricchire il nostro sapere su Cristo (attraverso la sua Parola),
con lealtà e umiltà. In secondo luogo, ci prepariamo pregando. Pregare, ovvero
chiedere che lo Spirito Santo ci illumini e sostenga la nostra ricerca del
volto del Signore. Questo non vuol dire che dovremmo fare molte preghiere,
molti rosari e devozioni, ma pregando come ci insegna Santa Teresa di Gesù “stando molte volte da soli trattando di
amicizia con chi sappiamo ci vuole bene” (V 8,5). Questa è la vera
preghiera il rapporto intimo e personale con Dio come faceva Lui tante volte
(Lc 6,12; Lc 21,37…).
Questo tempo serve ad educare e trasformare il cuore e
la mente di ognuno a partire di un attesa di chi è già venuto, la nascita di
Gesù, ad un attesa reale, quotidiana, costante, reale (la venuta di Gesù nei
nostri cuori), nella tensione del’ultima venuta gloriosa, la Parusia. I tre
Vangeli di San Marco, San Matteo e San Luca parlano di questa venuta poco prima
del racconto della passione di Cristo, si tratta della sua ultima predicazione.
Lo stile è apocalittico: guerre, devastazioni, catastrofi naturali, distruzione
del mondo. Non ci mettano troppa paura queste descrizioni drammatiche, è uno
stile soprattutto orientale per ricordare che davanti a Cristo tutto assume un
significato nuovo e anche il mondo, che sembra stabile ed eterno, avrà una
fine, quando il Signore verrà a ridare un nuovo ordine a tutte le cose. Il
timore santo che può venire dall’ascoltare queste parole ci aiuta a preparaci
alla venuta di Cristo non solo in modo sentimentale, ma coscienti che si tratta
di un incontro decisivo per la nostra esistenza. Significa, infatti,
entrare in contatto con Dio. Queste è il cammino che ci hanno indicato Santa
Teresa di Gesù e San Giovanni della Croce, ci hanno descritto un cammino che
dovremmo ripercorre con pazienza, aspettando nei momenti di sosta e camminando
con fatica nelle prove e difficoltà della vita.
Aspettiamo
un Dio che ci cerca.
Penso che è buono chiarire che non
soltanto siamo noi ad aspettare e a cercare Dio, come dice San Giovanni della
Croce: “Se l’uomo cerca Dio, molto più
cerca Dio l’uomo” (F 3,21). Anche Dio ci attende. Come il padre
misericordioso aspettava ogni giorno l’arrivo del figlio partito da casa, Dio
aspetta pazientemente che ci apriamo alla vita, che ci apriamo ai tanti segni
di vita e felicità che ci da. Sono i segni dei tempi che Lui ci da (Mt 16, 3-4)
aspettando che li leggiamo per poter entrare in contatto con noi e darci tante grazie.
Il termine attesa, vuol dire “stare in
guardia”, indica propriamente stare nella torre di guardia che è il luogo
dell’osservazione, delle vigilie. Attendere indica quindi stare attenti se
qualcuno viene, osservare tutt’intorno quanto si avvicina a noi. Tutto quanto
si vede, si ascolta, si gusta, si tocca… ha importanza perché deve essere letto
con attenzione per scoprire il messaggio. L’attesa allarga il cuore. Quando uno
attende si rende conto che non basta a se stesso, vive pienamente la vita, ogni
istante, ogni momento, ogni stimolo… vive il momento presente. Per questo
l’attesa trasforma. Fa vivere pienamente la vita con coscienza, e la vita
sempre è trasformazione. La pianta vive perché si trasforma nella sua crescita,
l’uomo nella misura che vive si trasforma perché cresce e si sviluppa, il
cristiano cresce nella dimensione in cui vive la vita in Cristo si trasforma in
Lui in un cammino di metamorfosi in Cristo come ci indica San Paolo, e ci
descrivono nuovamente molto bene Santa Teresa di Gesù e San Giovanni della
Croce.
La
tensione di questa attesa, il vivere ogni momento in pienezza gustando la vita,
il tempo che trascorre, i diversi stimoli attorno a noi; ci trasforma e ci fa
prendere piena coscienza di noi stessi. E’ una trasformazione totale della
persona, profonda.
San Paolo nella lettera ai Romani 12,2, parla di una nuova
mentalità, non la mentalità di questo mondo, questa è quella che avevano i
discepoli prima di Pentecoste, prima della crisi: potere, dominio, soldi… i
valori regnanti adesso nella nostra società, ma poi trasformati dallo Spirito
cambiano radicalmente e da paurosi che erano si convertono in coraggiosi
annunciatori di Gesù (Atti 2,14). A partire di questo momento si che hanno
imparato, adesso si che sono veri discepoli di Gesù. Non si appoggiano in Gesù
come i bambini piccoli ai suoi genitori, sanno camminare e parlare da soli,
certamente sempre con l’aiuto di Gesù e del suo Spirito.
Questa trasformazione
della quale stiamo parlando per essere cristiani è quella che chiede Gesù a
Nicodemo durante il suo dialogo. Gesù si rende conto che Nicodemo ha un anima
sincera, cerca la verità, soltanto li manda una cosa trasformarsi: «In verità, in verità io ti dico, se uno
non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne,
e quello che è nato dallo Spirito è spirito”. (Gv 3,4-6). Questa è la stessa
idea che ci indica San Paolo nella Lettera ai Romani: “trasformatevi
rinnovando la vostra mente (Rom 12,2).
. Anche Santa Teresa di
Gesù parla molto di questa trasformazione nel libro delle Mansioni, soprattutto
le V Mansioni che sono dedicate completamente al processo di trasformazione,
perché queste mansioni sono il passaggio dalla vita umana alla vita mistica,
dall’attuare noi al lasciare attuare Dio. L’importante è sapersi sempre in
cammino, prendere coscienza che non siamo mai finiti. Come dice Gesù alla
samaritana “Io sono l’acqua viva” (Gv 4,10). La vita cristiana propriamente è
sperimentare questa trasformazione che è Cristo, cioè sviluppare il seme che
abbiamo ricevuto nel nostro battessimo perché possa trasformarsi in un albero
che dia molto frutto. Lasciare che il lievito trasformi liberamente tutta massa
per produrre il pane.
La ricerca della vera trasformazione, il vero cambiamento, che
è molto bello e molto desiderabile, ma allo stesso tempo è molto difficile,
perché richiede un atteggiamento maturo di valori, di pazienza, di conoscenza
propria, di apertura di mente, di accettazione e accoglienza della realtà,
ossia di maturità umana, perché altrimenti tutto sarà un sentimenti. È nella
realtà delle nostre opere dove si vede la verità dei nostri desideri. Come gli
apostoli hanno dovuto passare attraverso la notte oscura per rendersi conto degli
sbagli, delle mancanze, delle carenze e con sofferenza purificarle e aprirsi al
dono dello Spirito Santo, anche noi dovremmo vivere questo processo di
trasformazione nel dolore e nella sofferenza della verità.
Noi
siamo persone umane che viviamo in questo mondo, ma non possiamo vivere i
valori di questo mondo, perché siamo testimoni di altre realtà, che dovremmo
manifestare nella nostra vita, tenendo come unico appoggio Gesù. Attraverso la
lettura e meditazione del vangelo, la preghiera, la pazienza, e la luce dello
Spirito Santo possiamo lasciarci trasformare in creature nuove. Non per il
nostro sforzo o il nostro impegno, ma per la grazia di Dio che attua in noi. Queste
sarebbe un bel frutto per questo avvento. (p. Arturo Beltràn,ocd).