Un Natale diverso per molti di noi...

 
E' una notte particolare. Una notte in cui vorremmo, proprio per tutto quello che è successo, stringerci attorno a quell'altare che proclama la nascita del Salvatore. Ma non sarà  così. Una prova, nella prova. Ricordiamo allora:
L'altare è nel nostro cuore. 
La culla di Gesù è nel nostro cuore.
  Ricordiamo anche tutti coloro che ci hanno lasciati, che la malattia o un incidente ci ha rubato in questo terribile anno. In una festa in cui i legami familiari di solito si riscoprono, la mancanza è una ferita aperta. Il vuoto è incolmabile in questa notte, allora preghiamo Gesù che venga con la sua tenerezza di Bambino a consolarci.


Buon Natale!

 Cristo nasce e il suo natale è il più grande avvenimento della storia di ogni tempo e di ogni generazione. Ma Cristo nasce rifiutato, nasce nella povertà, nasce rifugiato in una mangiatoria, pur se circondato dalla tenerezza della madre Maria e dallo stupore silenzioso e adorante di Giuseppe.

Il mistero natalizio ha bisogno di essere continuamente rivissuto attraverso la contemplazione. Quando Gesù nasce, per la prima volta gli occhi dell'uomo vedono Dio: quel neonato è il Figlio di Dio, in lui l'immagine dell'uomo è tutta, veramente, espressiva del volto di Dio.

E arrivano i pastori a vedere il volto del loro Signore: la visibilità divina nella fragilità umana e nella inerme condizione di un neonato; lo splendore della divinità nello spogliamento più radicale.
Anche per noi, se c'è commozione di fornte alla culla, essa è dovuta al contrasto tra questa nostra certezza e ciàùò che vediamo: il Signore nelle dimensioni della nostra fragilità...fatto uno di noi, fatto il Signore nostro.

p. Anastasio Ballestrero ocd

Iniziamo la novena di Natale.

 Comincia oggi la novena di Natale. Nessuna preghiera particolare detta a memoria. No, fermiamoci qui, chiudiamo gli occhi e immaginiamoci in cammino, verso la grotta. Aspettiamolo anche noi! cambierà qualcosa nel nostro modo di vivere il Natale, se ci mettiamo il cuore.




 Quanta emozione dovrebbe accompagnarci mentre collochiamo nel presepe le montagne, i ruscelli, le pecore e i pastori! In questo modo ricordiamo, come avevano preannunciato i profeti, che tutto il creato partecipa alla festa della venuta del Messia. Gli angeli e la stella cometa sono il segno che noi pure siamo chiamati a metterci in cammino per raggiungere la grotta e adorare il Signore.

(papa Francesco, Admirabile signum)

Noche Oscura - San Giovanni della Croce

Giovanni della Croce c'insegna a lasciarci amare da Dio

Ricordiamo oggi con la catechesi di Benedetto XVI il nostro Giovanni della Croce:


  Amico spirituale di santa Teresa, riformatore, insieme a lei, della famiglia religiosa carmelitana: san Giovanni della Croce, proclamato Dottore della Chiesa dal Papa Pio XI, nel 1926, è soprannominato nella tradizione Doctor mysticus, “Dottore mistico”.

Giovanni della Croce nacque nel 1542 nel piccolo villaggio di Fontiveros, vicino ad Avila, nella Vecchia Castiglia, da Gonzalo de Yepes e Catalina Alvarez. La famiglia era poverissima, perché il padre, di nobile origine toledana, era stato cacciato di casa e diseredato per aver sposato Catalina, un'umile tessitrice di seta. Orfano di padre in tenera età, Giovanni, a nove anni, si trasferì, con la madre e il fratello Francisco, a Medina del Campo, vicino a Valladolid, centro commerciale e culturale. Qui frequentò il Colegio de los Doctrinos, svolgendo anche alcuni umili lavori per le suore della chiesa-convento della Maddalena. Successivamente, date le sue qualità umane e i suoi risultati negli studi, venne ammesso prima co­me infermiere nell'Ospedale della Concezione, poi nel Collegio dei Gesuiti, appena fondato a Medina del Campo: qui Giovanni entrò diciottenne e studiò per tre anni scienze umane, retorica e lingue classiche. Alla fine della formazione, egli aveva ben chiara la propria vocazione: la vita religiosa e, tra i tanti ordini presenti a Medina, si sentì chiamato al Carmelo.

Nell’estate del 1563 iniziò il noviziato presso i Carmelitani della città, assumendo il nome religioso di Giovanni di San Mattia. L’anno seguente venne destinato alla prestigiosa Università di Salamanca, dove studiò per un triennio arti e filosofia. Nel 1567 fu ordinato sacerdote e ritornò a Medina del Campo per celebrare la sua Prima Messa circondato dall'affetto dei famigliari. Proprio qui avvenne il primo incontro tra Giovanni e Teresa di Gesù. L’incontro fu decisivo per entrambi: Teresa gli espose il suo piano di riforma del Carmelo anche nel ramo maschile dell'Ordine e propose a Giovanni di aderirvi “per maggior gloria di Dio”; il giovane sacerdote fu affascinato dalle idee di Teresa, tanto da diventare un grande sostenitore del progetto. I due lavorarono insieme alcuni mesi, condividendo ideali e proposte per inaugurare al più presto possibile la prima casa di Carmelitani Scalzi: l’apertura avvenne il 28 dicembre 1568 a Duruelo, luogo solitario della provincia di Avila. Con Giovanni formavano questa prima comunità maschile riformata altri tre compagni. Nel rinnovare la loro professione religiosa secondo la Regola primitiva, i quattro adottarono un nuovo nome: Giovanni si chiamò allora “della Croce”, come sarà poi universalmente conosciuto. Alla fine del 1572, su richiesta di santa Teresa, divenne confessore e vicario del monastero dell’Incarnazione di Avila, dove la Santa era priora. Furono anni di stretta collaborazione e amicizia spirituale, che arricchì entrambi. Α quel periodo risalgono anche le più importanti opere teresiane e i primi scritti di Giovanni.

L’adesione alla riforma carmelitana non fu facile e costò a Giovanni anche gravi sofferenze. L’episodio più traumatico fu, nel 1577, il suo rapimento e la sua incarcerazione nel convento dei Carmelitani dell'Antica Osservanza di Toledo, a seguito di una ingiusta accusa. Il Santo rimase imprigionato per mesi, sottoposto a privazioni e costrizioni fisiche e morali. Qui compose, insieme ad altre poesie, il celebre Cantico spirituale. Finalmente, nella notte tra il 16 e il 17 agosto 1578, riuscì a fuggire in modo avventuroso, riparandosi nel monastero delle Carmelitane Scalze della città. Santa Teresa e i compagni riformati celebrarono con immensa gioia la sua liberazione e, dopo un breve tempo di recupero delle forze, Giovanni fu destinato in Andalusia, dove trascorse dieci anni in vari conventi, specialmente a Granada. Assunse incarichi sempre più importanti nell'Ordine, fino a diventare Vicario Provinciale, e completò la stesura dei suoi trattati spirituali. Tornò poi nella sua terra natale, come membro del governo generale della famiglia religiosa teresiana, che godeva ormai di piena autonomia giuridica. Abitò nel Carmelo di Segovia, svolgendo l'ufficio di superiore di quella comunità. Nel 1591 fu sollevato da ogni responsabilità e destinato alla nuova Provincia religiosa del Messico. Mentre si preparava per il lungo viaggio con altri dieci compagni, si ritirò in un convento solitario vicino a Jaén, dove si ammalò gravemente. Giovanni affrontò con esemplare serenità e pazienza enormi sofferenze. Morì nella notte tra il 13 e il 14 dicembre 1591, mentre i confratelli recitavano l'Ufficio mattutino. Si congedò da essi dicendo: “Oggi vado a cantare l'Ufficio in cielo”. I suoi resti mortali furono traslati a Segovia. Venne beatificato da Clemente X nel 1675 e canonizzato da Benedetto XIII nel 1726.

Giovanni è considerato uno dei più importanti poeti lirici della letteratura spagnola. Le opere maggiori sono quattro: Ascesa al Monte Carmelo, Notte oscura, Cantico spirituale Fiamma d'amor viva.

Nel Cantico spirituale, san Giovanni presenta il cammino di purificazione dell’anima, e cioè il progressivo possesso gioioso di Dio, finché l’anima perviene a sentire che ama Dio con lo stesso amore con cui è amata da Lui. La Fiamma d'amor viva prosegue in questa prospettiva, descrivendo più in dettaglio lo stato di unione trasformante con Dio. Il paragone utilizzato da Giovanni è sempre quello del fuoco: come il fuoco quanto più arde e consuma il legno, tanto più si fa incandescente fino a diventare fiamma, così lo Spirito Santo, che durante la notte oscura purifica e “pulisce” l'anima, col tempo la illumina e la scalda come se fosse una fiamma. La vita dell'anima è una continua festa dello Spirito Santo, che lascia intravedere la gloria dell'unione con Dio nell'eternità.

L’Ascesa al Monte Carmelo presenta l'itinerario spirituale dal punto di vista della purificazione progressiva dell'anima, necessaria per scalare la vetta della perfezione cristiana, simboleggiata dalla cima del Monte Carmelo. Tale purificazione è proposta come un cammino che l’uomo intraprende, collaborando con l'azione divina, per liberare l'anima da ogni attaccamento o affetto contrario alla volontà di Dio. La purificazione, che per giungere all'unione d’amore con Dio dev’essere totale, inizia da quella della vita dei sensi e prosegue con quella che si ottiene per mezzo delle tre virtù teologali: fede, speranza e carità, che purificano l'intenzione, la memoria e la volontà. La Notte oscura descrive l'aspetto “passivo”, ossia l'intervento di Dio in questo processo di “purificazione” dell'anima. Lo sforzo umano, infatti, è incapace da solo di arrivare fino alle radici profonde delle inclinazioni e delle abitudini cattive della persona: le può solo frenare, ma non sradicarle completamente. Per farlo, è necessaria l’azione speciale di Dio che purifica radicalmente lo spirito e lo dispone all'unione d'amore con Lui. San Giovanni definisce “passiva” tale purificazione, proprio perché, pur accettata dall'anima, è realizzata dall’azione misteriosa dello Spirito Santo che, come fiamma di fuoco, consuma ogni impurità. In questo stato, l’anima è sottoposta ad ogni genere di prove, come se si trovasse in una notte oscura.

Queste indicazioni sulle opere principali del Santo ci aiutano ad avvicinarci ai punti salienti della sua vasta e profonda dottrina mistica, il cui scopo è descrivere un cammino sicuro per giungere alla santità, lo stato di perfezione cui Dio chiama tutti noi. Secondo Giovanni della Croce, tutto quello che esiste, creato da Dio, è buono. Attraverso le creature, noi possiamo pervenire alla scoperta di Colui che in esse ha lasciato una traccia di sé. La fede, comunque, è l’unica fonte donata all'uomo per conoscere Dio così come Egli è in se stesso, come Dio Uno e Trino. Tutto quello che Dio voleva comunicare all'uomo, lo ha detto in Gesù Cristo, la sua Parola fatta carne. Gesù Cristo è l’unica e definitiva via al Padre (cfr Gv 14,6). Qualsiasi cosa creata è nulla in confronto a Dio e nulla vale al di fuori di Lui: di conseguenza, per giungere all'amore perfetto di Dio, ogni altro amore deve conformarsi in Cristo all’amore divino. Da qui deriva l'insistenza di san Giovanni della Croce sulla necessità della purificazione e dello svuotamento interiore per trasformarsi in Dio, che è la meta unica della perfezione. Questa “purificazione” non consiste nella semplice mancanza fisica delle cose o del loro uso; quello che rende l'anima pura e libera, invece, è eliminare ogni dipendenza disordinata dalle cose. Tutto va collocato in Dio come centro e fine della vita.

Il lungo e faticoso processo di purificazione esige certo lo sforzo personale, ma il vero protagonista è Dio: tutto quello che l'uomo può fare è “disporsi”, essere aperto all'azione divina e non porle ostacoli. Vivendo le virtù teologali, l’uomo si eleva e dà valore al proprio impegno. Il ritmo di crescita della fede, della speranza e della carità va di pari passo con l’opera di purificazione e con la progressiva unione con Dio fino a trasformarsi in Lui. Quando si giunge a questa meta, l'anima si immerge nella stessa vita trinitaria, così che san Giovanni afferma che essa giunge ad amare Dio con il medesimo amore con cui Egli la ama, perché la ama nello Spirito Santo. Ecco perché il Dottore Mistico sostiene che non esiste vera unione d’amore con Dio se non culmina nell’unione trinitaria. In questo stato supremo l'anima santa conosce tutto in Dio e non deve più passare attraverso le creature per arrivare a Lui. L’anima si sente ormai inondata dall'amore divino e si rallegra completamente in esso.

Cari fratelli e sorelle, alla fine rimane la questione: questo santo con la sua alta mistica, con questo arduo cammino verso la cima della perfezione ha da dire qualcosa anche a noi, al cristiano normale che vive nelle circostanze di questa vita di oggi, o è un esempio, un modello solo per poche anime elette che possono realmente intraprendere questa via della purificazione, dell'ascesa mistica? Per trovare la risposta dobbiamo innanzitutto tenere presente che la vita di san Giovanni della Croce non è stata un “volare sulle nuvole mistiche”, ma è stata una vita molto dura, molto pratica e concreta, sia da riformatore dell'ordine, dove incontrò tante opposizioni, sia da superiore provinciale, sia nel carcere dei suoi confratelli, dove era esposto a insulti incredibili e a maltrattamenti fisici. E’ stata una vita dura, ma proprio nei mesi passati in carcere egli ha scritto una delle sue opere più belle. E così possiamo capire che il cammino con Cristo, l'andare con Cristo, “la Via”, non è un peso aggiunto al già sufficientemente duro fardello della nostra vita, non è qualcosa che renderebbe ancora più pesante questo fardello, ma è una cosa del tutto diversa, è una luce, una forza, che ci aiuta a portare questo fardello. Se un uomo reca in sé un grande amore, questo amore gli dà quasi ali, e sopporta più facilmente tutte le molestie della vita, perché porta in sé questa grande luce; questa è la fede: essere amato da Dio e lasciarsi amare da Dio in Cristo Gesù. 

Questo lasciarsi amare è la luce che ci aiuta a portare il fardello di ogni giorno. E la santità non è un'opera nostra, molto difficile, ma è proprio questa “apertura”: aprire e finestre della nostra anima perché la luce di Dio possa entrare, non dimenticare Dio perché proprio nell'apertura alla sua luce si trova forza, si trova la gioia dei redenti. Preghiamo il Signore perché ci aiuti a trovare questa santità, lasciarsi amare da Dio, che è la vocazione di noi tutti e la vera redenzione. Grazie.



P. Emerito Benedetto XVI - 2011 

Maria Maravillas di Gesù: "Sono solo stata con Lui"

 Verso sera, nell’orazione, senza che vi fosse nulla di speciale, ho provato una pace e una quiete grandissime. Stavo molto unita al Signore e l’ora è passata prestissimo.  Non ho meditato nulla in particolare, soltanto sono stata lì con Lui è ho sentito l’anima colma di un amore intenso, ma silenzioso e pieno di pace"

(S. Maria Maravillas di Gesù, dalla Lettera a P. Alfonso Tones, 3 agosto 1831)



Maria Maravillas di Pidal y Chico de Guzman nacque a Madrid il 4 novembre 1891 da una famiglia profondamente cristiana.
I suoi genitori Cristina Chico de Guzman e Luis Pidal y Mon, che in quel periodo vivevano a Roma in quanto il padre era ambasciatore di Spagna presso la Santa Sede, erano tornati a Madrid per la nascita della loro quarta figlia.
La bimba fu battezzata il 12 novembre e i suoi padrini furono i nonni materni. La profonda fede e religiosità dei genitori, il loro amore alla Chiesa e al Papa, la rettitudine di vita costituirono il clima privilegiato dei primi anni di Maria Maravillas, che trovò anche nella nonna materna, presso la quale trascorse lunghi periodi e che amò teneramente, una preziosa testimonianza di vita cristiana.
All'età di appena cinque anni decise di consacrare a Dio la sua verginità. Nella sua innocenza infantile credeva che un voto non potesse valere se non fatto davanti a testimoni; chiamò perciò in gran segreto una domestica della casa e presso un piccolo altare fatto da lei stessa, giurò di non voler mai altro sposo che Gesù.
LA VOCAZIONE AL CARMELO
Crescendo curò la propria formazione culturale senza tralasciare le opere di carità, rivolte soprattutto ai 
poveri ed agli emarginati. Ma fu attraverso la lettura degli scritti di Teresa d'Avila e di Giovanni della Croce che maturò la decisione di consacrarsi al Signore entrando il 12 ottobre 1919 nel monastero carmelitano di El Escorial a Madrid dove il 7 maggio 1921 pronunciò i voti temporanei.
Nei primi anni della sua vita religiosa, vide realizzato il suo ardente desiderio di una vita umile e appartata; mai pensò alla fondazione di nuovi monasteri, ma il suo lavoro consisteva nell'allevare polli e nell'aiutare le sorelle a badare alle mucche, nel cucire, nel dipingere e nel confezionare scapolari.
Così, serenamente, passarono gli anni del Noviziato, anche se ella stessa si accorgeva di avere ancora diversi difetti da correggere: si sentiva a volte spinta ad agire più forse per il desiderio di essere stimata, che di piacere veramente al Signore.
Un giorno, sulla soglia dei 30 anni, mentre intimamente godeva dell'apprezzamento di persone che ella stessa considerava molto, sentì in fondo al cuore queste parole: "E io fui considerato pazzo!" Da allora si sentì completamente libera da questi desideri e desiderosa di piacere solamente al Signore.

FONDATRICE COME LA SANTA MADRE.

Nel 1923 si sentì ispirata in diverse occasioni dal Signore a fondare un monastero carmelitano nel Cerro de los Angeles (Getafe) luogo dove nel 1919 il re Alfonso XIII aveva inaugurato un monumento al Cuore di Gesù e aveva fatto la consacrazione della Spagna al Sacro Cuore di Gesù. Nella sua anima sente sempre più forte il desiderio di dare a Dio, nel Cerro de los Angeles, un Carmelo che, come una piccola lampada accesa davanti al Cuore Divino, si consumasse riparando e pregando per il mondo intero e in modo particolare per la Spagna.
A quel punto suor Maravillas, che non aveva ancora fatto la sua Professione Solenne, dovette sostenere nel suo intimo una dura lotta: da una parte la sua profondissima umiltà le faceva vedere la sua incapacità per una simile opera, dall'altra il timore di non corrispondere alla grazia che fortemente chiamava il suo cuore.

Ma Dio, che conosceva l'importanza di questa decisione, manifestò in modo così chiaro la sua volontà che non fu più possibile resistergli. Così suor Maravillas il 19 maggio1924 lasciò il convento dell'Escorial ed il 30 maggio fece a Getafe la sua Professione Solenne. Poco tempo dopo Dio le chiese un nuovo sacrificio, forse il più grande di tutta la sua vita: il Vescovo di Madrid desiderava che fosse lei la priora della nuova fondazione. La domenica del 25 ottobre 1926, giorno in cui per la prima volta si celebrava nella chiesa universale la festa di Cristo Re, si inaugurò la fondazione e lasciando di Getafe la comunità si insediò al Cerro de los Angeles. Pur rispettando la clausura, visse la sua vita contemplativa interessandosi delle necessità dei bisognosi; grande fu il suo amore per la Croce, per penitenza dormì per più di 35 anni per sole tre ore al giorno, vestita e seduta per terra con la testa appoggiata al letto.
Nel 1933 otto sue suore fondarono un monastero di clausura a Kottayam in India dove avrebbe voluto recarsi lei stessa, ma ne venne impedita dai superiori.
A causa della rivoluzione spagnola, con la persecuzione e l'odio contro chiunque avesse a che fare con la religione, madre Maria Maravillas, il 22 luglio 1936, fu costretta da alcune bande armate a lasciare il monastero con tutte le religiose. Esse vengono ricevute a braccia aperte dalle Orsoline di Getafe. Attraverso un abbaino, possono scorgere la Collina: con una gru, i miliziani gettano a terra la statua del Sacro Cuore, bestemmiando orribilmente. Il dolore delle religiose è profondo ma conservano la loro pace.
Poiché la "guardia d'onore" delle Carmelitane presso il Monumento del Sacro Cuore non ha più ragione d'essere, esse nell'agosto seguente si rifugiarono a Madrid, trovando alloggio in un appartamento della sorella di una suora, dove furono spesso sottoposte a perquisizioni e minacce. Poi, attraverso Valencia, Barcellona, Port-Bou, Lourdes, rientrarono dall'altra parte della Spagna, stabilendosi nell'antico eremo dell'Ordine Carmelitano a Las Batuecas (Salamanca).
Nel maggio del 1939 venne riaperto il monastero del Cerro de los Angeles e da lì partirono le suore da lei guidate, che grazie alla meravigliosa fioritura di vocazioni carmelitane, aprirono varie Case a Mancera (1944), Duruelo (Avila)nel 1947, Cabrera (1950), Arenas de San Pedro (1954), Cordova (1956), Aravaca - Madrid (1958), La Aldehuela (1961), Malaga(1964); infine madre Maria Maravillas restaurò e potenziò nel 1966 il monastero dell'Incarnazione di Avila e la casa di S. Teresa. Fece costruire un convento e una chiesa per i Carmelitani Scalzi in provincia di Toledo; la gente la chiamava "la santa Teresa de Jesus del XX secolo".
Maria Maravillas si ritirò nel 1961 nel convento di La Aldehuela (Madrid) da dove con grande povertà diresse con la sua parola materna ed il suo esempio la vita dei suoi monasteri; il 14 dicembre 1972 la Santa Sede approvò "l'Associazione di S. Teresa", di cui venne eletta presidente, associazione impegnata in iniziative sociali. Madre Maravillas ben comprese quanto fosse vana la fede senza le opere, e come queste fossero una testimonianza più convincente di tanti bei discorsi. Scrisse dunque:"La carità verso Dio si misura dalla carità verso il prossimo e questa ruba il cuore del Signore...e anche quello delle creature".
Fu secondo questo spirito che fondò nel 1967, a Ventorro, collegi per bambini poveri privi di scuole e nel 1969 poté consegnare 16 case prefabbricate ad altrettante famiglie di baraccati. Tra il 1972 ed il 1974 Madre Maravillas aiutò e sostenne la costruzione di un rione di 200 abitazioni, con la chiesa e le opere sociali, a Perales del Rio, collaborando con il parroco locale. Con la bontà di coloro che si fidavano di lei e della sua opera, acquistò a Pozuelo di Alarcon (Madrid) una casa per accogliere le monache bisognose di assistenza medica, e un terreno per la costruzione di una clinica per le stesse monache di clausura. Ma il suo zelo apostolico fu volto soprattutto a condurre anime a Dio: "Che tormento è vedere il nulla di tutto ciò che non è Dio e dall'altro lato vedere una gran moltitudine di anime che ciecamente va dietro a questo nulla"; "questa vita passa come un volo, e l'unica cosa che vale è ciò che facciamo per l'altra". Innumerevoli le grazie purificatrici e unitive che Madre Maravillas visse nello stesso spirito di S. Giovanni della Croce reputandosi "un nulla, peccatrice" e, proprio per questo, gratuitamente amata da Dio.

Con S. Teresa d'Avila ribadì il primato dell'orazione nel condurre l'anima - attraverso il cammino di perfezione - all'intima unione con Dio: "Solo l'orazione ci può salvare, con la nostra fedeltà in tutto".
Come S. Teresa di Gesù Bambino affermò che" la santità è molto semplice: è stare con fiducia e amore fra le braccia di Dio, volendo e facendo ciò che crediamo essergli più gradito".
Il Venerdì Santo del 1967 Madre Maravillas fu colpita da una polmonite e da allora andò sempre più indebolendosi, anche se non si risparmiava nella fedeltà alla Regola ed alle Costituzioni. Morì nel Carmelo di La Aldehuela l'11 dicembre 1974 ripetendo: "Che gioia morire carmelitana!". Il suo corpo emanava una delicata fragranza di nardo. Molti, attratti dalla sua fama di santità, ne invocarono l'intercessione ottenendo innumerevoli grazie. Giovanni Paolo II la proclamò Beata il 10 maggio 1998, in piazza S. Pietro a Roma.

DOPO LA SUA MORTE

Solo due mesi dopo, il miracolo che, il 4 maggio 2003, ne ha permesso la Canonizzazione, a Madrid, da parte dello stesso pontefice: la prodigiosa guarigione del piccolo argentino Manuel Vidar, di soli 18 mesi, che in seguito ad una caduta in una piscina d'acqua stagnante, aveva subito gravi complicazioni cardio-circolatorie, entrando in coma profondo.
Madre Maravillas si distinse per la sua fedeltà nel compiere anche nei minimi dettagli la Regola e le Costituzioni delle Carmelitane Scalze. Lei, Figlia della Chiesa quanto lo era Santa Teresa, fu accusata ingiustamente di resistenza nell'attuare certi cambiamenti che voleva il Concilio Vaticano II. Non è vero: quello che fece fu chiedere con umiltà a Roma che si conservassero quanto più possibile le tradizioni Teresiane, cosa che ottenne e il buon esito le diede ragione. Sopportò con pazienza e spirito di fede e amore le infermità.
        LA SUA SPIRITUALITA'


Seppe soprattutto scoprire Dio presente nelle minime azioni umane dei superiori e visse l'eroicità dell'obbedienza ad esse.
La sua spiritualità si esprimeva nella preghiera continua, nell'eccezionale povertà sua e dei suoi monasteri, nella vita austera sostenuta dal lavoro, (migliaia furono le corone fatte di petali di rose che uscirono dai suoi conventi), che permetteva di mantenersi e di aiutare così anche grandi iniziative ecclesiali, sociali e benefiche che ancora parlano di lei.
L'amabilità di Madre Maravillas e la delicata carità con cui seppe correggere le consorelle secondo verità, fece sì che fosse "obbedita senza comandare". Quanti la conobbero dicono che si vedeva Dio in lei. Molte anime religiose guardavano a lei come ad un sicuro faro che indica il cammino. La sua persona e la sua presenza irradiavano pace, sicurezza, coraggio e speranza in tanti cuori vacillanti.
Grandissima fu la sua umiltà, come si rileva da un foglio scritto di suo pugno che si trovò a Duruelo dopo la sua partenza per Arenas e che le sue Figlie considerano come il suo Testamento. Dice così:
"Figlie mie carissime, nel caso il Signore volesse chiamarmi a Sé in qualunque momento, desidero farvi alcune preghiere con tutto il cuore. La prima, di perdonarmi il molto che dovete perdonarmi per amore di Cristo nostro Bene, non prendendo in niente esempio da quello che, per disgrazia, avete visto in me, che sono soltanto una cattiva monaca. La seconda, che mi raccomandiate al Signore perché ne avrò molto bisogno e che cerchiate di vivere come merita l'amore del nostro Dio con quella umiltà e carità che a Lui tanto piacciono, dimentiche totalmente di voi stesse. La terza, se volete farmi piacere e compiere i miei desideri, non venite meno alla verità parlando di me come, per esempio, nella lettera commemorativa. Per riuscire sincera, dovrebbe certamente presentare i cattivi esempi; ma almeno sia breve e dica che avevo grandi desideri".
Dando un ultimo sguardo alla sua vita così ricca, possiamo dire che la sua missione principale è racchiusa nelle parole che ripeteva spesso alle sue figlie e nelle quali vedeva in sintesi tutta la vita di una carmelitana: Che cosa debbo fare in terra se non vivere una vita d'amore con il Re del Cielo? 
Rita Samarelli ocds


ALCUNI SUOI PENSIERI


Un anno dedicato a San Giuseppe patrono della Chiesa universale e modello della vita carmelitana.

 

A 150 anni dalla proclamazione di San Giuseppe a patrono della Chiesa universale, con il Decreto Quemadmodum Deus, del Beato Pio IX, il santo Padre Francesco ha stabilito che, dalla data odierna, 8 dicembre, giorno sacro alla Beata Vergine Immacolata e Sposa del castissimo Giuseppe, fino all’8 dicembre 2021, sia celebrato uno speciale Anno di San Giuseppe. Per l'occasione ha firmato oggi una lettera apostolica dal titolo Patris Corde, con la quale il Papa invita ad accrescere l’amore verso questo grande Santo, per essere spinti a implorare la sua intercessione e per imitare le sue virtù e il suo slancio.
L'anniversario ha ispirato ai superiori della Famiglia carmelitana (o. Carm e OCD) una lettera sulla figura di San Guseppe patrono e modello della vita carmelitana.

👉 LETTERA DEI SUPERIORI GENERALI DELLA FAMIGLIA CARMELITANA



Non siamo nuovi all'esortazione di affidarci con fiducia a San Giuseppe. Rileggiamo il capitolo 6 del Libro della Vita della nostra santa madre Teresa di Gesù:

(Vita 6, 6-8)

Non fui mai portata a certe devozioni che alcuni praticano, specialmente donne, 
nelle quali entrano non so quali cerimonie che io non ho mai potuto soffrire, e che a loro piacciono tanto. Poi si conobbe che non erano convenienti e sapevano di superstizione. Io invece presi come avvocato S. Giuseppe e mi raccomandai a lui con fervore.
Questo mio padre e protettore mi aiutò nelle necessità in cui mi 
trovavo e in molte altre più gravi in cui era in gioco il mio onore e la salute dell’anima mia. Ho visto chiaramente che il suo aiuto fu sempre più grande di quello che avrei potuto sperare.

Non mi ricordo finora di averlo mai pregato di una grazia senza averla subito ottenuta. Ed è cosa che fa meraviglia ricordare i grandi favori che il Signore mi ha fatto e i pericoli di anima e di corpo da cui mi ha liberata per l’intercessione di questo santo benedetto. Ad altri santi sembra che Dio abbia concesso di soccorrerci in questa o in quell’altra necessità, mentre ho sperimentato che il glorioso S. Giuseppe estende il suo patrocinio su tutte.
Con ciò il Signore vuole darci a intendere che, a quel modo che era a lui soggetto in terra, dove egli come padre putativo gli poteva comandare, altrettanto gli sia ora in cielo nel fare ciò che gli chiede. Ciò han riconosciuto per esperienza varie altre persone che dietro mio consiglio gli si sono raccomandate. Molte altre gli si son da poco fatte devote per aver sperimentato questa verità.

Procuravo di celebrarne la festa con la maggior possibile solennità.
Per la grande esperienza che ho dei favori di S. Giuseppe, vorrei che tutti si persuadessero ad essergli devoti. Non ho conosciuta persona che gli sia veramente devota e gli renda qualche particolare servizio senza far progressi in virtù. Egli aiuta moltissimo chi si raccomanda a lui. È già da vari anni che nel giorno della sua festa gli chiedo qualche grazia, e sempre mi sono vista esaudita. Se la mia domanda non è tanto retta, egli la raddrizza per il mio maggior bene.

Chiedo solo, per amor di Dio, che chi non mi crede ne faccia la prova,  e vedrà per esperienza come sia vantaggioso raccomandarsi a questo glorioso patriarca ed essergli devoti.

Gli devono essere affezionate specialmente le persone di orazione, perché non so come si possa pensare alla Regina degli angeli e al molto da lei sofferto col Bambino Gesù, senza ringraziare S. Giuseppe che fu  loro di tanto aiuto. Chi non avesse maestro da cui imparare a far orazione, prenda per guida questo santo glorioso e non sbaglierà.


La Solennità dell'Immacolata

 

L'Immacolata Concezione di Giambattista Tiepolo
A questa Divina Madre, sempre in atto di offrire Gesù ai redenti dal Sangue suo, si eleva la preghiera di ciascuno divenuta supplicazione universale, affinché ci ottenga la sovrabbondanza dei favori celesti per il trionfo della grazia sulla natura: così che il Nostro fiducioso abbandono in Dio Ci preservi dai pericoli presenti e futuri del costruire sulla sabbia e dell'agitarci invano: ma piuttosto chiarifichi le menti, purifichi i cuori e dia sicurezza ed entusiasmo ai Nostri passi, per l'avvento del Regno di Dio sulle singole anime, sulle famiglie, sulle istituzioni religiose e civiche, e sull'intera umanità. 
Così sia
PP. Giovanni XXIII


Un po’ di storia
. Il dogma dell’Immacolata Concezione fu proclamato da Pio IX nel 1854 con la bolla "Ineffabilis Deus". La Vergine Maria fu ufficialmente riconosciuta immune dal peccato originale, fin dal primo istante del suo concepimento. Una decisione presa dal Pontefice, durante il suo esilio in Gaeta (1849-1851), dopo ave affidato la sua vita alla Madonna e le aveva chiesto la grazia di far ritorno a Roma.

Finanziato da re delle Due Sicilie Ferdinando II fece costruire in piazza di Magnanelli, nei pressi di piazza di Spagna a Roma un monumento dedicato alla Vergine Immacolata. L’opera fu benedetta e inaugurata l'8 dicembre del 1857. Un secolo dopo Giovanni XXIII fu il primo Papa a recarsi personalmente in piazza di Spagna per omaggiare con un cesto di rose bianche la statua dell’Immacolata (8 dicembre 1958). Da allora ogni anno ogni Papa ha ripetuto l’omaggio.


Analoga cerimonia si svolge a Napoli, dove alla presenza del Vescovo viene portata in cima all’obelisco dell’Immacolata. La prima pietra della guglia dell’Immacolata fu posta il 7 dicembre del 1747 per volere del gesuita Francesco Pepe; la costruzione fu finanziata esclusivamente con le elemosine dei fedeli.

Nella devozione cattolica l'Immacolata è collegata con le apparizioni di Rue du Bac a Parigi (1830) e soprattutto quella di Lourdes (del 25 marzo 1858) dove Maria apparve a Bernardette presentandosi come «l’Immacolata Concezione». Parole che la giovane contadina non comprendeva, ma riferì al parroco, che ne rimase turbato, conoscendo il dogma proclamato quattro anni prima dal Papa.