«Risvegliaci e illuminaci, Signore mio, affinché conosciamo e amiamo i beni che ci porgi continuamente, e sapremo che ti sei mosso a farci grazia e che ti sei ricordato di noi» (Giovanni della Croce, ocd FB 4,9).
L’Avvento è il “tempo forte” della Chiesa nel quale siamo invitati ad una preghiera più intensa. Una preghiera nella quale non chiediamo qualcosa, ma cerchiamo ed aspettiamo qualcuno, Gesù Cristo. Dobbiamo intensificare l’orazione come “sete di Dio”, alla quale ci invita soprattutto il Vangelo, quando ci chiede di «vegliare e pregare in ogni momento», in modo che la nostra attesa di Lui sia sostenuta dalla speranza cristiana. Ma domandiamoci: è possibile “pregare in ogni momento” come comanda il Signore, o “pregare ininterrottamente», come chiede san Paolo ai suoi discepoli di Tessalonica? No. E’ lo stesso Apostolo che, rimproverando i Tessalonicesi per un’attuazione letterale del suo comando, ci invita a distinguere lo “stato di preghiera” dall’atto di pregare. Lo “stato di preghiera” è la percezione continua di essere alla presenza di Dio (lo insegna Teresa di Gesù, la vita di preghiera di Fra Lorenzo della Risurrezione). E questa possiamo averla anche durante il lavoro o lo svago. L’atto della preghiera suppone, invece, che cessiamo le altre occupazioni per dialogare personalmente con Dio. Abbiamo bisogno di entrambe.
La prima domenica di Avvento c'invita a essere vigili, ad alzare lo sguardo verso il Cielo. Il santo carmelitano Giovanni della Croce a commento della sua "Fiamma d’amor viva", parla del risveglio di Dio nell’anima, del Verbo sposo nel fondo dell’anima, che è una sorta di un movimento che il Verbo produce nella sostanza dell’anima. Così l’anima stessa è risvegliata dal sonno grazie al risveglio di Dio in lei, e passa da una conoscenza naturale ad una conoscenza soprannaturale che permette di «conoscere le creature mediante Dio e non Dio mediante le creature, ciò significa conoscere gli effetti mediante la loro causa e non la causa mediante gli effetti» (FB 4,5).
Ma S. Giovanni della Croce (di cui il 14 dicembre celebriamo la memoria liturgica che per noi carmelitani è solennità) è anche colui che per celebrare nel periodo in cui fu imprigionato il tempo sacro dell'Avvento, si dedicò a ri-esprimere, in poesia, il Prologo del Vangelo di Giovanni e il Vangelo dell'Infanzia di Gesù, componendo così Nove Romanze, trinitarie e cristologiche. In quel secolo, la creazione poetica e musicale delle "Romanze" era un fenomeno molto diffuso che impregnava la vita e la cultura popolare della Spagna.
QUINTA ROMANZA (l'attesa)
..la speranza lunga
e il crescente desiderio
di godere con lo Sposo
di continuo li affliggeva…
Dicean gli uni:… "Orsù, Signore
Invia chi ci devi mandare!"
Ed altri: "Oh, se squarciassi
I cieli e potessi ammirare
con i miei occhi la tua discesa…!"
Altri dicevan: "Felice
chi in quel tempo vivrà,
e con i suoi occhi mortali
di veder Dio meriterà,
e toccarlo con le mani
e stare in sua compagnia
e godere dei misteri
che ordinerà in armonia!".
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