Noi e il Castello Interiore

NEL CASTELLO INTERIORE CON TERESA ...
Possiamo considerare la nostra anima come un castello fatto di un sol diamante o di un tersissimo cristallo, nel quale vi siano molte mansioni, come molte ve ne sono in cielo. Del resto, sorelle, se ci pensiamo bene, che cos'è l'anima del giusto se non un paradiso, dove il Signore dice di prendere le sue delizie? E allora come sarà la stanza in cui si diletta un Re così potente, così saggio, così puro, così pieno di ricchezze? (Capitolo 1, 1)


Il calendario realizzato con i disegni di p. Enzo Caiffa, carmelitano scalzo, che illustrano le sette dimore del Castello Interiore (qui sopra la prima immagine), ci offre lo spunto per fare un piccolo percorso di lettura artistica e spirituale, anche con altre opere ispirate al libro della santa di Avila.
Il 15 ottobre comincerà il nostro percorso di lettura personale e ci ritroveremo qui, per esaminare ogni dimora, anche con l'aiuto dei bei disegni realizzati da p. Enzo Caiffa.
Da dicembre fra i post che avranno come etichetta "Il Castello interiore" vi daremo anche un resoconto dei cinque incontri sul Castello tenuti da p. Luigi Gaetani e p. Arturo Beltran
Peruna lettura personale, continua, dell'opera consigliamo di leggere un capitolo a settimana. Alla fine di aprile lo avremmo letto tutto e potremmo tornare a riflettere sugli aspetti più interessanti. Cliccando qui è possibile leggerlo e scaricarlo.

E L'ORIGINALE DOV'E'?
 L'autografo delle Mansioni si trova nel monastero delle Carmelitane Scalze di Siviglia dall’ottobre del 1618. Nel 1622 fu portato in processione per le vie di Siviglia in occasione dei festeggiamenti per la canonizzazione dell'autrice.
L'ultima e più prolungata uscita del manoscritto è avvenuta  nel 1961,a Roma, dove fu portato per essere restaurato nell'Istituto Restauro del libro del Vaticano e nell'Istituto di Patologia del libro d'Italia. A parte la rilegatura che ne impediva una consultazione agevole che non ne intaccasse le pagine, anche l'inchiostro con cui la S. M. scriveva (realizzato dalle monache con acqua e limature di metalli), era diventato rossiccio e sbiadito, bucando addirittura alcune pagine. Sottoposto a una cura disossidante, liberato dalla rilegatura barocca, fu rilegato in velluto vermiglio con capitelli bianco rosso e fogli di guardia in autentica carta filigranata del secolo XIII.Chiuso poi in una custodia di cristallo puro e argento che rappresenta simbolicamente un castello (vedi foto) fu riconsegnato proprio cinquant'anni fa alla custodia delle carmelitane scalze di Siviglia.Il restauro fu fortemente voluto dal Generale dell'Ordine, padre Anastasio Ballestrero.


IL CASTELLO, SECONDO P. ENZO CAIFFA

L’espressione artistica di Padre Enzo Caiffa nelle illustrazioni del nuovo calendario 2013 del Santuario S. Maria Madre della chiesa di Jaddico, ( Brindisi ) si può riassumere con tre parole, passione artistica, poesia e spiritualità profonda.

I soggetti sono tutti ispirati al libro più famoso  della Santa Madre, il Castello interiore, eseguiti con un interessante semplicità, con la tecnica del pastello su carta.

Si notano le espressioni dei volti delle varie figure che esprimono grandi momenti emozionanti  nell’ itinerario dell’anima nel cammino di trasformazione nelle varie stanze misteriose.

La gamma dei colori non è vasta ma essenziale, tonalità molto delicate con sfumature avvolgenti, gli sfondi sono luminosi, gioiosi, mai cupi. Chi vuol capire il significato di questo impegnativo lavoro non si illuda di poterlo fare con un semplice e affrettato sguardo, ma se si vuole intendere i significati, deve soffermarsi con attenzione e semplice predisposizione, scrutando fra le righe delle varie rappresentazioni dipinte. E’ questo il segreto per avvicinarsi a questo lavoro artistico: tutto nasce da forti emozioni spirituali che questo libro della Santa Madre suscita in un carmelitano scalzo che è anche un artista, con una grande voglia di esprimere il suo amore per il Carmelo.
Paolo De Santi ocds


Inizia il nostro percorso 
con p. Luigi Gaetani ocd
Quest’anno il libro che è sotto la nostra attenzione è il Castello Interiore e credo che sia una coincidenza estremamente benefica il fatto che coincida con un altro percorso, quello della Chiesa universale: l’Anno della Fede. Il Papa all’inizio della Lettera di indizione, "Porta Fidei", ci dice “La “porta della fede” che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi” . Allora è bello pensare che l’anno della Fede abbia a che vedere con l’esperienza narrata da Teresa nel Castello Interiore, dove tutto tende all’intima unione con Dio. Colleghiamo questi due elementi, l’Anno della Fede e la possibilità di accedere a questa intima comunione, perché varcare la porta della fede non significa che dopo la porta non ci sia nulla. Non possiamo immaginare un palazzo fatto solo di un grande portale...c’è un infinito da conoscere. Ecco noi vogliamo partire da qui: varcata la porta della fede, c’è un infinito da conoscere. Ci accompagnerà Teresa di Gesù, maestra nel prenderci per mano e guidarci sino a quell’intima comunione con Dio. In particolare, a questo percorso in cinque tappe, abbiamo dato il titolo “Il Cielo è dentro di te”. Sì, perché dobbiamo scoprire che il cielo è la parte più intima di noi stessi e Teresa vuole condurci proprio nell’intimità di questo cielo interiore. 

      Il linguaggio è chiaramente simbolico. Comprendiamo, quindi, che il castello non è una costruzione: tu sei il castello. Teresa vuol dire che al centro del Castello c’è una Presenza che non è solo la tua. E ci lascia nel desiderio di scoprire chi c’è insieme con noi, nel più profondo centro dell’anima. 
Due Castelli a confronto Mi piace iniziare questo percorso mettendo a confronto Teresa e Kafka. Teresa ha scritto il Castello Interiore nel 1577 e Kafka ha scritto Il Castello nel 1922 . Entrambi, con uno scarto di 350 anni, hanno scritto un’opera in cui descrivono uno stesso soggetto ed entrambi, con l’immagine del castello, hanno voluto descrivere la condizione esistenziale dell’uomo loro contemporaneo. 
    Il Cinquecento in cui visse Teresa è un tempo di grandi slanci, grandi desideri, grandi trasformazioni, grande rinascita: el siglo de oro (anche Napoli ne subisce l’influsso); ma è anche tempo di grande degrado umano, spirituale. Così Teresa sperimenta la condizione dell’uomo del suo tempo. 
      Kakfa scrive, invece, dopo la prima guerra mondiale, in un tempo in cui c’è in voga l’esistenzialismo, in cui si afferma il pensiero di Nietzsche che semina il desiderio di potenza, tempo in cui l’uomo perde la misura di se stesso e desidera vivere al di sopra delle sue possibilità, al di là del bene e del male. C’è quindi un filone che accomuna la condizione degli uomini del tempo di Teresa e del tempo di Kafka: una grande crisi spirituale. La storia narrata da Kafka è quella di un uomo, il geometra K., che riceve una lettera di assunzione per lavorare proprio nel misterioso castello che sovrasta il luogo in cui vive. Si mette in viaggio, arriva lì … ma non trova nessuno. Non c’è possibilità di entrare. Direbbe Montale “il varco non è possibile”. Con quel mondo non si riesce ad entrare in comunicazione. Proviamo immaginare la condizione di quest’uomo . Tutti abbiamo una collocazione e una realizzazione nella vita. O forse anche noi troviamo finestre e porte blindate. Non troviamo un varco nella vita. Rischiamo di rimanere fuori come lui... Il geometra K. sperimenta la sua condizione di escluso, di straniero, sperimenta un’alienazione profonda. Eppure quest’uomo non vuole assolutamente arrendersi. Kafka narra allora i tentativi che egli fa per entrare in comunicazione almeno con gli abitanti del villaggio sovrastato dal castello. 
      Ma che cos’è il Castello per Kafka? È, in primo luogo, l’amara allegoria della vita. Il castello rappresenta l’impossibilità per l’uomo di realizzare quello che lui desidera. La vanità, possiamo dire, dei suoi innumerevoli sforzi per poter entrare in quel castello. Il castello è anche la sede della burocrazia, della gerarchia. Amministra il villaggio con un groviglio di leggi cui questi uomini sono soggetti. E questi fanno fatica ad accettarle ma se ne servono come scudo rispetto a coloro che vengono da fuori, come il signor K. Con lui, gli abitanti del villaggio non solidarizzano perché hanno paura, perché lo considerano un avversario e perché sono abituati a vivere in questa situazione assurda: nella solitudine, senza relazioni, senza morale. Eppure il signor K. non desiste: vuole comunicare con il mondo del castello. Il tema fondamentale del racconto è questo: c’è la possibilità di una accoglienza, di una comunicazione, di tessere rapporti umani? Allora la modernità di Kafka sta nella denuncia dell’angosciosa sofferenza di un uomo che permane al di fuori del castello, senza alcuna possibilità di entrare, escluso dalla vita, senza un sogno di amore sponsale o familiare. È tragica la conclusione: nonostante tutti i suoi tentativi l’uomo non varca la porta del castello. Si può vivere tutta l’esistenza senza trovare un varco che ti porti nell’anima? Il mondo di oggi è un mondo fatto di superficie, non educa all’interiorità. C’è un uomo che vive, che ha il diritto di farlo, che ha le condizioni per accedere alla propria interiorità; eppure non riesce a farlo.     
       Vediamo invece come Teresa descrive la condizione dell’uomo che vive estraneo, quasi paralizzato all’esterno castello. Teresa pone all’inizio una frase “Qui si tratta della bellezza e della dignità delle nostre anime” Così, mentre Kafka, amaramente, conclude che non c’è possibilità di conoscersi, di relazionarsi, lei fin dall’inizio delinea subito due categorie “la bellezza” e “la dignità”, per sottolineare che vale la pena affrontare questo cammino che si fonda sulla scoperta di te come bellezza, di te come persona con dignità. Poi è  preoccupata di insegnare subito la possibilità e il dovere di entrare subito nel castello. Certo, esiste una condizione che potrebbe impedirne l’accesso, ma io, dice Teresa, posso insegnare il modo per trovare la via, perché l’uomo non può vivere una intera vita fuori di sé. E non importa quando egli ci riesca, se a venti , quaranta o a ottant’anni. Deve riuscirci. E non si tratta solo di entrare, ma di abitare e abbellire - progressivamente - tutte le dimore, ogni stanza della propria interiorità. 
        Ci sono molteplici stanze, ci dice Teresa. Perché stabilisce questo sin dal principio? Perché vuol dire che ciascuno di noi è un castello unico e che ognuno ha un modo unico di vivere la sua dignità di persona, di abbellire la propria interiorità … ma deve conoscerla. E dice: Vi posso aiutare a varcare la porta fino a raggiungere l’appartamento regale dove siete attesi. Teresa gioca sull’immagine di un castello reale, la dimora del re, che adesso è la tua dimora. Che tu sia povero o che sia ricco, che sia giovane o anziano, che sia un lavoratore o che non abbia un posto di lavoro non conta niente… sei come un castello regale in cui c’è una stanza in cui sei amorevolmente atteso. 
   Chi c’è ad attenderti? Ecco Teresa crea il desiderio di scoprire chi c’è ad attenderti. Questo ci serve per dire due cose: 
1) tu puoi entrare nel tuo castello 
2) Teresa, rispetto alla depressione dell’uomo di Kafka, incoraggia, ti dice che tu sei una cosa bellissima, che hai la possibilità di farcela. 
L’anima da lei descritta è un come un cristallo illuminato. E la luce non è presa dall’esterno, ma dall’interno. Anche se noi ci mettiamo della pece, lo abbrutiamo, lo oscuriamo, deprimendoci (ci sono tanti modi per versare pece su quel cristallo) non possiamo spegnere la Luce. Basta ripulire il cristallo per rendersi conto che Essa non ha mai cessato di illuminare. E così, mentre ci prende per mano, Teresa ci dice che le mansioni, cioè le stanze interiori, si moltiplicano “a base di amore”. Il percorso è possibile se tu ami. Se non ami non fai nulla. Teresa insegna che si tratta di un percorso di amore.  Quanto più ami, tanto più la tua interiorità diventa immensa. Cosi Teresa all’inizio, poi sottolinea “ c’è molta differenza fra stare e stare” Ed è come ci chiedesse: tu come stai? Rispetto a te stesso, rispetto al castello, rispetto agli altri. Ha chiarito che è necessario l’amore. Si può stare attorno al castello e non entrare, Si può guardare il castello dall’esterno. Si possono osservare i particolari del castello ma non cercare chi vi abita … a tanto può giungere la non conoscenza di sé. Dice Teresa che alcune persone si rassegnano a vivere così, alla maniera di rettili e di bestie (luogo dell’insicurezza), nonostante la nobiltà della loro natura e la possibilità che hanno di conversare nientemeno che con Dio. 
     Si può restare fuori come bestie. Si può vivere così. Perché non trovi un rimedio? Ti è comodo stare fuori? Qual è il rimedio? Teresa tira fuori una trovata delle sue: il rimedio è l’orazione. Ma se crediamo che conoscere se stessi basti pregare allora non abbiamo capito Teresa. Ricordate come definisce nel Libro della Vita l’orazione? “Per me l’orazione è stare da solo a solo frequentemente con Colui dal quale sappiamo di essere amati”, una definizione complessa. Ha una dimensione antropologica e teologica. Notate innanzitutto quel verbo “stare”. Ci sta spiegando come stare nel castello. Teresa sta dicendo che non ci può essere esperienza di fede senza umanesimo, ma che ogni esperienza di fede esige umanesimo altrimenti non è vera. Per Teresa, l’orazione è relazione. È questo il rimedio contro l’esteriorità. 
Vedete le differenze con Kafka? Lì non c’erano relazioni. Una persona che non è capace di relazioni non è una persona che può stare davanti a Dio. Allora il messaggio di Teresa è questo: èducati alle relazioni per poter vivere la relazione. Non c’è possibilità di quella relazione se tu sei una persona incapace di relazioni. Teresa non fa sconti: siamo fatti per le relazioni ed è la verità delle relazioni che ci fa crescere in umanità. Dobbiamo imparare a tessere relazioni, a vivere in relazione. Non è facile, lo capisco, ma non possiamo arrenderci dicendo “io sono fatto così” o non credere che si possa ricostruire una relazione. Teresa è una donna orante perché è una donna di relazione. Vedete come ha umanizzato la sua fede. Il suo umanesimo ha avuto dei riverberi innumerevoli nell’orazione. Vedete come la definizione di orazione che dà Teresa ci appare chiara in ogni sua parola. I carmelitani e le carmelitane dovrebbero splendere per umanità. Se cominciate a pregare come spiega Teresa, cioè rivolgendosi come ad un amico a cui ci si racconta, vedrete che vi risulterà molto più facile pregare e troverete che la preghiera diventa un’attitudine (puoi stare in chiesa e pregare, puoi stare in ufficio e pregare, puoi stare sul tram e pregare, puoi stare in cucina e pregare….). 
             Dopo aver varcato la porta del castello l’impegno a cui ci chiama la santa è il conoscere se stessi. È l’argomento della prima mansione (capitolo 2, paragrafo 8). Vi porto un esempio di un altro santo, S. Francesco . I santi si comprendono in una maniera meravigliosa fra di loro. Francesco si trova alla Verna, in un luogo isolato. Lo segue solo fra Leone. Dicono le fonti francescane che fra Leone lo cerca. Lo trova in ginocchio con le mani alzate verso il cielo, in preghiera, ripetendo queste parole: Chi sei tu o dolcissimo Iddio mio e chi sono io vilissimo verme e disutile servo tuo? Fra Leone gli chiede il motivo di quelle parole. Francesco allora gli spiega che gli erano stati mostrati due lumi: uno sulla notizia e conoscimento di sé e uno sul conoscimento del Creatore. Conoscenza di sé. Come accade? Accade quando si accendono queste due luci nella nostra vita: una su Dio (sappiamo chi è Dio per esperienza) e una su di me (so chi sono io). Ciò deve portare alla vera umiltà: dove io non devo essere ridotto a polvere, ma ho la consapevolezza, ma ho la misura di me stesso e del mio Creatore. 
        Avere la misura significa anche non avere falsa umiltà, cosa da cui - se ricordate - Teresa mette spesso in guardia. La conoscenza di sé significa confrontarsi con i propri limiti e non considerarli una disgrazia. È un insegnamento bellissimo e moderno a cui Teresa applica una virtù: l’umiltà. Se non c’è umiltà non c’è vera conoscenza di se stessi. Guardate che percorso ci fa fare: Umiltà, conoscimento di sé, verità. Questa è la modernità di Teresa che tocca l’essenza di ciascuno di noi. Il conoscimento di sé non ci porta ad essere negativi, ad avvilirci, ma per avere una considerazione alta di sé, alla luce della misericordiosa bontà di Dio, di un Dio che si piega su di noi amorevolmente. In questo modo ci sentiamo immensamente amati pur sapendo di non averne merito. Ecco il conoscimento di sé e il conoscimento di Dio.    
di P. Luigi Gaetani Ocd Superiore della Provincia Napoletana
Sintesi della trascrizione del primo incontro di “Il Cielo è dentro di te” tenuto nella Chiesa di S. Teresa a Chiaia (Napoli)  

PRIMA MANSIONE O DIMORA (Capitoli 1 e 2)
 La porta per entrare è l'Orazione e non bisogna mai voltarsi indietro. Considerare la propria anima come un castello significa considerare la Bellezza e Dignità di ogni anima. Entrando l'anima porterà con sé alcuni "animaletti" (ecco spiegata la presenza di questi animali all'ingresso, mentre l'anima individua il percorso che sente di dover cominciare).
Addentrandosi l'anima si rende conto della bellezza di questo castello che solo il peccato può rendere opaco e cupo. Scrive Teresa: "Prima di andare innanzi, vi prego di considerare come si trasformi questo castello meraviglioso e risplendente, questa perla orientale, quest'albero di vita piantato nelle stesse acque vive della vita che è Dio, quando s'imbratti di peccato mortale.
Non vi sono tenebre così dense, né cose tanto tetre e buie, che non ne siano superate e di molto. Il Sole che gli compartiva tanta bellezza e splendore è come se più non vi sia, perché, pur rimanendo ancora nel suo centro, l'anima tuttavia non ne partecipa più".
Sono tre gli aspetti che Teresa sottolinea:
Il senso della dignità di ogni essere umano fatto a immagine di Dio
il Senso di Dio  "Si deve intanto considerare - scrive - che la fonte, o, a meglio dire, il Sole splendente che sta nel centro dell'anima, non perde per questo il suo splendore né la sua bellezza"
il senso del peccato   C'è una virtù che deve guidarci già dalla prima dimora. Scrive, infatti, la S. M. Teresa: È tanto importante conoscerci, che in ciò non vorrei vi rilassaste, neppure se foste già arrivate ai più alti cieli, perché mentre siamo sulla terra, non c'è cosa più necessaria dell'umiltà.

 Seconda Mansione o Dimora 
(Capitolo unico)
  In questa dimora si affina la sensibilità all'ascolto della voce di Dio, e c'è una lotta costante, un sforzo per mantenersi fedele, di fronte alle tendenze istintive che minacciano il processo iniziato.
Siamo ancora ingolfati negli affari, nei passatempi, nei piaceri e nelle distrazioni mondane; e siccome fra bestie tanto velenose, pericolose e insidiose, fa quasi meraviglia non inciampare e cadere, cadiamo ancora nei peccati e poi ci rialziamo. Eppure questo nostro Signore vede tanto volentieri che noi l'amiamo e ne cerchiamo la compagnia, che non lascia di quando in quando di chiamarci perché andiamo a Lui. Ed è così dolce la sua voce che la povera anima, vedendo di non saper far subito quello che le dice, si sente tutta distruggere!
"Per giungere alle ultime mansioni occorre PERSEVERANZA"
Che pretese le nostre! Ci dibattiamo ancora fra mille inciampi e imperfezioni, con virtù novelline, ancora incapaci di muoversi perché nate da poco - e piaccia a Dio che siano almeno nate! - eppure osiamo lamentarci delle aridità e voler dolcezze nell'orazione! ... Guardatevene assolutamente, sorelle! Abbracciate la croce che il vostro Sposo portò sulle spalle, convincendovi di non dover fare che questo.