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Esercizi Spirituali per l'Avvento con Maria dell'Incarnazione
"Tutti santi, perché Dio è santo!" meditazione di p. Luigi Gaetani
Celebrare tutti i Santi dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi significa associare, in un’unica memoria, la bellezza poliedrica di tanti fratelli e sorelle che, nascosti con Cristo in Dio, hanno dato un’infinità di sfumature esistenziali alla loro vocazione-missione. Significa non ricordare solo i nostri campioni e dottori della Chiesa (la Santa Madre Teresa di Gesù, il Santo Padre Giovanni della Croce e Santa Teresa di Gesù Bambino), ma anche i santi riconosciuti e acclamati in tante parti del mondo, dall’America Latina (Teresa de los Andes) alla Polonia (San Raffaele Kalinowski e il B. Alfonzo M. Mazurek), dalla Spagna (S. Enrico de Osso’, B. Maria di Gesù, B. Francesco Palau, Beate Maria Pilar, Teresa e Maria Angeles, B. Josefa Naval Girbés e S. Gioacchina de Vedruna) all’Italia (B. Maria degli Angeli, B. Maria Teresa Manetti, B. Elia di San Clemente, B. Maria Giuseppina di Gesù Crocifisso, Beata Candida dell’Eucaristia, Santa Teresa Margherita Redi) dalla Francia (B. M. Eugenio di G.B., S. Elisabetta della Trinità) alla Germania (Santa Teresa Benedetta della Croce e la Beata Maria Teresa di S. Giuseppe), fino ad Israele (S. Maria Baouardy).
Oltre questa corona di santità, l’idea che è sottesa alla celebrazione odierna riguarda tanti fratelli e sorelle, tanti laici aggregati all’Ordine che, nella ordinarietà della loro vita, hanno vissuto una graduale configurazione a Cristo Signore (Gal. 2,20).
Il Carmelo teresiano ha sempre espresso, fedele alla intuizione della Santa Madre Teresa di Gesù, la gioia come forma di vita. Basta visitare una comunità carmelitana, subito si coglie la dimensione dell’essere una comunità-famiglia che sa accogliere, ascoltare, trasmettere gioia. Non generando situazioni di circostanza e di facciata, ma di amicizia e di cordialità. In effetti, la gioia al Carmelo non è tanto un sentimento che scaturisce dalle circostanze, ma si configura come una esperienza permanente, vitale. E’ consapevolezza teologale che correla l’esperienza della gioia con il dono della gioia, dove Dio è la sorgente di questa forma di vivere la vita e ogni religioso/a, ogni laico è attuazione di questo saper “vedere” Dio in ogni cosa e rallegrarsene a tal punto da vivere in una condizione gioiosa, in uno stato di letizia, nonostante tutto (S. Teresa di Gesù, Cammino di Perfezione, Cap. 26,1.3-5; Vita, Cap. 4,7; 12,2).
da chi si fa «bambino» (Mc 10,14-16). Questa via è un’esistenza nascosta, senza estasi, senza penitenze particolari, senza appariscenza, tutta occupata a mettere amore nelle attività ordinarie. Ha scoperto che il Signore è misericordia in modo particolare per le creature «povere», che riconoscono cioè la loro piccolezza spirituale, la loro impotenza a raggiungere la santità con le sole proprie forze. La Santa intuisce e ripropone la verità evangelica della gratuità assoluta dell’amore di Dio, che si comunica agli uomini in proporzione alla povertà del loro cuore, cioè alla loro consapevolezza che Egli non deve loro nulla e tuttavia mendica il dono dell’amore collocato nelle umili cose quotidiane, fatte appunto per suo amore.
SANTA ELISABETTA DELLA TRINITA'
ELISABETTA DELLA TRINITA': Spirito di adorazione e di lode 8 novembre
Sento tanto amore attorno alla mia anima. È come un oceano in cui mi getto e mi perdo... Egli è in me e io in Lui. Non ho che da amarlo e da lasciarmi amare, ad ogni istante e in ogni cosa: svegliarmi nell’amore, muovermi nell’amore, addormentarmi nell’amore, con l’anima nella sua anima, il cuore nel suo cuore, e gli occhi nei suoi occhi... Se sapesse come sono piena di Lui! (Lettera 146).
Elisabetta Catez nasce il 18 luglio 1880, domenica mattina, in una baracca del campo militare di Avor, vicino a Bourges, dove il padre, Giuseppe Francesco, è ufficiale col grado di capitano.
La nascita e' preceduta da gravi
preoccupazioni: i medici infatti hanno avvertito che il cuore del nascituro non
batte piu' e che bisogna intervenire per salvare almeno la madre.
I genitori chiedono al Capellano Chaboisseau di celebrare una Messa per ottenere da Dio un parto felice. Al termine della Messa viene al mondo una bambina sana, molto bella e vivace. La piccola viene battezzata nello stesso campo militare, il 22 luglio.
Vive la sua infanzia a Bourges, poi ad Auxonne e successivamente e Digione. Qui, il 20 febbraio 1883 nasce la sorellina Margherita, la piccola Guite. Ha solo 7 anni quando muore il nonno materno, Rolland. Otto mesi dopo, il padre, muore nelle braccia di Elisabetta, stroncato da una crisi cardiaca. L’ animo sensibile della giovane è profondamente toccato dalla morte del padre e il dolore che questa morte porta in questa famigliola.
Senza mai frequentare scuole vere
e proprie, ebbe i primi rudimenti del sapere, dello scrivere e delle scienze da
due istitutrici. Però fin da piccola
frequentò il conservatorio di Digione, dove trovò nella musica una forma di
donazione e di preghiera. Ottenne i
primi premi di esecuzione al pianoforte.
In piena adolescenza, cominciò a sentirsi appartenere a Cristo e, racconta lei stessa
"Senza
attendere, mi legai a Lui con il voto di verginita'; non ci dicemmo nulla, ma
ci donammo l'uno all'altra in un amore tanto forte che la risoluzione d'essere
tutta sua divenne per me ancor piu' definitiva”.
Sentì risuonare nel suo spirito
la parola "Carmelo" per cui non ebbe altro pensiero che ritirarsi in
tale sacra struttura.
Trovò, però, una forte opposizione nella madre, la quale rimasta vedova così giovane, aveva riposto nella figlia e nelle sue possibilità musicali, di avere un aiuto nella vita, pertanto si mostrò contraria alla vocazione di Elisabetta, proibendole di frequentare il Carmelo di Digione, anzi proponendole il matrimonio con un buon giovane.
Ma Elisabetta era innamorata di Cristo e non c'era spazio per altro amore. In ogni caso ubbidì alla madre per quanto riguardava i contatti con il monastero con cui era venuta in contatto, pur ribadendo la sua immutata volontà. Solo quando Elisabetta raggiunge i 19 anni, la Signora Catez cedette, ponendo però la condizione che la figlia avrebbe potuto entrare nel Carmelo solo compiuti i 21 anni. Nel frattempo la face condurre una vita di feste frequentando la buona Società con la speranza di farle cambiare idea.
Ma Elisabetta, anche in mezzo al mondo, ascoltava il suo Gesù. Prima di uscire per queste feste, s'inginocchiava in casa e pregava, si offriva alla Madonna e poi viveva queste occasioni di festa, rendendosi estranea e insensibile a tutto quelle che le accadeva attorno.
Scriveva: "Quando lo si ama...quando non si agisce che per lui, sempre alla
sua Santa presenza, sotto quello sguardo divino che penetra nel piu'
intimo...anche in mezzo al mondo si pio' ascoltarlo, nel silenzio di un cuore
che non vuol essere che suo".-
Si preparò alla vita monastica, insegnando il catechismo ai piccoli della parrocchia, soccorrendo i poveri in comunione stretta con la Trinita'.
Elisabetta entrò nel Carmelo il 2 agosto 1901, e ne vestì l'abito il 11 gennaio 1903, pronunciò i voti prendendo il nome di Elisabetta della Trinità nome che e' un po’ la sintesi della sua spiritualità: essere l'abitazione dove la Trinità' trovi accoglienza e dedizione totale.
Dopo un inizio pieno di speranze, ben presto si manifesta una strana malattia, non diagnosticato correttamente e curato con terapie sbagliate, solo più tardi si diagnosticò il morbo di Addison (profonda astenia, ipotensione, dolori lombari, turbe gastriche, una colorazione bronzea della pelle, dovuta alla tubercolosi delle capsule surrenali.
Sr Elisabetta accettava tutto con il sorriso e l'abbandono alla volontà di Dio, manifestando la sua gioia di configurarsi al "Crocifisso per amore" e diventando "lode di gioia della Trinità". Da un suo scritto del venerdì, 24 febbraio 1899, rileviamo che era a conoscenza del "suo male oscuro e la trasformazione della sofferenza in sublimazione.
"Poiché mi e' quasi impossibile impormi altre sofferenze fisica e corporale non e' che un mezzo per arrivare alla mortificazione interiore e al pieno distacco da se stessi. Parlava comunque e stranamente di gioia, eppure al martirio del corpo si era aggiunto quello dello spirito, con un senso di vuoto e di abbandono da parte di Dio, che tutti i mistici hanno conosciuto. E qui una sua invocazione: "Aiutami Gesù, mia vita, mio amore, mio Sposo".
Il 21 novembre 1904 si era offerta "come preda" alla Trinità con la celebre invocazione: "O mio Dio, Trinità che adoro". Gli anni dal 900 al 1905 trascorsero tra alti e basi della malattia, ma nel 1906 la situazione precipitò. Obbedendo alla priora scrisse le sue meditazioni, frutto di quei mesi terribili, nell’ “Ultimo ritiro di Laudem gloriae" e nel "come trovare il Cielo sulla terra".
Scrisse: “Ma questo e' lo sguardo umano...la fede mi dice che e' l'amore che mi
distrugge, che mi consuma lentamente, e la mia gioia e' immensa".
Il morbo ebbe un decorso lungo e doloroso, verso l'autunno sembro avviarsi alla fine. Il 1 novembre parve giunta l'ultima ora estrema e in quel giorno disse le sue ultime considerazioni "Tutto passa! Alla sera della vita resta solo l'amore. Bisogna fare tutto per amore". Per nove giorni rimase in stato comatoso, in un momentaneo ritorno della coscienza fu udita mormorare: “Vado alla luce, all'amore, alla vita".
Mori il mattino del 9 novembre
1906, a 26 anni.
Come Teresa del Bambino Gesù,
anche Elisabetta fu una grande mistica, che seppe penetrare l'essenza
dell'Amore "troppo grande" di Dio, in intima comunione con i suoi
"TRE", come Elisabetta si esprimeva parlando della SS Trinità, perno
nella sua vita di oblata claustrale carmelitana. Pur essendo vissuta nel monastero poco più di
cinque anni di cui tre come ammalata grave e irreversibile, essa dopo morta godette
subito di fama di santità, che fece pensare ben presto alla sua glorificazione.
Il 25 ottobre 1961 venne introdotta la causa, il 12 luglio 1982 fu riconosciuta venerabile; infine Papa Giovanni Paolo II l'ha beatificata il 25 novembre 1984. Papa Francesco il 16'ottobre del 2016.
(Joanna Verstappen)
Alcuni spunti per approfondire:
La sua spiritualità trinitaria p. Roberto Fornara
Clicca qui per visualizzare e scaricare foglio della celebrazione eucaristica
Domani festeggeremo la nostra S. Elisabetta della Trinità
Dai Vespri di questa sera cominciamo a entrare nella festa liturgica di Elisabetta della Trinità, santa carmelitana.
Ascoltiamo questa conferenza di p. Emilio Martinez dedicata a lei e poi prepariamoci recitando, con lei, questa preghiera che scrisse nell'ultimo ritiro di spirituale.
Preghiera della Beata Elisabetta della Trinità
Mio Dio, Trinità che adoro,
aiutatemi a dimenticarmi interamente,
per fissarmi in voi, immobile e quieta come se la mia anima fosse già nell'eternità;
che nulla possa turbare la mia pace o farmi uscire da voi, mio immutabile Bene,
ma che ogni istante mi porti più addentro nella profondità del vostro mistero.
Pacificate la mia anima,
fatene il vostro cielo, la vostra dimora preferita e il luogo del riposo;
che io non vi lasci mai solo, ma sia là tutta quanta, tutta desta nella mia fede,
tutta in adorazione, tutta abbandonata alla vostra azione creatrice.
O mio amato Cristo, crocifisso per amore,
vorrei essere una sposa del vostro Cuore;
vorrei coprirvi di gloria e vi chiedo di rivestirmi di Voi stesso,
di immedesimare la mia anima con tutti i movimenti della vostra Anima,
di sommergermi, d'invadermi, di sostituirvi a me,
affinché la mia vita non sia che un'irradiazione della vostra vita.
Venite nella mia anima come Adoratore, come Riparatore e come Salvatore.
O Verbo Eterno, Parola del mio Dio, voglio passare la mia vita ad ascoltarvi;
voglio farmi tutta docilità per imparare tutto da voi.
Poi, attraverso tutte le notti, tutti i vuoti, tutte le impotenze,
voglio fissare sempre Voi e restare sotto la vostra grande luce.
O mio Astro amato,
incantatemi, perché non possa più uscire dallo splendore dei vostri raggi.
scendete sopra di me,
affinché si faccia della mia anima come un'incarnazione del Verbo,
ed io sia per Lui un'aggiunta d'umanità nella quale Egli rinnovi tutto il suo mistero.
E Voi, o Padre,
chinatevi sulla vostra piccola creatura,
copritela con la vostra ombra, e non guardate in lei che il Diletto
nel quale avete riposto tutte le vostre compiacenze.
O miei TRE, mio Tutto,
mia Beatitudine, Solitudine infinita, Immensità in cui mi perdo,
mi consegno a Voi come una preda.
Seppellitevi in me, perché io mi seppellisca in Voi,
in attesa di venite a contemplare, nella vostra luce,
l'abisso delle vostre grandezze.
Beata Elisabetta della Trinità
Alcuni testi per conoscerla meglio
- DE MEESTER, C., Elisabeth de la Trinité. Biographie, Presses de la Renaissance, Paris 2006. [trad. italiana: DE MEESTER, C., Elisabetta della Trinità, Paoline, Milano 2010].
- ELISABETH DE LA TRINITÉ, Œuvres complètes, éd. C. De Meester, Cerf, Paris 1991. [trad. italiana: ELISABETTA DELLA TRINITÀ, Opere, a cura di L. Borriello, Paoline, Cinisello Balsamo 1993].
- ELISABETH DE LA TRINITÉ, L’aventure mystique, sous la direction de J. Clapier (Recherches Carmélitaines 5), Editions du Carmel, Toulouse 2006.
- FORNARA, R., Abitare il segreto del tuo volto. Elisabetta della Trinità “faccia a faccia nelle tenebre”, Edizioni OCD, Roma 2016.
Secondo giorno del triduo in preparazione della festa di S. Elisabetta
“Questa volta Gesù stava per nascere non più nella mangiatoia, ma nella mia a n i m a … p e r c h é è veramente l’Emmanuele, il Dio con noi”. “O grazia, o stupendo prodigio, per me sei venuto, per me!”.
E l’anno successivo in una lettera al canonico Angles:
“La vigilia… mi sono trovata nel silenzio solenne del coro, vicino a Lui, e ripetevo con gioia e a me stessa: “Egli è il mio tutto, il mio unico tutto”. Che gioia, che pace dona all’anima questo pensiero! Gesù è solo e io gli ho dato tutto”..
Triduo in preparazione della festa di S. Elisabetta della Trinità
Lettera 217: Alla signora Angles – [Novembre 1905]
Carissima signora e sorella,
ho tanto gradito i suoi auguri e la ringrazio delle preghiere che ha fatto per la sua piccola amica del Carmelo. Da parte sua, le assicuro che essa le serba il ricordo più fedele in colui che è il vincolo indissolubile. Se sapesse quanto la mia anima è attaccata alla sua, oserei perfino dire quanta ambizione ho per lei! La vorrei totalmente data a Dio, pienamente unita a lui che l’ama di un amore così grande. Sì, cara signora, credo che il segreto della pace e della felicità sia quello di dimenticarsi, di disinteressarsi di se stessi. Questo non significa non sentire più le proprie miserie fisiche e morali. I santi stessi sono passati attraverso situazioni così crocifiggenti, ma non ne erano schiavi e sapevano liberarsene ad ogni istante. (…)
Per quanto riguarda il morale, non si lasci mai abbattere dal pensiero delle sue miserie. Il grande S. Paolo dice: «Dove abbonda il peccato, sovrabbonda la grazia» [Rm 5,20]. Mi sembra che l’anima più debole, perfino più colpevole, sia quella che ha più margine di speranza e l’atto che essa compie per dimenticarsi e gettarsi nelle braccia di Dio, lo glorifichi e lo riempia di gioia più che tutti i ripiegamenti su se stessa ed ogni altro tentativo di scrutare le proprie infermità. Essa infatti possiede e porta in se stessa un Salvatore che la vuole purificare ad ogni momento. (…)
Nulla deve sembrarle un ostacolo per andare a lui. Non dia troppo importanza al fatto di essere infiammata o scoraggiata. Passare da uno stato all’altro, è la legge dell’esilio. Quello che conta è che lui non cambia mai, che nella sua bontà è sempre piegato su di lei per unirla stabilmente a sé. Nonostante tutto il vuoto e la tristezza opprimenti, unisca la sua agonia a quella del Maestro nell’orto degli ulivi quando diceva al Padre. «Se è possibile, passi da me questo calice» [Mt 26,39].
Cara signora, forse le sembrerà difficile dimenticarsi. Invece è tanto semplice da non meritare alcuna preoccupazione. Le dirò il mio «segreto». Basta pensare a Dio che abita in noi come nel suo tempio. È San Paolo che lo dice [2Cor 6,16] e possiamo crederlo. A
poco a poco l’anima si abitua a vivere nella dolce compagnia dell’ospite divino, comprende di essere un piccolo cielo in cui il Dio d’amore ha stabilito la sua dimora. Allora essa respira in un’atmosfera divina, direi perfino che non c’è più che il suo corpo sulla terra, e l’anima vive al di là di ogni nube e di ogni velo, in colui che non muta mai. (…)
Non è guardando alla nostra miseria che saremo purificati, ma guardando a colui che è tutto purezza e santità. S. Paolo dice che Dio ci ha scelto per essere conformi alla sua immagine [Rm 8,29]. Nei momenti più dolorosi, si ricordi che il Divino Artista, per rendere più bella l’opera sua, si serve dello scalpello, e rimanga in pace sotto la mano che lavora.
Quel grande Apostolo che è S. Paolo, dopo essere stato rapito al terzo cielo, sentiva la propria infermità, e se ne lamentava con Dio che gli rispondeva: «Ti basti la mia grazia, perché la forza si perfeziona con la debolezza» [2or 12,9]. Non le sembra che tutto questo sia tanto consolante?…
Coraggio dunque, cara signora e sorella, l’affido in modo particolare ad una certa piccola carmelitana morta a 24 anni in odore di santità, che si chiamava Teresa del Bambino Gesù. Essa diceva prima di morire, che avrebbe passato il suo cielo a fare del bene sulla terra. La sua grazia è quella di dilatare le anime, di lanciarle sulle onde dell’amore, della confidenza, dell’abbandono. Diceva di aver trovato la felicità dopo aver incominciato a dimenticarsi. La invochi con me ogni giorno perché le ottenga quella scienza che fa i santi e che dà all’anima tanta pace e felicità!
A Dio, cara signora, questa settimana, essendo l’ultima prima della solitudine dell’Avvento, vedrò la mamma, Margherita e le bambine e non mancherò di salutarle tanto da parte sua. Le nipotine son proprio graziose e formano la gioia della loro cara nonna. Anche i piccoli di M. Luisa devono essere la sua gioia. Dica per favore alla buona M. Luisa che prego per lei e non dimentico i bei momenti di Labastide.
I miei ossequi alla signora Maurel. Per lei, cara signora, creda al mio profondo affetto e alla mia unione in colui di cui S. Giovanni dice che è l’amore [1Gv 4,16].
La sua sorellina e amica
M. Elisabetta della Trinità r.c.i.