Apriamo insieme il “Libro della Vita” di Teresa di Gesù, al capitolo 29. Dopo aver descritto il cammino di orazione percorso, la santa, infatti, si sofferma su grazie particolari, doni sovrannaturali che spesso il Signore le dona. Sono per lo più rivelazioni personali, non prodigi da raccontare per distogliere l’attenzione dall’essenziale (ricordiamo sempre che SOLO DIO BASTA). Ma nel racconto della vita e dei doni ricevuti da Dio, che la santa fa per obbedienza non si può sorvolare sull’episodio in cui il suo cuore è stato trafitto, durante un'estasi.
Ecco come la santa Madre racconta quest’esperienza nella autobiografia: “Il Signore, mentre ero in tale stato, volle alcune volte favorirmi di questa visione: vedevo vicino a me, dal lato sinistro, un angelo in forma corporea, cosa che non mi accade di vedere se non per caso raro. Benché, infatti, spesso mi si presentino angeli, non li vedo materialmente, ma come nella visione di cui ho parlato in precedenza.
In questa visione piacque al Signore che lo vedessi
così: non era grande, ma piccolo e molto bello, con il volto così acceso da
sembrare uno degli angeli molto elevati in gerarchia che pare che brucino tutti
in ardore divino: credo che siano quelli chiamati cherubini, perché i nomi non
me ridicono, ma ben vedo che nel cielo c’è tanta differenza tra angeli e
angeli, e tra l’uno e l’altro di essi, che non saprei come esprimermi. Gli
vedevo nelle mani un lungo dardo d’oro, che sulla punta di ferro mi sembrava
avesse un po’ di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel
cuore, così profondamente che mi giungeva fino alle viscere, e quando lo
estraeva sembrava portarselo via, lasciandomi tutta infiammata di grande amore
di Dio.
Il dolore della ferita era così vivo che mi faceva
emettere quei gemiti di cui ho parlato, ma era così grande la dolcezza che mi
infondeva questo enorme dolore, che non c’era da desiderarne la fine, né
l’anima poteva appagarsi d’altro che di Dio. Non è un dolore fisico, ma
spirituale, anche se il corpo non tralascia di parteciparvi un po’, anzi molto.
È un idillio così soave quello che si svolge tra
l’anima e Dio, che supplico la divina bontà di farlo provare a chi pensasse che
mento.
Teresa poi all’inizio e al termine delle seste dimore
del Castello Interiore, (II capitolo) scrive tra l’altro: “Stavo ora pensando se per caso da questo
fuoco del braciere acceso, che è il mio Dio, non si fosse staccata una
scintilla e avesse colpito l’anima in modo da farle sentire l’ardore di quel
fuoco, ma non essendo tanto forte da consumarla ed essendo così dolce, l’avesse
lasciata con quella pena prodottale nel toccarla. Ecco, a mio avviso, il
miglior paragone che son riuscita a trovare.
E anche quando dura un po’, va e viene. In conclusione, non è mai costante, e per questo non finisce mai di bruciare l’anima. Infatti, quando essa sta per accendersi, la scintilla si spegne e l’anima rimane con il desiderio di tornare a patire quel dolore amoroso che la scintilla le produce… Qui non c’è da pensare che si tratti di un effetto della stessa natura o della malinconia e nemmeno di un inganno del demonio o di illusione, perché si vede bene che è un movimento proveniente da dove abita il Signore, che è immutabile”.


L’'esperienza mistica vissuta da s. Teresa di Gesù e da lei stessa descritta nelle sue opere è ricordata dal nostro Ordine oggi, 26 agosto (Liturgia delle Ore testo proprio – per stampa A4: pdf – word)
In Italia abbiamo molte tele che rappresentano la
cosiddetta “estasi di s. Teresa”, ma quella che meglio rappresenta questo
momento da lei stessa raccontato è la scultura di Gian Lorenzo Bernini,
conservata della Chiesa di Santa Maria della Vittoria a Roma. Ecco un video che ci
descrive l’opera.
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