I TRE RE (MAGI)
di S. Teresa Benedetta della Croce (Edith
Stein)
scritto nel 1942 pochi mesi prima della morte della carmelitana scalza di origini ebree nel campo di concentramento di Auschwitz
Quanto grande deve
essere stata la gioia della Vergine Madre quando vide avvicinarsi lo splendido
corteo dei Tre Re Magi.
Questo era il compimento di ciò per cui aveva pregato
durante tutta la sua vita, era ciò che il profeta regale aveva predetto: «Reges Arabum et Saba dona
adducent».
Ora, primi tra i
gentili, vengono con i loro doni; altri li seguiranno, finché si realizzerà che
tutti i popoli adorino l’Unico Dio in spirito e verità. E con gli occhi dello
spirito [Maria] vide venire un altro corteo: una moltitudine che nessuno può
contare; tutti coloro che ella stessa – lei, madre del Divin Bambino e regina del
suo regno futuro – avrebbe chiamato a seguire suo figlio.
[Vide che]
anch’essi avrebbero portato doni – doni più preziosi dell’oro splendente e
dell’incenso profumato e della mirra pregiata: un cuore libero e distaccato da
ogni bene terreno, quindi puro come l’oro; una volontà che si consuma nell’abbandono
alla volontà di Dio e che si innalza fino a Lui come incenso dal profumo soave;
un’anima che ha vinto le sue passioni e si preserva dalla corruzione mediante
la mirra della mortificazione. Questo è quanto Maria chiederà ai suoi figli e
quanto il Figlio consiglierà ai suoi amici: la via della povertà,
dell’obbedienza e della purezza. Essi lo devono chiedere poiché è la via che
essi stessi hanno scelto. E [i discepoli] la devono percorrere, poiché essa è
la strada regale verso la perfezione, mostrata dalla stessa Santissima Trinità.
Com’è possibile
parlare della povertà di Dio? Non è ricco oltre ogni ricchezza del mondo,
l’unico proprietario di tutto ciò che esiste? E tuttavia: tutto ciò che esiste
– non solo tutto ciò che è stato creato, ma anche il suo stesso essere –
l’eterno Padre lo dona al Figlio; il Figlio lo accetta per ridonarlo al Padre;
ed entrambi lo lasciano scorrere nello Spirito Santo. Le persone divine “posseggono
quindi come se non possedessero” nella perfetta libertà che è “la perfetta
povertà di spirito”. E ciò è quanto s’intende per pratica della virtù della
povertà e per voto di povertà.
Sarebbe possibile
parlare anche dell’obbedienza di Dio?
Sappiamo bene che
la Parola divina, nella sua esistenza umana, ha praticato perfettamente l’obbedienza.
È venuto in questo mondo per compiere la volontà di suo Padre. Per questo si è
sottomesso ai genitori ai quali Dio lo aveva affidato, e a quelle autorità alle
quali Dio aveva dato potere. Ma Dio stesso, il Signore di tutti i signori, in
che senso è obbediente? L’obbedienza è la libera sottomissione di una volontà a
un’altra volontà, così che quelle due volontà sono per così dire una sola
volontà. Solo un essere che abbia potere sulla propria volontà, cioè una
persona, può obbedire. Ciò che non è libero, non è in condizioni di farlo.
Nella Santissima Trinità ci sono tre persone dalla libertà illimitata, eccelsa;
quelle tre hanno però una sola volontà. Si può ancora parlare di obbedienza?
C’è sì una sola volontà, ma sono tre a volere; e ogni persona divina vuole ciò
che vogliono le altre. Quello che si
intende per
obbedienza delle creature, l’unità di diverse persone in un’unica volontà, è
qui superato e compiuto in maniera irraggiungibile. Così come la povertà delle
persone divine è un possedere, come se non possedessero – una libertà perfetta
nei confronti di tutto ciò che è –, così l’obbedienza divina è la perfetta
libertà delle persone da se stesse e dalla propria volontà nell’abbandono alla
volontà l’uno dell’altro. Il Dio che è amore vive in questo abbandono.
Dio come modello di
purezza, questo sembra quasi scontato. Puro è colui che conserva il proprio
essere libero da ogni contaminazione e falsificazione. Tale è l’essere divino a
causa della sua natura. È immutabile, inaccessibile a ogni influsso che non sia
se stesso, vale a dire tutto ciò che è creato. Rimane sempre lo stesso, puro e
separato da tutto ciò che è altro in se stesso. Quando due persone sono unite
da un amore terreno, sono «due in una sola carne»; e ciò non indica solamente
un’unione corporale, ma anche un legame delle anime che fa sì che si cambino
vicendevolmente.
Può essere che esse
in un certo senso diventino conformi l’una all’altra. Ma può anche accadere che
uno dei due diventi dipendente dall’altro in una specie di assoggettamento,
come anche è possibile che lo diventino ambedue; in questo caso la natura subisce
violenza. E anche in caso di conformità, possono deviare entrambi dal proprio
essere, al punto da non essere più ciò che per la volontà di Dio dovrebbero
essere. Il «due in una sola carne» si riferisce nella Sacra Scrittura al
matrimonio. Ora, nel matrimonio, la purezza non è affatto esclusa, piuttosto
esiste un genere particolare di purezza che deve essere esercitata nel
matrimonio. Nel matrimonio autentico gli sposi sono un cuore solo, e più passa
il tempo, più si rassomigliano, ma non a scapito del proprio essere, che
sboccia invece per mezzo di questo legame: l’uomo – come ogni essere vivente –
non viene al mondo già sviluppato, ma ha bisogno di tempo e di circostanze
favorevoli per divenire ciò che deve essere. E per questo sviluppo niente è più
importante delle persone del suo ambiente. Il matrimonio, che «viene contratto
in cielo», è un eccellente fondamento per lo sbocciare dell’essere individuale,
anima e corpo. La ragione di ciò è però la subordinazione del legame reciproco
di queste due persone al loro legame con Dio, legame a cui è ordinato il fine
divino del matrimonio.
Dicevamo che Dio è
separato da ogni creatura e non può venire influenzato da queste. Eppure c’è un
legame tra Dio e l’uomo, e questo legame è il fine ultimo ed eccelso
dell’esistenza umana, la beatitudine e il compimento dell’uomo. Per questa
ragione non cambia alcunché nell’essere divino, ma per mezzo di questa «unione
trasformante» l’essere individuale dell’uomo raggiunge la sua perfezione. E chi
è unito a Dio in questa maniera, è anche unito in Dio agli altri uomini, senza
per questo subire danni al proprio essere.
Cristo ha benedetto
il matrimonio, ma ha invitato i suoi discepoli alla purezza verginale, come la
esercitarono egli stesso e madre. San Paolo ha approvato il matrimonio, ma ha
detto che sarebbe meglio non sposarsi. Il cuore della donna sposata è diviso
tra Dio e lo sposo, il cuore della vergine appartiene tutto quanto a Dio. È vero
che la verginità deve essere consacrata a Dio, altrimenti è vana e sterile, ma
se una vergine si dona a Dio con tutte le sue forze e capacità, in lei può
fluire la vita divina; può raggiungere la perfezione del proprio essere e
soprattutto essere elevata alla vita della santa Trinità. Perdendo se stessa in
Dio, non perde alcunché della sua natura, ma guadagna in perfetta purezza. Il
re stesso, poiché desidera la sua bellezza, porterà a compimento questa
bellezza. Egli lo può fare se lei è totalmente nelle sue mani; e per questo
Egli desidera la donazione totale.
Il re dei re ci si
mostra oggi nelle dolci sembianze di un tenero bambino nelle braccia della
Vergine Madre. Egli accetta l’omaggio dei re che vengono dall’Oriente e insieme
al loro omaggio vuole accettare anche il nostro. In umiltà Gli portiamo i
semplici doni dei nostri voti, ben sapendo che solo per la sua forza siamo in
grado di adempierli; e noi ci attendiamo, come contraccambio regale, l’eterna
vita divina.
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