San Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo, II, 7, 2.8
Cerca nel blog
Anniversario della proclamazione di S. Giovanni della Croce Dottore della Chiesa
San Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo, II, 7, 2.8
Una giornata per comprendere meglio i doni ricevuti
Quante volte abbiamo sentito dire che L’Eucaristia è fonte di vita. Stamattina queste parole hanno trovato il luogo concreto in cui il cuore di Cristo ci unisce e la sua fonte ci nutre: la fraternità. L’omelia di p. Andrea L’Afflitto ocd, nostro assistente spirituale e delegato provinciale per la Provincia Napoletana (sezione campana), ha offerto nell’ incontro con la comunità ocds dei Ponti Rossi e, dopo con coloro che sono a poche settimane dalla Promessa Temporanea (14 dicembre) e dell’Ammissione (probabilmente agli inizi del nuovo anno), spunti di riflessione personale e comunitaria.
Chi ci tiene insieme è la Persona di Cristo
Non possiamo fare a meno
di mettere al centro l’Eucarestia: Cristo Gesù è il centro della vita della
stessa fraternità. Se ciò non succede, vorrà dire – ha spiegato p. Andrea – che ci
ritroviamo solo come buoni amici con un fine comune, con interessi comuni, ma
persi quelli si disgrega tutto.
P.
Andrea ci ha spiegato che vivere gli incontri di fraternità non si fa sull’onda
emozionale.
“Il nostro stare insieme è qualcosa di più, per noi il vivere la
fraternità è incontrarsi con Cristo Gesù, anche quando il Signore ci fa vivere
situazioni particolari”. Non dobbiamo isolarci nei momenti difficili, anche in quelli cupi, di
aridità, nei momenti in cui persino la Parola di Dio non sembra parlarci. Come dice
Giovanni della Croce "io so che quell’acqua sgorga, anche se è notte”. La
grazia di Dio scorre, anche se io non sento nulla. Ciascuno di noi riceve,
senza rendersene conto quest’acqua.
A ciascuno di noi, come dice san Paolo ci è
data la grazia secondo il dono di Cristo. Tutti abbiamo ricevuto in una maniera
particolare. E ciò che il Signore ci dona è per le nostre capacità. Ci dà
quello che ci serve. Ma per che cosa? Per ciò che lui ci chiama ad essere e operare.
E c’è una grazia per il nostro stato, per quello che siamo chiamati a essere a
fare nel Carmelo, nella nostra comunità. Non siamo tutti uguali e non dobbiamo
essere tutti eguali. Volerlo essere sarebbe andare contro il progetto di Dio,
perché come diceva San Paolo “Egli a dato
ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti…”
Ciascuno ha
un dono, diverso l’uno dall’altro, ma insieme dobbiamo edificare il corpo di
Cristo
Tutto
serve per l’edificazione di questa piccola chiesa che è la fraternità. La
fraternità è chiesa, con un capo (Cristo Gesù), diverse membra. Ognuno ha
bisogno dell’altro. Come edificare il copro di Cristo: nell’atteggiamento della
carità. In essa non c’è giudizio ma capacità di penetrare nel cuore dell’altro.
Guidandoci
nella comprensione, p. Andrea ha detto “Noi abbiamo ricevuto, innanzitutto, il
dono del carisma teresiano. Non certo per merito. Dio ci ha donato un carisma.
Non soltanto dobbiamo accoglierlo e custodirlo, ma viverlo. Nel momento in cui
lo vivo riesco a comprendere e manifestare ancora di più la bellezza del
carisma. Il dono del carisma devo viverlo sempre, 24 ore su 24. Non sono carmelitano
per determinate ore o giorni. Lo sono Sempre e devo sempre portare il mio
carisma in ogni cosa che faccio. In comunità come in famiglia. Notte e giorno.
Quel carisma donatoci possiamo viverlo se lo conosciamo. Di qui l’importanza
della formazione che non dev’essere nozionistica, ma dobbiamo assimilarla nel
nostro cuore, per tradurlo nella mia vita. Se io conosco posso amare e posso
testimoniare Dio e li mio carisma. Bisogna tornare sempre alla sorgente, al suo dono originario,
agli insegnamenti di Teresa e di Giovanni e degli altri carmelitani.
E
come Teresa (muoio figlia della Chiesa) dobbiamo essere attenti a quello che ci
insegna la Chiesa. Oggi Papa Francesco ci offre l’Enciclica Delexit nos in cui ci offre nuovi elementi aspetti della
spiritualità di Santa Teresina. Questo ci aiuta a dire che non bisogna mai dire
“questo l’ho letto già”, perché come succede nl Vangelo, anche un passo di uno
dei nostri santi oggi può dirci qualcosa di diverso, anche se lo abbiano letto
tante volte. Dio ci parla in momenti diversi. Ci conosce. Ci accostiamo ai
testi in modo diverso; poiché anche noi non siamo sempre gli stessi e qualcosa che un tempo non
avevamo notato oggi con il Signore che ti dà la grazia potrà aprire uno
spiraglio, suggerirci qualche cosa. E così possiamo costruire questo piccolo
corpo, questa piccola chiesa che il Signore ci ha chiesto di costruire,
attraverso la sua grazia, attraverso il dono di questo carisma e di questi
fratelli e sorelle.
Al
termine dell’incontro don Marcello
prossimo anche lui alla promessa temporanea all’ocds ci ha portato dal
monastero San Giuseppe di Bari in dono due libri sulla vita e i pensieri di
Suor Elia di San Clemente, carmelitana scalza, prima claustrale della nostra
Provincia Napoletana ocd ad essere beatificata (2006) e di cui è possibile
approfondire la conoscenza anche collegandosi al blog “Il mare un giardino eDio”. Lei che diceva “Bisogna fiorire dove il Signore ci ha seminati” ha
seguito dall’alto una giornata ricca di spunti e di gioia di ritrovarsi.
I
membri della fraternità ringraziamo il Signore per questo incontro trascorso
insieme con p. Andrea, nel desiderio di Cristo sempre di più e di farlo
crescendo insieme. Lui ci ha chiamati qui, uno dono per l’altro. Non sappiamo
che cosa ci chiede o ci chiederà, ma ci fidiamo e accogliamo ogni giorno ciò
che vorrà regalarci. Anche se fosse una spina, perché come insegnava santa
Teresa di Gesù Bambino non bisogna “perdere nessuna delle spine che abbiamo
perché con una sola possiamo salvare un’anima”.
Ste.d.b.
Attratta da Dio l'anima sale sul Monte
Spiega p. Ballestrero: "Il santo vuole insegnare che l'attendere a Dio è la ragione del vivere umano e cristiano e vuol insegnare che questo Salire a Dio ha una sua arduità, comporta una sua fatica e tutta una serie di superamenti faticosi", all'inizio. Nel disegno che verga di sua mano e distribuisce alle carmelitane scalze del monastero di Baes, mostra un monte sulla cui vetta splende il sole simbolo di Dio, due sentieri laterali che però non raggiungono la vetta e un strada centrale, più stretta, ma dritta lastricata dalla ripetizione di un sola sola parola "nulla". La base della montagna è una pianura paludosa, ma Giovanni della croce, guarda al Monte. Nel suo racconto ci sono due protagonisti: Dio, che splende sulla vetta e la sua creatura. Dio attrae l'anima a sé. Essa attratta dal Signore comincia la sua salita. Quale strada prendere? A destra c'è una strada larga, su cui ci sono i beni materiali, dall'altra parte c'è la strada delle consolazioni spirituali. Entrambe a un certo punto non fanno proseguire, L'uomo che le percorre è appesantito e si vede la strada sbarrata. Resta la strada centrale, quella del nulla, della purificazione. Salendo, liberandosi degli attaccamenti, delle ambizioni, della nostalgia, desiderando Dio solo, l'uomo fa meno fatica a inerpicarsi. Perde il gusto per le cose illusorie. L'unica cosa che conta è la Presenza di Dio, sempre più percepibile.
l cammino è l'incontro dell'anima con Dio. Svuotata di tutto si rende disponibile alle "immissioni di Grazia e di luce divina". Dominano sull'anima le virtù teologali (purificazione attiva) ma Dio lavora anche nella Notte dell'anima, la fa progredire senza che lei se ne renda conto (purificazione passiva). Dio infonde nell'anima la forza dello Spirito per elevarla nell'itinerario contemplativo. L'uomo deve solo abbandonarsi a Lui. E' solo Dio ad agire. L'unione dell'anima con Dio arricchisce l'uomo delle grazie della preghiera. Dio dilaga nel cuore della sua creatura, come luce, sapienza, carità. Il cuore s'infiamma d'amore (ascolta). E' il segno della vetta raggiunta. Sono le nozze spirituali in cui Dio conferma in grazia l'anima che unisce a sé. Dio l'illumina in tutte le sue notti. Sulla vetta del Monte c'è scritto: Oltre non si va. E in effetti lì c'è tutto. Ma Giovanni della Croce osa una richiesta: "Squarcia la tela a questo dolce incontro" chiedendo che l'eternità divenga l'ultima dimensione della vita.
Giovanni della Croce c'insegna a lasciarci amare da Dio
Amico spirituale di santa Teresa, riformatore, insieme a lei, della famiglia religiosa carmelitana: san Giovanni della Croce, proclamato Dottore della Chiesa dal Papa Pio XI, nel 1926, è soprannominato nella tradizione Doctor mysticus, “Dottore mistico”.
Giovanni della Croce nacque nel 1542 nel piccolo villaggio di Fontiveros, vicino ad Avila, nella Vecchia Castiglia, da Gonzalo de Yepes e Catalina Alvarez. La famiglia era poverissima, perché il padre, di nobile origine toledana, era stato cacciato di casa e diseredato per aver sposato Catalina, un'umile tessitrice di seta. Orfano di padre in tenera età, Giovanni, a nove anni, si trasferì, con la madre e il fratello Francisco, a Medina del Campo, vicino a Valladolid, centro commerciale e culturale. Qui frequentò il Colegio de los Doctrinos, svolgendo anche alcuni umili lavori per le suore della chiesa-convento della Maddalena. Successivamente, date le sue qualità umane e i suoi risultati negli studi, venne ammesso prima come infermiere nell'Ospedale della Concezione, poi nel Collegio dei Gesuiti, appena fondato a Medina del Campo: qui Giovanni entrò diciottenne e studiò per tre anni scienze umane, retorica e lingue classiche. Alla fine della formazione, egli aveva ben chiara la propria vocazione: la vita religiosa e, tra i tanti ordini presenti a Medina, si sentì chiamato al Carmelo.
Nell’estate del 1563 iniziò il noviziato presso i Carmelitani della città, assumendo il nome religioso di Giovanni di San Mattia. L’anno seguente venne destinato alla prestigiosa Università di Salamanca, dove studiò per un triennio arti e filosofia. Nel 1567 fu ordinato sacerdote e ritornò a Medina del Campo per celebrare la sua Prima Messa circondato dall'affetto dei famigliari. Proprio qui avvenne il primo incontro tra Giovanni e Teresa di Gesù. L’incontro fu decisivo per entrambi: Teresa gli espose il suo piano di riforma del Carmelo anche nel ramo maschile dell'Ordine e propose a Giovanni di aderirvi “per maggior gloria di Dio”; il giovane sacerdote fu affascinato dalle idee di Teresa, tanto da diventare un grande sostenitore del progetto. I due lavorarono insieme alcuni mesi, condividendo ideali e proposte per inaugurare al più presto possibile la prima casa di Carmelitani Scalzi: l’apertura avvenne il 28 dicembre 1568 a Duruelo, luogo solitario della provincia di Avila. Con Giovanni formavano questa prima comunità maschile riformata altri tre compagni. Nel rinnovare la loro professione religiosa secondo la Regola primitiva, i quattro adottarono un nuovo nome: Giovanni si chiamò allora “della Croce”, come sarà poi universalmente conosciuto. Alla fine del 1572, su richiesta di santa Teresa, divenne confessore e vicario del monastero dell’Incarnazione di Avila, dove la Santa era priora. Furono anni di stretta collaborazione e amicizia spirituale, che arricchì entrambi. Α quel periodo risalgono anche le più importanti opere teresiane e i primi scritti di Giovanni.
L’adesione alla riforma carmelitana non fu facile e costò a Giovanni anche gravi sofferenze. L’episodio più traumatico fu, nel 1577, il suo rapimento e la sua incarcerazione nel convento dei Carmelitani dell'Antica Osservanza di Toledo, a seguito di una ingiusta accusa. Il Santo rimase imprigionato per mesi, sottoposto a privazioni e costrizioni fisiche e morali. Qui compose, insieme ad altre poesie, il celebre Cantico spirituale. Finalmente, nella notte tra il 16 e il 17 agosto 1578, riuscì a fuggire in modo avventuroso, riparandosi nel monastero delle Carmelitane Scalze della città. Santa Teresa e i compagni riformati celebrarono con immensa gioia la sua liberazione e, dopo un breve tempo di recupero delle forze, Giovanni fu destinato in Andalusia, dove trascorse dieci anni in vari conventi, specialmente a Granada. Assunse incarichi sempre più importanti nell'Ordine, fino a diventare Vicario Provinciale, e completò la stesura dei suoi trattati spirituali. Tornò poi nella sua terra natale, come membro del governo generale della famiglia religiosa teresiana, che godeva ormai di piena autonomia giuridica. Abitò nel Carmelo di Segovia, svolgendo l'ufficio di superiore di quella comunità. Nel 1591 fu sollevato da ogni responsabilità e destinato alla nuova Provincia religiosa del Messico. Mentre si preparava per il lungo viaggio con altri dieci compagni, si ritirò in un convento solitario vicino a Jaén, dove si ammalò gravemente. Giovanni affrontò con esemplare serenità e pazienza enormi sofferenze. Morì nella notte tra il 13 e il 14 dicembre 1591, mentre i confratelli recitavano l'Ufficio mattutino. Si congedò da essi dicendo: “Oggi vado a cantare l'Ufficio in cielo”. I suoi resti mortali furono traslati a Segovia. Venne beatificato da Clemente X nel 1675 e canonizzato da Benedetto XIII nel 1726.
Giovanni è considerato uno dei più importanti poeti lirici della letteratura spagnola. Le opere maggiori sono quattro: Ascesa al Monte Carmelo, Notte oscura, Cantico spirituale e Fiamma d'amor viva.
Nel Cantico spirituale, san Giovanni presenta il cammino di purificazione dell’anima, e cioè il progressivo possesso gioioso di Dio, finché l’anima perviene a sentire che ama Dio con lo stesso amore con cui è amata da Lui. La Fiamma d'amor viva prosegue in questa prospettiva, descrivendo più in dettaglio lo stato di unione trasformante con Dio. Il paragone utilizzato da Giovanni è sempre quello del fuoco: come il fuoco quanto più arde e consuma il legno, tanto più si fa incandescente fino a diventare fiamma, così lo Spirito Santo, che durante la notte oscura purifica e “pulisce” l'anima, col tempo la illumina e la scalda come se fosse una fiamma. La vita dell'anima è una continua festa dello Spirito Santo, che lascia intravedere la gloria dell'unione con Dio nell'eternità.
L’Ascesa al Monte Carmelo presenta l'itinerario spirituale dal punto di vista della purificazione progressiva dell'anima, necessaria per scalare la vetta della perfezione cristiana, simboleggiata dalla cima del Monte Carmelo. Tale purificazione è proposta come un cammino che l’uomo intraprende, collaborando con l'azione divina, per liberare l'anima da ogni attaccamento o affetto contrario alla volontà di Dio. La purificazione, che per giungere all'unione d’amore con Dio dev’essere totale, inizia da quella della vita dei sensi e prosegue con quella che si ottiene per mezzo delle tre virtù teologali: fede, speranza e carità, che purificano l'intenzione, la memoria e la volontà. La Notte oscura descrive l'aspetto “passivo”, ossia l'intervento di Dio in questo processo di “purificazione” dell'anima. Lo sforzo umano, infatti, è incapace da solo di arrivare fino alle radici profonde delle inclinazioni e delle abitudini cattive della persona: le può solo frenare, ma non sradicarle completamente. Per farlo, è necessaria l’azione speciale di Dio che purifica radicalmente lo spirito e lo dispone all'unione d'amore con Lui. San Giovanni definisce “passiva” tale purificazione, proprio perché, pur accettata dall'anima, è realizzata dall’azione misteriosa dello Spirito Santo che, come fiamma di fuoco, consuma ogni impurità. In questo stato, l’anima è sottoposta ad ogni genere di prove, come se si trovasse in una notte oscura.
Queste indicazioni sulle opere principali del Santo ci aiutano ad avvicinarci ai punti salienti della sua vasta e profonda dottrina mistica, il cui scopo è descrivere un cammino sicuro per giungere alla santità, lo stato di perfezione cui Dio chiama tutti noi. Secondo Giovanni della Croce, tutto quello che esiste, creato da Dio, è buono. Attraverso le creature, noi possiamo pervenire alla scoperta di Colui che in esse ha lasciato una traccia di sé. La fede, comunque, è l’unica fonte donata all'uomo per conoscere Dio così come Egli è in se stesso, come Dio Uno e Trino. Tutto quello che Dio voleva comunicare all'uomo, lo ha detto in Gesù Cristo, la sua Parola fatta carne. Gesù Cristo è l’unica e definitiva via al Padre (cfr Gv 14,6). Qualsiasi cosa creata è nulla in confronto a Dio e nulla vale al di fuori di Lui: di conseguenza, per giungere all'amore perfetto di Dio, ogni altro amore deve conformarsi in Cristo all’amore divino. Da qui deriva l'insistenza di san Giovanni della Croce sulla necessità della purificazione e dello svuotamento interiore per trasformarsi in Dio, che è la meta unica della perfezione. Questa “purificazione” non consiste nella semplice mancanza fisica delle cose o del loro uso; quello che rende l'anima pura e libera, invece, è eliminare ogni dipendenza disordinata dalle cose. Tutto va collocato in Dio come centro e fine della vita.
Il lungo e faticoso processo di purificazione esige certo lo sforzo personale, ma il vero protagonista è Dio: tutto quello che l'uomo può fare è “disporsi”, essere aperto all'azione divina e non porle ostacoli. Vivendo le virtù teologali, l’uomo si eleva e dà valore al proprio impegno. Il ritmo di crescita della fede, della speranza e della carità va di pari passo con l’opera di purificazione e con la progressiva unione con Dio fino a trasformarsi in Lui. Quando si giunge a questa meta, l'anima si immerge nella stessa vita trinitaria, così che san Giovanni afferma che essa giunge ad amare Dio con il medesimo amore con cui Egli la ama, perché la ama nello Spirito Santo. Ecco perché il Dottore Mistico sostiene che non esiste vera unione d’amore con Dio se non culmina nell’unione trinitaria. In questo stato supremo l'anima santa conosce tutto in Dio e non deve più passare attraverso le creature per arrivare a Lui. L’anima si sente ormai inondata dall'amore divino e si rallegra completamente in esso.
Cari fratelli e sorelle, alla fine rimane la questione: questo santo con la sua alta mistica, con questo arduo cammino verso la cima della perfezione ha da dire qualcosa anche a noi, al cristiano normale che vive nelle circostanze di questa vita di oggi, o è un esempio, un modello solo per poche anime elette che possono realmente intraprendere questa via della purificazione, dell'ascesa mistica? Per trovare la risposta dobbiamo innanzitutto tenere presente che la vita di san Giovanni della Croce non è stata un “volare sulle nuvole mistiche”, ma è stata una vita molto dura, molto pratica e concreta, sia da riformatore dell'ordine, dove incontrò tante opposizioni, sia da superiore provinciale, sia nel carcere dei suoi confratelli, dove era esposto a insulti incredibili e a maltrattamenti fisici. E’ stata una vita dura, ma proprio nei mesi passati in carcere egli ha scritto una delle sue opere più belle. E così possiamo capire che il cammino con Cristo, l'andare con Cristo, “la Via”, non è un peso aggiunto al già sufficientemente duro fardello della nostra vita, non è qualcosa che renderebbe ancora più pesante questo fardello, ma è una cosa del tutto diversa, è una luce, una forza, che ci aiuta a portare questo fardello. Se un uomo reca in sé un grande amore, questo amore gli dà quasi ali, e sopporta più facilmente tutte le molestie della vita, perché porta in sé questa grande luce; questa è la fede: essere amato da Dio e lasciarsi amare da Dio in Cristo Gesù.
Questo lasciarsi amare è la luce che ci aiuta a portare il fardello di ogni giorno. E la santità non è un'opera nostra, molto difficile, ma è proprio questa “apertura”: aprire e finestre della nostra anima perché la luce di Dio possa entrare, non dimenticare Dio perché proprio nell'apertura alla sua luce si trova forza, si trova la gioia dei redenti. Preghiamo il Signore perché ci aiuti a trovare questa santità, lasciarsi amare da Dio, che è la vocazione di noi tutti e la vera redenzione. Grazie.
P. Emerito Benedetto XVI - 2011
L' amor di Dio per noi

Dio si comunica all'anima con amore così vero che non vi è affetto di madre che con uguale tenerezza accarezzi suo figlio né amor di fratello e di amico con cui si possano confrontare. A tanto giungono la tenerezza e la sincerità dell'amore con il quale l'immenso Padre ricrea e solleva l'anima umile e amante - o cosa mirabile e degna di ogni timore e ammirazione! - da sottomettersi veramente a lei per elevarla, come se Egli fosse il servo e lei il Signore. Ed è così sollecito a favorirla, come se Egli fosse lo schiavo, ed ella Dio, tanto profonda è l'umiltà e la dolcezza di Dio!
La Trasverberazione raccontata da Edith Stein

Il nostro Santo riferisce qui una descrizione particolareggiata del come l'anima possa venir trafitta da un serafino con un dardo o con una freccia infuocata. E' difficile ch'egli non si riferisca ad un fatto ben preciso, ossia alla trasverberazione della nostra S. Madre Teresa.