In ascolto della Voce del mio Pastore

Immaginiamoci dunque che i sensi e le potenze - che secondo il paragone adottato, sono gli abitanti del castello - siano fuggiti fuori e vivano da giorni ed anni con gente straniera, nemica del bene del castello.
Riconoscendo finalmente il loro torto, ritornano, si avvicinano al castello, ma non si decidono ad entrarvi per la tirannia della cattiva abitudine contratta. Tuttavia, girano intorno e non tradiscono più.
Il gran Monarca che risiede nel castello, vedendo la loro buona volontà si lascia impietosire, e nella sua grande misericordia decide di chiamarli a sé.
A guisa di buon pastore, emette un fischio tanto soave da non esser quasi percepito, ma con il quale fa loro conoscere la sua voce, acciocché lasciata la via della perdizione, rientrino nel castello.
E ciò fanno immediatamente, perché quel fischio è di così grande efficacia da districarli da tutte le cose esteriori fra le quali vivevano. Mi sembra di non essermi mai spiegata così bene come in questo momento.
Quando il Signore accorda questa grazia, si ha un aiuto particolare per cercar Dio in noi stessi. Qui lo si trova meglio e con maggior profitto che non nelle creature, e qui afferma d'averlo trovato anche S. Agostino dopo averlo cercato altrove. (dalle Quarte Mansioni del Castello interiore di Teresa di Gesù).

"Io do loro (alle mie pecore) la vita eterna e non andranno mai perdute" (Gv 10,28). Così afferma Gesù, che poco prima aveva detto: "Il buon pastore offre la vita per le pecore" (cfr Gv 10,11). Giovanni utilizza il verbo tithénai - offrire, che ripete nei versetti seguenti (15.17.18); lo stesso verbo troviamo nel racconto dell’Ultima Cena, quando Gesù "depose" le sue vesti per poi "riprenderle" (cfr Gv 13, 4.12). E’ chiaro che si vuole in questo modo affermare che il Redentore dispone con assoluta libertà della propria vita, così da poterla offrire e poi riprendere liberamente. Cristo è il vero Buon Pastore che ha dato la vita per le sue pecore -per noi- immolandosi sulla Croce. Egli conosce le sue pecore e le sue pecore lo conoscono, come il Padre conosce Lui ed Egli conosce il Padre (cfr Gv 10,14-15). Non si tratta di mera conoscenza intellettuale, ma di una relazione personale profonda; una conoscenza del cuore, propria di chi ama e di chi è amato; di chi è fedele e di chi sa di potersi a sua volta fidare; una conoscenza d’amore in virtù della quale il Pastore invita i suoi a seguirlo, e che si manifesta pienamente nel dono che fa loro della vita eterna (cfr Gv 10,27-28).

Benedetto XVI, aprile 2007






Le mie pecore ascoltano la mia voce. 
È bello il termine che Gesù sce­glie: la voce. 

Prima ancora delle cose dette conta la vo­ce, che è il canto dell'esse­re. 
      Riconoscere una voce vuol dire intimità, frequentazione, racconta di una persona che già abita den­tro di te, desiderata come l'amata del Cantico: la tua voce fammi sentire. 

Prima delle tue parole, tu. 

   Ascoltano la mia voce e mi seguono
Non dice: mi ob­bediscono. 


Seguire è molto di più: significa percorrere la stessa strada di Gesù, u­scire dal labirinto del non senso, vivere non come e­secutori di ordini, ma come scopritori di strade. 
   Vuol di­re: solitudine impossibile, fine dell'immobilismo, camminare per nuovi oriz­zonti, nuove terre, nuovi pensieri. 
Chiamati, noi e tutta la Chiesa, ad allenarci alla sorpresa e alla meravi­glia per cogliere la voce di Dio, che è già più avanti, più in là. 

    E perché ascoltare la sua vo­ce? La risposta di Gesù: perché io do loro la vita eterna. Ascolterò la sua voce perché  come una madre, Lui mi fa vivere, la voce di Dio è pane per me. 
Per una volta almeno, fermiamo tutta la nostra attenzione su quanto Gesù fa per noi. Lo facciamo così poco.
     «Nessuno le strapperà dalla mia mano». La vita eterna è un posto fra le mani di Dio. Siamo passeri che hanno il nido nelle sue mani. E nel­la sua voce. Siamo bambini che si ag­grappano forte a quella ma­no che non ci lascerà cade­re. 
Come innamorati cerchia­mo quella mano che scalda la solitudine. 
Come crocefissi ripetiamo: 
nelle tue mani affido la mia vita. 

dal commento al Vangelo di oggi di p. Ermes Ronchi



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