Riflessione di p. Enzo Caiffa ocd
Da diversi mesi, stiamo vivendo e attraversando tempi difficili e pericolosi poiché il coronavirus sta minacciando la vita degli esseri umani in tutto il mondo. Viviamo anche altre difficoltà politiche, economiche, sociali che fanno male e che danneggiano ognuno di noi. Una grande prova, quindi che ci pone di fronte a una domanda : Che cosa siamo?
Qual è la risposta?
Per il credente, la risposta dovrebbe essere chiara ed è una sola: Sono, immagine viva di Dio!
Una storia stupenda, voluta da Dio, ma pur faticosa e drammatica! Dio crea l’uomo a “sua immagine”, costituendolo signore del creato; ma ad un certo momento, l’uomo non vuole più essere semplicemente immagine e così tutto …va in frantumi! Dio però, che è Amore onnipotente, ricompone l’immagine più splendida che mai, mandando il suo Unigenito nel mondo, perché Lui, immagine perfetta, salvi l’uomo dall’abisso del peccato e lo trasformi di luce in luce rendendolo simile a sé, fino a ricondurlo nella Patria, dove l’immagine si perderà nel Suo Esemplare e il Signore sarà il Signore glorioso dell’uomo, della storia, dell’universo.
Formuliamo una ulteriore domanda: Nel quadro, allora, della nostra storia, di questa emergenza sanitaria io, Carmelitano Scalzo, al quale viene chiesto dal Signore, dalla Chiesa, qualcosa di più, chi sono? cosa faccio?
Noi tutti dovremmo sapere che la missione più attuale e più urgente del Carmelo nel mondo inquieto e vertiginoso di oggi, devastato dal rumore e dalla dissipazione, emerge dalla natura stessa del suo mistero che è essenzialmente interiorità, preghiera, raccoglimento, contemplazione. Dove ogni vero Carmelitano deve rendere familiare la Presenza di Dio.
Tutto ciò, ci viene proposto con sublimità di dottrina da tutti i nostri Santi, maestri di vita spirituale!
Per esempio il nostro Santo Padre Giovanni della Croce, addita come termine terreno del cammino spirituale lo stato di unione in cui l’anima si trasforma in Dio per amore; lo stato più alto a cui si possa giungere in questo mondo. Così si esprime, mettendo sulla bocca della sposa del Cantico: “Godiam l’un l’altro, Amato in tua beltà a contemplarci andiamo, sul monte e la collina, dove acqua pura sgorga; dove è più folto dentro penetriamo”.
E’ giusto, quindi domandarci: abbiamo qualcosa da dire e da dirci perché ci serva per riflettere seriamente sulla nostra vita e quali sono le scelte dell’uomo per il quale noi carmelitani “Siamo davanti a Lui”? (Edit Stein).
Credo che molti uomini e donne , in questo periodo di pandemia, carico di pericoli e incertezze, si siano posto, come sempre, la domanda : Dio dove sei?
É come sentire la domanda della sposa del Cantico dei Cantici: “Dove ti nascondesti in gemiti lasciandomi, Diletto?”
Ancora una volta ci viene in aiuto S. Giovanni della Croce e ci dice che è il grido dell’anima desiderosa di unione con Dio. Ci dice che c’è un livello più profondo che dobbiamo scoprire e che è quello di una visione di fede della storia, con la presenza di Dio in mezzo alle tribolazioni e alle prove dell’umanità. L’oscurità, la tenebra, la mancanza di evidenza appartengono alla natura della fede. Evidenziare e vivere questo aspetto della fede è il primo tratto caratteristico della vocazione carmelitana. Abbiamo bisogno di essere compresi dalla trascendenza di Dio, per non rischiare di rendere il Signore così “spicciolo”, semplice, elementare da pretendere o illudersi di capirlo, di conoscerlo. Una fede che scende in profondità, senza fermarsi in superficie, alle apparenze. Questo desiderio nasce in ogni cristiano fervente che rigenerato dal Battesimo e rivestito dalla grazia divina, prende pienamente coscienza delle virtualità contenute nella sua elevazione allo stato di figlio di Dio e aspira a vederle attuate.
L’uomo ha bisogno di Dio! Io ho bisogno di Dio!
Tale bisogno trova la sua prima radice nella nostra condizione di creature. I nostri contemporanei si sono convinti, che per essere liberi, occorra non dipendere da nessuno. È un tragico errore!
La diffidenza dei moderni riguardo a ogni forma di dipendenza spiega molti mali. Essa , purtroppo, non ha cessato di diffondere i suoi effetti nefasti. Se dipendere da un altro, viene infatti percepito come una negazione della libertà, ogni relazione vera e durevole sembrerà pericolosa. L’uomo si ritrova prigioniero di se stesso. Pertanto l’essere figli, che ci fa dipendere da un padre e da una madre, diventa per noi contemporanei un ostacolo alla pienezza della libertà. Questa esperienza è insopportabile per l’uomo contemporaneo, il quale vorrebbe essere l’unica causa di tutto ciò che gli capita e di tutto ciò che egli è. Ricevere gli sembra in contrasto con la propria dignità. L’ educazione ricevuta dai nostri genitori appare come un’offesa a una libertà che pensa se stessa come auto creatrice. A maggior ragione, l’idea di ricevere la nostra natura di uomini e di donne da un Dio Creatore diventa umiliante e alienante. Secondo questa logica, è necessario negare la nozione stessa di natura umana o la realtà di un sesso che non è stato scelto.
Credo sia giunto il momento di liberare l’uomo da questo odio per tutto ciò che ha ricevuto.
“Dove la libertà del fare diventa la libertà di farsi da se, si giunge necessariamente a negare il Creatore stesso e con ciò, infine, anche l’uomo quale creatura di Dio, quale immagine di Dio viene avvilito nell’essenza del suo essere” ( Benedetto XVI).
Noi esistiamo e lo crediamo per fede, solo perché Dio ci ha creati e ci conserva nell’esistenza; anzi abbiamo bisogno di lui continuamente per vivere e per agire. Anche le nostre azioni sono dipendendo dall’Essere supremo che deve darcene la capacità pur nelle cose minime: “senza di Lui non possiamo nulla”. Vi sono poi tante situazioni umane, quella, per esempio che stiamo vivendo: l’emergenza del coronavirus, dinnanzi alle quali l’uomo serio e prudente prende più che mai coscienza della sua limitatezza e dell’incertezza della riuscita, spesso dipendente da condizioni che sfuggono in gran parte al suo influsso personale. Allora soprattutto sente la necessità di ricorrere a Dio, di fare appello alla sua onnipotenza e provvidenza, e umilmente chiede al suo Signore di concedergli ciò che supera le sue possibilità.
L’uomo ha bisogno di Dio e del ricorso a Lui!
Purtroppo sono numerosissimi coloro, anche cristiani, che non coltivano questa bella inclinazione o che la lasciano soffocare dalle tante tendenze e passioni naturali che li trascinano verso le creature allontanandoli da Dio e dove tocchiamo con mano una crisi culturale e identitaria. L’uomo, soprattutto nell’occidente, non sa più chi è, perché non sa più e non vuole più sapere chi l’ha creato, chi l’ha plasmato. Motivo questo anche di una crisi di fede, di una crisi della Chiesa di una crisi del Sacerdozio, di una crisi della famiglia, l’odio per l’uomo, l’odio per la vita. qual è il pericolo? È la perdita della verità . “Conoscerete la verità, dice Gesù, e la verità vi farà liberi”.
Quando invece si cerca di dominare gli impulsi naturali e in tal modo si raggiunge una certa tranquillità interiore, allora si risveglia e si sprigiona facilmente l’inclinazione verso Dio, che era come nascosta e sepolta sotto il cumulo delle passioni. Ed ecco che il cristiano comincia a sentire il bisogno di Dio, di avvicinarsi a LUI, di restare con Lui, di entrare nella sua intimità, riaffiorano, allora, sulle labbra le parole dell’anima innamorata: “Dove ti nascondesti…?”
Noi , sicuramente desideriamo sapere dove è nascosto quel Dio cui aneliamo unirci, perciò ascoltiamo la risposta del nostro S. Padre Giovanni della Croce: “Affinché quest’anima sitibonda giunga a trovare lo Sposo e a unirsi a Lui con unione di amore in questa vita, per quanto è possibile… sarà bene che noi a nome dello Sposo rispondiamo, indicandone il luogo più certo dove Egli sta nascosto, affinché sicuramente lo trovi con la maggiore perfezione e sapore possibile...E’ da notarsi che il Verbo, Figlio di Dio, insieme al Padre e con lo Spirito Santo, essenzialmente e presenzialmente sta nascosto nell’intimo essere dell’anima...e qui che il buon contemplativo lo deve cercare con amore”...” o anima bellissima fra tutte le creature, che tanto brami di sapere dov’è il tuo Diletto per incontrarlo e unirti con Lui, ormai ti viene detto che tu stessa sei la stanza in cui dimora il nascondiglio dove si cela. Ben puoi rallegrarti sapendo che tutto il tuo bene, l’oggetto della tua speranza, ti sta così vicino da abitare in te o, per meglio dire, che tu non puoi stare senza di Lui” (Cant. Spir. I,6-7)
Chi brama l’unione con Dio non si contenta di sapere dove cercarlo; vuole qualcosa di più: vuole trovarlo!
La risposta del Santo presenta tutto un piano di conquista: “Dato che Colui che io Amo è dentro di me, perché non lo sento e non lo trovo?… la causa è che egli sta nascosto, e tu non ti nascondi al pari di Lui per trovarlo e sentirlo. Chi cerca una cosa nascosta deve penetrare fino al nascondiglio dove essa sta e, quando la trova, anch’egli è nascosto con quella” (Cant. Sp. 1,9).
Sì, Dio sta in noi, ma è nascosto, celato sotto il cumulo delle nostre preoccupazioni troppo umane, tutte volte all’attuazione dei piani personali a profitto e a vantaggio nostro, piani che vogliono realizzare senza tenere sufficientemente conto della volontà divina e dei diritti degli altri. Nel nostro interno c’è troppo spesso tutto un mondo di tendenze, di impulsi di passioni molto vive, che ci spingono verso le creature e ci inducono a dare ad esse il nostro cuore, ci fanno porre in loro la nostra speranza e cercare il nostro conforto nel loro ricordo. E noi viviamo in questo mondo superficiale, che ci occupa al tal punto da farci dimenticare una vita più profonda che potremmo vivere ma non viviamo, la vita veramente interiore dove l’anima si mette in relazione con il suo Dio e finisce col trovarlo. Il Signore ci aspetta, nel fondo dell’anima nostra, ma noi non vi entriamo, presi come siamo dai nostri affari ai quali va tutto il nostro interesse.
Ecco perché non lo troviamo!
Per trovarlo bisogna andare dove Egli sta, sottraendoci a una immersione eccessiva nelle creature. Bisogna “nascondersi al pari di Lui”, fuggire la vita superficiale per entrare nella vita profonda, abbandonare la cerchia più esteriore dei nostri interessi umani, dove tutto si muove intorno al nostro piccolo io, per scendere nel centro più profondo dell’anima dove essa impara a convivere con il suo Dio:
“Giacché dunque l’amato tuo Sposo è il tesoro nascosto nella vigna dell’anima tua...bisognerà che anche tu, dimenticando tutto e allontanandoti da tutte le creature, ti nasconda per trovarlo nell’intimo ritiro del tuo spirito. Qui serrata la porta dietro di te, cioè chiusa la volontà ad ogni cosa, pregherai nel nascondimento il Padre tuo, e allora nel nascondimento lo sentirai e lo amerai e lo gusterai di nascosto, ossia in maniera superiore ad ogni espressione e sentimento umano” (Cant. sp.1,9)
L’autentico carmelitano va a Dio così: con l’insaziabile ricerca della fede che lo rende familiarissimo ed insieme rispettosissimo del Signore. Solo la fede può mettere nell’anima l’intimo desiderio di perdersi nel mistero di Dio, può impegnare la vita a contemplare e, se occorre, anche a soffrire il mistero di DIO.
È la vocazione essenziale, cui dobbiamo essere fedeli fino alla morte!
E allora senza una chiara consapevolezza di chi siamo, o che cosa siamo, cosa sarebbe di noi semplici creature?
NULLA TI TURBI, NULLA TI SPAVENTI, SOLO DIO BASTA!