Josefa, una laica sui passi di Teresa

Spagnola, come Teresa di Gesù. Questa carmelitana che la Chiesa ha beatificato, ha vissuto nell'Ottocento.
Nacque l’11 dicembre 1820 ad Algemesí (Valencia, Spagna) sulle rive del fiume Jucar e dopo di lei nacquero altri cinque figli.  La famiglia era in condizioni modeste, e Josefa frequentò la scuola di una vicina di casa, dove oltre che leggere e scrivere, imparò i lavori femminili, specie il ricamo in seta ed oro.

A otto anni ricevette la Cresima e a nove la Prima Comunione. Aveva 13 anni quando morì la mamma, giovanissima (35 anni). Lasciò la scuola per occuparsi dei fratelli e una nonna di cagionevole salute. Ciò non le impedì di frequentare ogni giorno la vicina parrocchia. Qui si affidò alla guida spirituale di don Gaspare Silvestre; a 18 anni il 4 dicembre 1838 si era consacrata a Cristo con il voto di castità; praticò facendone norma di vita, i tre principi ispiratori, obbedienza, laboriosità, perseveranza. Quando nel 1847 morì la nonna, Josefa aveva 27 anni ed era la responsabile della famiglia. Fu vicina al padre  fino alla sua morte e allo zio un cristiano esemplare. Nel 1850, con la guida del parroco che la seguì per ventotto anni (1833-1860), Josefa cominciò ad organizzare incontri di lettura e formazione spirituale che teneva in casa e trasformò una camera in un vero e proprio laboratorio, dove insegnò gratuitamente alle giovani il ricamo. Un pretesto per dedicarsi anche alla formazione spirituale e all'educazione delle ragazze. Fu in effetti una “monaca di casa”, scelta fatta sin dal Settecento da tante anime elette (basti pensare alla francescana Maria Francesca delle cinque piaghe, la santa dei Quartieri napoletani), che facevano tanto bene al di fuori del chiostro. Josefa estese la sua opera d’apostolato anche ai bambini, agli ammalati e fu pacificatrice di discordie familiari. Sofferente, trascorse gli ultimi due anni di vita a letto nella sua casa di Algemesí. Morì circondata dalle sue figlie spirituali il 24 febbraio 1893. Papa Giovanni Paolo II la beatificò il 25 settembre 1988, che nell'omelia disse:  La Chiesa intona un canto di giubilo e lode a Cristo per la beatificazione di Josefa Naval Girbés, vergine secolare che dedicò la sua vita all’apostolato nel suo paese natale, Algemesi, dell’arcidiocesi di Valencia, Spagna. Donna semplice e docile al soffio dello Spirito, raggiunse nella sua lunga vita l’apice della perfezione cristiana, dedita al servizio del prossimo nei tempi per nulla facili del XIX secolo, durante i quali visse e sviluppò la sua intensa attività apostolica.

Aveva diciotto anni quando, con il beneplacito del suo direttore spirituale, fece il voto di castità. Aveva trent’anni quando nella casa della sua famiglia apre una scuola-seminario dove si formeranno umanamente e spiritualmente moltissimi giovani. Questo apostolato proseguirà nelle cosiddette “conversazioni del giardino”, mediante le quali i discepoli meglio preparati ricevevano una formazione spirituale più profonda.

Cosciente del fatto che, come più tardi avrebbe affermato il Concilio Vaticano II, “la vocazione è, per sua natura, anche vocazione all’apostolato” (Apostolicam Actuositatem, 2), Josefa si è fatta tutta a tutti, come l’apostolo san Paolo, per salvare tutti (cf. 1 Cor 9, 22). Da ciò l’impronta incancellabile lasciata nell’esercizio della sua carità. Assisteva con cura i moribondi, aiutandoli a morire in grazia di Dio. L’attenzione eroica a coloro che erano colpiti dall’epidemia di colera nel 1885, è uno dei più espressivi esempi della carità di questa anima prediletta.

Una caratteristica singolare di Josefa è la sua condizione di secolare. Essa, che riempì di discepole i conventi di clausura, rimase nubile nel mondo, vivendo i principi evangelici ed essendo esempio di virtù cristiane per tutti quei figli della Chiesa che, “dopo essere stati incorporati a Cristo col Battesimo . . . per la loro parte compiono, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano” (Lumen Gentium, 31)".

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