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UN ABBRACCIO FATTO DI PREGHIERA PER DIRGLI GRAZIE
Immaginiamo la nostra preghiera come estensione del nostro cuore. Da stasera sarà il nostro abbraccio a un Papa che ha illuminato e illuminerà ancora, con la sua orazione personale e silenziosa, i nostri passi verso Cristo, ricordandoci che nulla dev'essere anteposto a Lui, vero e unico Timoniere della Chiesa.
Grazie Papa Benedetto...
Nella colonna qui a destra avremo un box che dedicheremo alla nostra unione di preghiera con Benedetto XVI
GRAZIE PAPA BENEDETTO: CI AIUTI A SENTIRCI FIGLI DELLA VERA CHIESA, QUELLA DI CRISTO!
Il Papa ieri nel corso dell'ultima sua udienza generale da Papa ha saputo trovare parole semplici e tenere per rendere meno duro il commiato.
Ve le riproponiamo:
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato!
Distinte Autorità!
Cari fratelli e sorelle!
Vi ringrazio di essere venuti così numerosi a questa mia ultima Udienza generale.
Grazie di cuore! Sono veramente commosso! E vedo la Chiesa viva! E penso che dobbiamo anche dire un grazie al Creatore per il tempo bello che ci dona adesso ancora nell’inverno.
Come l’apostolo Paolo nel testo biblico che abbiamo ascoltato, anch’io sento nel mio cuore di dover soprattutto ringraziare Dio, che guida e fa crescere la Chiesa, che semina la sua Parola e così alimenta la fede nel suo Popolo. In questo momento il mio animo si allarga ed abbraccia tutta la Chiesa sparsa nel mondo; e rendo grazie a Dio per le «notizie» che in questi anni del ministero petrino ho potuto ricevere circa la fede nel Signore Gesù Cristo, e della carità che circola realmente nel Corpo della Chiesa e lo fa vivere nell’amore, e della speranza che ci apre e ci orienta verso la vita in pienezza, verso la patria del Cielo.
Sento di portare tutti nella preghiera, in un presente che è quello di Dio, dove raccolgo ogni incontro, ogni viaggio, ogni visita pastorale. Tutto e tutti raccolgo nella preghiera per affidarli al Signore: perché abbiamo piena conoscenza della sua volontà, con ogni sapienza e intelligenza spirituale, e perché possiamo comportarci in maniera degna di Lui, del suo amore, portando frutto in ogni opera buona (cfr Col 1,9-10).
In questo momento, c’è in me una grande fiducia, perché so, sappiamo tutti noi, che la Parola di verità del Vangelo è la forza della Chiesa, è la sua vita. Il Vangelo purifica e rinnova, porta frutto, dovunque la comunità dei credenti lo ascolta e accoglie la grazia di Dio nella verità e nella carità. Questa è la mia fiducia, questa è la mia gioia.
UN ABBRACCIO LUMINOSO PER IL PAPA CHE SALE SUL MONTE
Una proposta delle monache per l'adorazione eucaristica a cui possiamo partecipare anche da casa. Leggete qui la proposta.
Oggi fiaccole in piazza San Pietro e un lume alla finestra alle 20 in punto in tutte le case.
A Napoli giovedì 28 febbraio, alle ore 18 nella Cattedrale Nel giorno in cui il Benedetto
XVI, lascerà il Palazzo Apostolico di San Pietro tutta la Chiesa di Napoli, con il
Suo Arcivescovo Cardinale Crescenzio Sepe, i Vescovi Ausiliari, i Vicari
Episcopali, i Decani e i Parroci, i Religiosi e le Religiose, i Diaconi
permanenti, i Seminaristi, il popolo di Dio, si riunisce in preghiera per accompagnare con la preghiera l’amatissimo Benedetto XVI e per ringraziare Cristo nostro Signore di
averci donato questo Papa.
ANGELUS. BENEDETTO, PER SEMPRE. TI SAREMO SEMPRE VICINI CON LA PREGHIERA

In preghiera
siamo sempre vicini
“Il Signore mi chiama a salire
sul monte, a dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione. Ma
questo non significa abbandonare la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo è
proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo
stesso amore con cui ho cercato di farlo fino ad ora, ma in un modo più adatto
alla mia età e alle mie forze. … In preghiera siamo sempre vicini” (Benedetto XVI, 24 febbraio 2013).
Il cuore del Papa parla al cuore di tutti e lo farà ancora nella preghiera
Cor ad cor loquitur
Dopo la preghiera dell'Angelus di oggi:
"Grazie di essere venuti cosi' numerosi! Anche questo e' un segno dell'affetto e della vicinanza spirituale che mi state manifestando in questi giorni ... A tutti auguro una buona domenica e un buon cammino di Quaresima. Questa sera inizierò la settimana di Esercizi spirituali: rimaniamo uniti nella preghiera. Grazie!" (Benedetto XVI).
Un
filo bianco, quello della purezza del cuore, lega le figure più luminose della
storia della Chiesa. È un filo invisibile agli occhi, ma che diventa percepibile
in alcuni momenti importanti. È successo pensando alla scelta del Papa e al suo
immergersi con Cristo in Dio. Ed è
riaffiorato quel motto che fu scelto per la visita apostolica di Benedetto XVI
in Inghilterra, nel settembre 2010: Cor
ad cor loquitur, ovvero Il cuore parla al cuore.
Sono
le parole che il Cardinale Newman scelse per il suo stemma quando divenne
porporato (si richiamava a San Francesco di Sales) e che Papa Benedetto XVI,
molto legato alla figura di Newman, nell’omelia del 19 settembre 2010 spiegò così:
“Il motto del Cardinale Newman, Cor ad
cor loquitur, o "Il cuore parla al cuore", ci permette di penetrare
nella sua comprensione della vita cristiana come chiamata alla santità,
sperimentata come l'intenso desiderio del cuore umano di entrare in intima
comunione con il Cuore di Dio. Egli ci ricorda che la fedeltà alla preghiera ci
trasforma gradualmente nella somiglianza divina. Come scrisse in uno dei suoi
sermoni tante belle, "l'abitudine della preghiera, la pratica di
rivolgersi a Dio e al mondo invisibile in ogni stagione, in ogni luogo, in ogni
emergenza - la preghiera, dico, ha ciò che può essere chiamato un effetto
naturale a spiritualizzare ed elevare l'anima Un uomo non è più quello che era
prima…."(Sermoni parrocchiali e comune, iv, 230-231)…. L'insegnamento
Beato John Henry sulla preghiera spiega come il fedele cristiano è
definitivamente assunto al servizio del Maestro vero, il solo che ha un diritto
alla nostra devozione incondizionata (cfr Mt 23,10). Newman ci aiuta a capire
che cosa questo significa per la nostra vita quotidiana: ci dice che il nostro
divino Maestro ha assegnato un compito specifico a ciascuno di noi, un
"servizio definito", impegnata in modo univoco ad ogni singola
persona: "Io ho la mia missione" , ha scritto: "Io sono un
anello di una catena, un vincolo di connessione fra le persone e non mi ha
creato per niente farò bene, farò il suo lavoro,.. sarò un angelo di pace, un
predicatore della verità nel mio posto ... se lo faccio, ma osserviamo i suoi
comandamenti e servirlo nella mia chiamata"(Meditazioni e Devozioni,
301-2).”
Ecco,il
cuore parla al cuore: il cuore di Dio parla al cuore degli uomini, il cuore
dell’uomo parla al cuore di Dio. È un colloquio che - come insegna la
spiritualità teresiana e sanjuanista – ha una capacità trasformante. La
bellezza della preghiera e questa realtà della preghiera capace di unire i
cuori in un unico linguaggio ci è stata ricordata da Benedetto XVI in queste
ore in cui il nostro cuore, a stento, ha soffocato la voglia di gridargli “Rimani!”
Oggi in piazza San Pietro, in realtà, un cartellone con questa frase c’era. Ma
c’è stata soprattutto la voglia di testimoniare affetto e riconoscenza,
sostegno nella preghiera a una persona che resterà nel cuore.
Secondo
il pensiero del beato Newman esistono figure da un influsso irresistibile,
anche se isolate, anche se apparentemente fragili. Eppure possono essere quelle
più in grado di “continuare l’opera silenziosa di Dio”. Come? Con la loro vita,
la loro fedeltà, il loro amore a Gesù sono i più credibili testimoni della Verità.
Diremmo “cooperatori della verità” per ricordare, questa volta, il motto
episcopale di Joseph Ratzinger. Anche in un mondo cupo e tenebroso, questi
uomini diventano fiaccole ardenti in grado di far comprendere agli altri qual è
la vera Luce del mondo, verso cui ri-orientarsi e ardere a loro volta. Sono cristiani
- secondo Newman – con un influsso irresistibile: “Pochi uomini grandi
basteranno a salvare il mondo per secoli” (scrisse nell’Apologia, Sermoni
universitari). Tra questi pochi uomini c’è Benedetto XVI che con la sua vita,
oltre che con gli otto anni di Pontificato, e con la sua scelta di vivere
nascosto con Cristo in Dio, continuerà a occuparsi paternamente di noi, nella
preghiera.
Le
parole della b. Elisabetta della Trinità, carmelitana scalza, scritte a un’amica
dalla clausura, aiutano a comprende meglio come ciò può avvenire: “Sola con Colui che amo, l’anima mia e il mio cuore vengono a trovarti
e credo che se realmente fossi vicino a te con la mia persona, ti sarei meno
presente”.
Stefania De Bonis
IL PAPA CI AIUTA A RIFLETTERE SULLE TENTAZIONI
Cari fratelli e sorelle,
oggi, Mercoledì delle Ceneri, iniziamo il Tempo liturgico della Quaresima, quaranta giorni che ci preparano alla celebrazione della Santa Pasqua; è un tempo di particolare impegno nel nostro cammino spirituale. Il numero quaranta ricorre varie volte nella Sacra Scrittura. In particolare, come sappiamo, esso richiama i quarant’anni in cui il popolo di Israele peregrinò nel deserto: un lungo periodo di formazione per diventare il popolo di Dio, ma anche un lungo periodo in cui la tentazione di essere infedeli all’alleanza con il Signore era sempre presente. Quaranta furono anche i giorni di cammino del profeta Elia per raggiungere il Monte di Dio, l’Horeb; come pure il periodo che Gesù passò nel deserto prima di iniziare la sua vita pubblica e dove fu tentato dal diavolo. Nell’odierna Catechesi vorrei soffermarmi proprio su questo momento della vita terrena del Signore, che leggeremo nel Vangelo di domenica prossima.
Anzitutto il deserto, dove Gesù si ritira, è il luogo del silenzio, della povertà, dove l’uomo è privato degli appoggi materiali e si trova di fronte alle domande fondamentali dell’esistenza, è spinto ad andare all’essenziale e proprio per questo gli è più facile incontrare Dio. Ma il deserto è anche il luogo della morte, perché dove non c’è acqua non c’è neppure vita, ed è il luogo della solitudine, in cui l’uomo sente più intensa la tentazione. Gesù va nel deserto, e là subisce la tentazione di lasciare la via indicata dal Padre per seguire altre strade più facili e mondane (cfr Lc 4,1-13). Così Egli si carica delle nostre tentazioni, porta con Sè la nostra miseria, per vincere il maligno e aprirci il cammino verso Dio, il cammino della conversione.
Riflettere sulle tentazioni a cui è sottoposto Gesù nel deserto è un invito per ciascuno di noi a rispondere ad una domanda fondamentale: che cosa conta davvero nella mia vita? Nella prima tentazione il diavolo propone a Gesù di cambiare una pietra in pane per spegnere la fame. Gesù ribatte che l’uomo vive anche di pane, ma non di solo pane: senza una risposta alla fame di verità, alla fame di Dio, l’uomo non si può salvare (cfr vv. 3-4). Nella seconda tentazione, il diavolo propone a Gesù la via del potere: lo conduce in alto e gli offre il dominio del mondo; ma non è questa la strada di Dio: Gesù ha ben chiaro che non è il potere mondano che salva il mondo, ma il potere della croce, dell’umiltà, dell’amore (cfr vv. 5-8). Nella terza tentazione, il diavolo propone a Gesù di gettarsi dal pinnacolo del Tempio di Gerusalemme e farsi salvare da Dio mediante i suoi angeli, di compiere cioè qualcosa di sensazionale per mettere alla prova Dio stesso; ma la risposta è che Dio non è un oggetto a cui imporre le nostre condizioni: è il Signore di tutto (cfr vv. 9-12). Qual è il nocciolo delle tre tentazioni che subisce Gesù? E’ la proposta di strumentalizzare Dio, di usarlo per i propri interessi, per la propria gloria e per il proprio successo. E dunque, in sostanza, di mettere se stessi al posto di Dio, rimuovendolo dalla propria esistenza e facendolo sembrare superfluo. Ognuno dovrebbe chiedersi allora: che posto ha Dio nella mia vita? E’ Lui il Signore o sono io?
Superare la tentazione di sottomettere Dio a sé e ai propri interessi o di metterlo in un angolo e convertirsi al giusto ordine di priorità, dare a Dio il primo posto, è un cammino che ogni cristiano deve percorrere sempre di nuovo. “Convertirsi”, un invito che ascolteremo molte volte in Quaresima, significa seguire Gesù in modo che il suo Vangelo sia guida concreta della vita; significa lasciare che Dio ci trasformi, smettere di pensare che siamo noi gli unici costruttori della nostra esistenza; significa riconoscere che siamo creature, che dipendiamo da Dio, dal suo amore, e soltanto «perdendo» la nostra vita in Lui possiamo guadagnarla. Questo esige di operare le nostre scelte alla luce della Parola di Dio.
Oggi non si può più essere cristiani come semplice conseguenza del fatto di vivere in una società che ha radici cristiane: anche chi nasce da una famiglia cristiana ed è educato religiosamente deve, ogni giorno, rinnovare la scelta di essere cristiano, cioè dare a Dio il primo posto, di fronte alle tentazioni che una cultura secolarizzata gli propone di continuo, di fronte al giudizio critico di molti contemporanei.
Suor Cristiana Dobner: Dopo il deserto, il Papa riconsegna a Gesù il gregge
Papa Benedetto negli ultimi tempi in cui ha maturato la sua coraggiosa scelta, deve aver vissuto un travaglio denso e oscuro dentro di sé, deve aver attraversato il deserto pietroso che non lascia intravvedere la pista e toglie le forze. Radicato però come egli è nel Signore Gesù, la luce, per quanto sofferta, è giunta pacatamente e radicalmente.
Il nostro Pontefice non si ritira in pensione per godersi la liquidazione, per spendere il tempo che gli resta nella scrittura dei suoi saggi teologici, Egli considera il mandato di pascere il gregge ben più ampio della sua stessa persona. Si considera autenticamente “servo” e, quando il servo perde le forze e il vigore, allora è giunto il momento di arretrare, non per vile abbandono dinanzi alle difficoltà ma per somma lucidità e per grande amore della Chiesa e di ognuno dei suoi membri. ...
Papa Benedetto ha sempre dimostrato un atteggiamento contemplativo, lo ha ribadito in quasi ogni suo discorso, ampiamente sottolineando come tutto ci venga da Dio, tutto ci è donato e l’unico modo per percepirlo sia quello dell’apertura orante, della comunione amorosa con Dio
.
UN FORTE ABBRACCIO AL NOSTRO PAPA
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L'ANNUNCIO: Carissimi Fratelli,
vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa. Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino.
Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando.
Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato.
Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice.
Carissimi Fratelli, vi ringrazio di vero cuore per tutto l’amore e il lavoro con cui avete portato con me il peso del mio ministero, e chiedo perdono per tutti i miei difetti.
Ora, affidiamo la Santa Chiesa alla cura del suo Sommo Pastore, Nostro Signore Gesù Cristo, e imploriamo la sua santa Madre Maria, affinché assista con la sua bontà materna i Padri Cardinali nell’eleggere il nuovo Sommo Pontefice.
Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio. (© Copyright Radio Vaticana)
DA PARTE NOSTRA NESSUN COMMENTO, SE NON UN GRANDE DOLORE, UN GRANDE RISPETTO E IL DESIDERIO DI ABBRACCIARLO, FORTE FORTE.
Grazie a Papa Benedetto per la Sua Lectio Divina!!!!!
Troverete, cliccando qui, il commovente ritratto dell'apostolo e primo vicario di Cristo e la bellissima immagine agostiniana della Chiesa con le sue radici rivolte verso l'altro:
"...Essendo
cristiani, sappiamo che nostro è il futuro e l’albero della Chiesa non è un
albero morente, ma l’albero che cresce sempre di nuovo. (....) La Chiesa si rinnova sempre, rinasce sempre. (....)Ci sono anche cadute
gravi, pericolose, e dobbiamo
riconoscere con sano realismo che così non va, non va dove si fanno cose
sbagliate. Ma anche essere sicuri, allo stesso tempo, che se qua e là la Chiesa
muore a causa dei peccati degli uomini, a causa della loro non credenza, nello
stesso tempo, nasce di nuovo. Il futuro è realmente di Dio: questa è la grande certezza
della nostra vita, il grande,vero ottimismo che sappiamo. La Chiesa è l’albero
di Dio che vive in eterno e porta in sé l’eternità e la vera eredità: la vita
eterna".
Che cosa significa credere?
Prima
conferenza del ciclo di incontri organizzati dall’ocds dei SS. Teresa e
Giuseppe di Napoli per l’Anno della Fede
La fede: una
definizione.
Papa Benedetto
XVI ha voluto dedicare l’anno liturgico 2013 alla fede. Certamente la fede è la virtù che caratterizza
ogni cristiano. Tutti noi battezzati abbiamo fede in Dio e per questo tentiamo
di comportarci di una certa maniera, cioè tentiamo di far coincidere la nostra
vita con quello che noi professiamo nella fede. Certamente la fede è la virtù principale
del cristiano attraverso la quale si crede in Dio e nella sua azione nel mondo,
nella storia e, soprattutto, personalmente nella nostra vita.
Possono
sorgere alcune domande la cui risposta è molto importante per la nostra vita
personale e spirituale. Personalmente penso che questa è l’intenzione che ha avuto
Benedetto XVI e ha offerto alla Chiesa. Come dice lui stesso: “Dall’inizio del
mio ministero come successore di Pietro, ho ricordato l’esigenza di riscoprire
il cammino della fede” (PF 2). Molte volte ci sono realtà che si tengono per
presupposte, si pensa che l’abbiamo e mai riflettiamo. Non so è come la salute
non ci rendiamo conto quanto importante è fino a che non l’abbiamo perso. Per
questo è necessario e doveroso fare una riflessione sulla fede.
Quando
ci mettiamo a riflettere sulla nostra fede sorgono varie domande: Che cosa è la
fede? Che significa credere? Che conseguenze ha nella mia vita? È sempre stata
uguale la fede? Come posso sapere se ho fede?
Queste
sono domande alle quali tenterò di rispondere in questa riflessione, ma
soprattutto spero di stimolarvi ad una
riflessione personale, una riflessione che aiuti ognuno di noi a riscoprire e
riflettere sulla propria fede. Forse
la prima affermazione che dovremmo fare è che la fede è un’adesione personale dell’uomo a Dio come risposta libera a
tutte le verità che Lui ci ha rivelato nel mondo e nella storia. In quanto
adesione personale a Dio e accoglienza alla verità che Lui ha rivelato, la fede
cristiana differisce della fede in una persona umana .
“Maledetto l'uomo che confida nell'uomo, e
pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuore dal Signore. Sarà
come un tamerisco nella steppa; non vedrà venire il bene, dimorerà in luoghi
aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere” (Ger
17,5-6);
“Beato l'uomo che ha posto la sua fiducia nel
Signore e non si volge verso chi segue gli idoli né verso chi segue la menzogna”
(Sal 40,5).
Essendo
un’adesione personale diventa un’opzione che dà senso alla vita e mette in
gioco tutte le facoltà della persona umana orientandola verso una finalità,
cioè la maturità umana, l’equilibrio psicologico e spirituale o, se vogliamo,
il compimento del piano che Dio ha su ognuno di noi.
LO SVILUPPO DELLA FEDE NELLA STORIA
Come l’uomo, la fede è una realtà viva che si
è sviluppata dall’inizio della rivelazione, ha raggiunto con Gesù la sua pienezza
e continua ad essere viva attraverso la storia dell’uomo.
Per questo
penso che la prima cosa che dovremmo fare è analizzare la rivelazione, il suo
sviluppo e dopo riflettere sul contenuto della fede.
Qual è
il testo il cui è raccolta la storia la rivelazione di Dio a gli uomini? La Bibbia. Cominciamo dall’Antico Testamento. In questo gruppo di
libri non troviamo un termine specifico come dopo succederà nel Nuovo
Testamento che usa il termine greco “pistis” (si legge: pistis) per
riferirsi alla fede. Nell’Antico
Testamento la fede, più che un termine, è un attitudine, cioè un’accoglienza
della Parola di Dio, una disposizione, l’accogliere quello che indica Dio.
Questa caratteristica si vede molto bene nella figura di Abramo e nei profeti.
Per l’Antico Testamento la fede si riflette nella vita, in quello che faccio
non in quello che penso.
CHE SIGNIFICA COMPORTARSI DA CREDENTE? LO SI VEDE
NELL’ANTICO TESTAMENTO: QUANDO DIO CERCA L’UOMO (E LO FA SEMPRE CON AMORE), L’UOMO RISPONDE CON
LIBERTÀ E RICONOSCENZA.
Per
l’Antico Testamento, Dio è il
protettore, il difensore del popolo d’Israele, dei più deboli del popolo:
il povero, la vedova e lo straniero. Ma la cosa che colpisce di più in questo
libro è la scelta libera e incondizionata
che Dio fa del suo popolo. Di solito nelle altre religioni è l’uomo che
cerca Dio, ma in questo caso è Dio che cerca e sceglie l’uomo e si rivela a
lui.
Questa
è anche l’esperienza di San Giovanni della Croce che ci dice: “Se l’uomo cerca Dio molto più lo cerca Dio
a lui” (Fiamma B 28). Dio non soltanto si rivela al popolo d’Israele, ma lo
protegge, gli parla, lo accompagna e gli svela il piano di salvezza. Tutto
gratuitamente, senza aspettare niente a cambio, soltanto la risposta dell’uomo,
la sua fedeltà, il rispetto per l’altro… quindi Dio vuole soltanto la maturità dell’uomo (lo vedremo molto più sviluppato
nel Nuovo Testamento).
Comprendere
la fede come una risposta dovuta a Dio è avere in mano la chiave che ci apre la
porta alla sua esperienza e ci mostra come la fede non è tanto qualche cosa
intellettuale piuttosto che una realtà esperienziale. Così la fede, come
risposta a Dio, come esperienza di un Dio vivo, non lontano ma vicino all’uomo,
è la virtù più importante di tutta la Bibbia, tanto nell’Antico come nel Nuovo
Testamento, e continua, viva, fino a noi.
IL PRIMO CREDENTE: ABRAMO
Forse
la figura della fede più importante che passa dall’Antico al Nuovo Testamento è
Abramo. Secondo leggiamo nella Bibbia, Abramo è modello di fede per ogni ebreo,
e poi anche per ogni cristiano, perché “egli
ebbe fede sperando contro ogni speranza” (Rom 4,18); ma anche viene usato
come figura di fede nei vangeli, nella Lettera agli Ebrei e nelle lettere di
San Pietro e in quelle di Giacomo.
La
storia di Abramo viene raccontata nel libro della Genesi a partire del capitolo
12 e si allunga fino al capitolo 25, dove si racconta la sua morte. Dio appare
nella vita e nella storia di Abramo all’improvviso, senza che lui meritasse
niente, ci dice la Genesi: “Il Signore
disse ad Abram: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo
padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti
benedirò” (Gen 12,1-2). L’entrata di Dio è “a sacco”, non c’è nessun
preambolo, niente unisce questa apparizione con i passi anteriori. E fa una
promessa che nessuno aspettava, ma certamente questa non poteva essere più
imprecisa. Dio chiede ad Abramo di abbandonare la sua casa, il suo popolo, i
suoi dei, le sue radici, per una promessa della quale non ha nessuna sicurezza.
Per un semita lasciare le radice è come morire.
Nella
logica non si può capire questa richiesta. Credere è compromettersi seriamente
con il progetto di Dio senza capire logicamente tutto. Lo stesso succederà
quando Gesù nel vangelo chiama i primi discepoli a convertirsi in pescatori di
uomini, non da sicurezze, no da spiegazioni, semplicemente c’è il fascino della
sua persona, il fascino di Dio. Abramo non aveva discendenza, aveva il suo
popolo, le sue radice e i suoi dei, ma lascia tutto confidando nella promessa
che Dio li ha fatto.
Abramo
accetta questa sfida che Dio li manda e parte della sua terra “Allora Abram partì, come gli aveva ordinato
il Signore” (Gen 12,4). Il cammino della fede per Abramo, come per ogni
cristiano, è molto difficile, e ci sono i momenti di difficoltà, o di notte
oscura, come li chiamerà San Giovanni della Croce. C’è un momento nel quale
Abramo tocca fondo quando dice a Dio: “Ecco,
a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede” (Gen 15,3);
ma la risposta di Dio è rassicurante: “Guarda
in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle”; e soggiunse: “Tale sarà la tua discendenza”. (Gen 15,5).
Abramo crede nella promessa di Dio, si fida di Lui, e alla fine Sara, sua
moglie, avrà un figlio (Gen 21,2).

Si
possono offrire al Signore anche sacrifici, per ottenere qualcosa, ma la vera
fede ci fa offrire quello che Dio ci chiede. Quella è idolatria questa è vera
fede.
Questa
fede di Abramo apre un grande progresso nella storia della salvezza. Passiamo dalla
disobbedienza e superbia di Adamo ed Eva all’obbedienza di un uomo. Dall’inimicizia
con Dio dell’uomo all’amicizia dell’uomo con Dio.
La vita
di fede d’Israele dipenderà della fedeltà all’alleanza che Dio ha fatto con
Abramo, e poi con Mosè e tutto il popolo. Lo stesso Dio manderà profeti per
ricordare questa alleanza, e il motivo di denuncia di questi sempre sarà
l’infedeltà d’Israele ad essa.
IL NUOVO TESTAMENTO
Arriviamo
così al, Nuovo Testamento, dove il concetto di fede rimane sostanzialmente lo
stesso, ossia una risposta dell’uomo a Dio che chiama. A partire di questo
momento non sarà il Dio impersonale, Yavhé, il cui nome non poteva essere
pronunciato, ma sarà Gesù, suo figlio: “Dio,
che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per
mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo
del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha
fatto anche il mondo” (Eb 1,1-2).
Nel Nuovo Testamento i concetti di fede e
credere appaiono con maggior frequenza, e soprattutto si usa il termine “pistis”; ma
soprattutto adesso la fede non è tanto essere fedele all’Alleanza di Dio, ma
credere nel suo inviato, ossia, in Gesù: “Padre
giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno
conosciuto che tu mi hai mandato”
(Gv 17,25). Questo è il cambiamento che chiede Gesù ai suoi ascoltatori. Se
prima si arrivava alla benedizione perché si era discendenza di Abramo, adesso
questa benedizione viene attraverso la fede in Gesù: “Ora io vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e
siederanno a mensa con Abramo,
Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli” (Mt 8,11).
Di che cosa ha bisogno l’uomo per credere?
Per
arrivare a questo nuovo atteggiamento si vuole la conversione, cioè, un
cambiamento radicale di mente e di cuore, un passare dall’Antico al Nuovo
Testamento. Purtroppo anche attualmente molti cristiani vivono credendo nel Dio
dell’Antico Testamento, o con un idolo per dio. Non si tratta di una
conversione etica, ma di una conversione teologica, di vita, di cambiamento
totale. La conversione e la fede sono due realtà che vanno insieme nella vita
del cristiano, qualche volta la fede entra in crisi per portare ad una nuova
conversione o ad una approfondimento di questa. Questo particolare lo vediamo
molto bene nella vita di Santa Teresa.
La fede
non è qualcosa che si acquista una volta per tutta la vita, questa come tutte
le cose umane è viva, cambiante, e si trasforma insieme con noi e con le nostre
circostanze. Uno su i può convertire in un momento della sua vita, ma poi, se
non cura questa fede, può lasciarla morire come il grano che cresce fra le
pietre o le spine, che spunta con forza ma poco dopo si secca (Mt 13,5-7).
Credere
è essere convinti che là dove finiscono le nostre forze iniziano le forze di
Dio, che quello che noi non possiamo fare lo farà Dio. Credere è fidarsi di Dio in tutto. Credere è confidare completamente
della persona di Gesù e del suo messaggio sapendo che Lui può tutto come ha
fatto Abramo, come dice Pietro nel vangelo di Giovanni (Gv 6,68).
Questa
fede ha una forza tale che non soltanto si possono fare dei miracoli ma si
possono spostare montagne ed alberi (Lc 17,6), non è che crei superuomini ma
lascia attuare Dio nella persona, perché per Dio non c’è niente d’impossibile.

Dio può
fare grandi cose in ogni credente e Santa Teresa di Gesù, soprattutto nel Cammino di Perfezione, vuole insegnarci
a lasciarci trasformare da Gesù, a dare tutto perché Lui ci dia tutto. Questo è
il punto centrale della vita del cristiano, del credente.
Ma che significa aver fede?
Fino
adesso abbiamo analizzato la fede nella rivelazione di Dio e ci siamo resi conto come la fede sia un esperienza umana,
un incontro personale con Dio e una risposta personale, fidarsi di Gesù,
sperimentare nella vita che Lui è Figlio di Dio… ma se noi chiediamo a
qualsiasi persona Hai fede? E che cosa significa la fede? penserà a qualche
cosa di intellettuale, da accettare in maniera incondizionata, come verità
rivelate, dogmi .
Quindi
attualmente la fede non è tanto considerata vita ed esperienza, come ci è stato
rivelato, quanto intellettualità e verità non comprensibili per la mente umana
da accettare incondizionatamente se si vuole essere cristiano.
Che è
successo perché si dia questo cambiamento? Perché oggi esiste questa immagine
distorta?
Come
abbiamo detto all’inizio di questa riflessione la fede, come la vita umana,
come la nostra società è qualche cosa viva, che cambia, si adatta alle diverse
circostanze…
Il grande intuito che ha avuto
il nostro Papa Benedetto XVI è proprio di farci riflettere sulla fede per
scoprirla nella sua verità, nella sua freschezza come centro di tutta la nostra
esperienza cristiana.
Come il pensiero ha
influenzato la nozione di fede.
Nei
primi secoli della Chiesa, come si vede molto bene negli Atti degli Apostoli e
nei primi scritti dei Santi Padri, per essere accettati fra i cristiani bastava
con confessare la divinità di Gesù che si sentiva nella vita, che ti
trasformava della tua vita passata. In parole di San Paolo potremmo dire che ti
faceva passare dell’uomo vecchio (peccatore) all’uomo nuovo (in Cristo). Questo
è stato così nei primi secoli di vita cristiana, ma a partire del III secolo
con l’estendersi della Chiesa, con la riflessione che fa di se stessa e dei
suoi misteri, cominciano a accedere i pensatori (filosofi) che traducono l’esperienza
in termini filosofici. Comincia a crearsi anche un linguaggio nuovo.
L’antropologia e i termini ebraici si cambiano in termini greci. La fede
annunziata attraverso il kerigma, dal greco “Kerux” (araldo), cioè primo
annuncio si comincia a dogmatizzare. Non tanto l’annuncio ma la riflessione.
Non tanto lo spirito ma la ragione.
La necessità di frenare le eresie
La
Chiesa comincia ad essere messa alle strette da alcuni modi di credere in Gesù
che non corrispondevano con la regola di fede. Già San Paolo parla di un altro
vangelo annunciato da altri apostoli (Gal 1,8). Una delle prime eresie nate è
quella del gnosticismo che sorge della filosofia greca e si stende rapidamente
per la Chiesa. Dire che Dio è buono e il mondo cattivo, quindi Dio non ha
creato il mondo. Questa eresia sorse presto nella Chiesa, forse proprio quando
si scriveva il vangelo di Giovanni, ossia, a fine I secolo.
A metà
del II secolo sorse il montanismo che difendeva una grande rigorismo. Nel III
secolo sorsero il monachismo, il docetismo, arianesimo… diverse eresie che
potevano deviare il cristiano dalla vera fede.
Quindi
la Chiesa si vide costretta a forgiare i termini che servivano, in un modo o in
un altro, a chiarire il Mistero che proclamava, a creare termini sempre più
tecnici ... Credere allora sembra dover essere edotti su certi argomenti
dell’ortodossia della Chiesa. Inizia la divisione fra esperienza e teologia.
Con il
Concilio di Nicea (325) si definisce la divinità di Gesù, si crea un simbolo
della fede, un credo, che deve essere accettato da tutti; e allo stesso tempo da
diversi canoni o decisioni che dovevano essere accettate. Per sapere se uno era
cristiano ortodosso doveva accettare alcuni termini teologici e negare gli
altri. I primi concili ecumenici creano altre tappe per combattere le eresie e
gli errori, e cominciano a stabilire i dogmi che definiscono la vera fede
arricchendo il Simbolo apostolico.
Nel
Concilio di Costantinopoli I (381) si definisce la divinità dello Spirito
Santo, nel Concilio di Efeso (432) si definisce la divina Maternità di Maria,
il Concilio di Calcedonia (451) definisce la doppia natura di Gesù, cioè vero
Dio e vero uomo. Pian piano i diversi concili della Chiesa sono andati
definendo maggiormente le varie verità della Chiesa, attraverso la confutazione
delle diverse eresie e l’approfondimento che portava le varie dispute
teologiche.
Siamo
arrivati così ad un sistema teologico di pensiero con un grande sviluppo nel Medioevo e un grande
influsso nella Chiesa: la filosofia o teologia Scolastica. Il suo nome proviene
dal greco “scholastikos” (cioè che viene educato nella scuola), e si
tentava di conciliare la fede cristiana con il sistema di pensiero razionale,
specialmente la filosofia greca. Lo sviluppo di questa teologia coincide con lo
sviluppo del potere della Chiesa, quando dopo l’anno mille e la nascita degli
stati e dell’Europa cristiana, fede e potere civile si uniscono arrivando a
eliminare le persone che non accettavano la fede cattolica. È il periodo in cui
nasce l’Inquisizione.
Arriviamo
alla fine del Medioevo allo sviluppo dell’uomo, del pensiero filosofico e ad
una certa libertà di pensiero che porterà allo sviluppo della dottrina protestante,
in realtà una lotta politica per il potere politico e la libertà della Chiesa.
Lutero difenderà una libertà spirituale e di pensiero, una libertà di
interpretazione della Scrittura. La sua dottrina sarà più carismatica,
ammettendo, sotto l’influsso della dottrina di San Paolo, la sola fede come
causa di salvezza, negando l’infallibilità del Papa e il controllo dogmatico.
Questo provocherà la reazione cattolica con la Controriforma e il Concilio di
Trento (1545-1563).
Per
lottare contro la dottrina carismatica di Lutero, Trento stabilirà diversi
dogmi che devono essere accettati, fomenterà la redazioni di diversi catechismi
che riassumeranno la fede cattolica in verità concrete che devono essere
imparate. In questo clima si crea un immagine di un Dio monarca assoluto, che
non lascia libertà, che controlla tutto, soprattutto la morale, che sa tutto, contro
il quale non si può fare niente. Un Dio che non ha niente a che fare con il Dio
rivelato da Gesù nel Vangelo. Questa sarà la causa della defezione di molte
persone della Chiesa Cattolica.
Con il
razionalismo del ‘700 e con la Rivoluzione Francese del 1789 comincerà a
cambiare l’ambiente del pensiero. Ormai la verità non si trova in Dio e nella
Chiesa, l’uomo può pensare liberamente, ognuno può pensare quello che vuole,
inizia a darsi la libertà di espressione. Anche se il Concilio Vaticano I (1869
- 1870 ) afferma il dogma dell’infallibilità papale apre un dibattito su fede e
ragione, la società sembra essersi allontanata dalla Chiesa.
Soltanto
con la celebrazione del Concilio Vaticano II (1962-1965) la Chiesa farà una
riflessione su se stessa. E molto rilevante che è l’unico Concilio che non ha
dato dogmi nuovi, ma si è dedicato a riflettere sulla Chiesa, la sua funzione,
sul mondo, sulla fede… è stato un concilio pastorale e spirituale Un grosso
cambiamento rispetto alle idee precedenti. Ha voluto far scoprire nuovamente
che la fede è una esperienza e non un dogma.
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Karl Rahner, gesuita e teologo tedesco, cattolico, fra i protagonisti del rinnovamento della Chiesa e del Vaticano II. |
Forse
si è reso conto della grande l’intuizione che ha avuto Karl Rahner negli anni
60 quando disse “Il cristiano del futuro
o sarà un mistico o non ci sarà”. Questo vuol dire che il cristiano del XXI
secolo sarà una persona che esperimenta Dio nella sua vita. Adesso il cristiano
ha meno appoggi esterni così per continuare ad essere cristiano deve sviluppare
una fede salda, una convinzione forte in quello che crede, una spiritualità
robusta che possa mantenerlo in piedi di fronte a tutte le difficoltà,
solitudini, scoraggiamento che possa avere.
Questa
è la sfida che ci ha lanciato il Concilio Vaticano II.
Benedetto XVI vuole che noi riflettiamo in
quest’Anno della Fede proprio su questo:il cristiano del XXI secolo non può
basare la sua fede esclusivamente sui dogmi, in verità riflettute e accettate
da secoli senza discutere, attualmente la Chiesa è carismatica e il cristiano
un uomo dello Spirito per questo deve essere carismatico, mistagogico, andare
con Gesù e vedere (Gv 1,39). Non defraudiamo l’invito del Papa ne l'invito che ci rivolge Dio, un Padre che
aspetta molto da noi.
conferenza di P. Arturo Beltràn ocd
26 marzo 2013 Napoli
Chiesa SS. Teresa e Giuseppe
Allevare creature per il Cielo...desiderio d'altri tempi?
Oggi prima domenica del mese di febbraio si celebra, come ogni anno, la Giornata per la vita, istituita nel 1979 con un messaggio dal titolo "La vita umana è sacra". Era da poco stata approvata la legge sull'aborto. Ma anche oggi le statistiche riportano che circa ogni 26 secondi in Europa un bambino è rifiutato con un aborto. Chiediamoci se nel nostro piccolo abbiamo fatto o facciamo qualcosa per difendere la vita o testimoniarne la bellezza ed il rispetto.
Ogni anno il Consiglio Episcopale Permanente della CEI predispone per questa occasione un breve messaggio che illustra un aspetto particolare del tema Vita. Quest'anno il tema è "Generare la vita vince la crisi" ed è possibile consultarlo cliccando qui .
Ma sono tante anche le iniziative del Movimento per la vita. Dovremmo sempre essere bene informati su tutto questo.
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l'immagine scelta per celebrare la giornata per la vita |
Per questa giornata vi proponiamo la figura esemplare di due genitori, il papà e la mamma di S. Teresa del Bambino Gesù che hanno saputo testimoniare il loro amore per le loro creature:
Proporre oggi la testimonianza, forte, dei coniugi Martin se da
un lato scopre una profonda ferita del tempo d’oggi, esprime anche tutta la
speranza e la sorprendente scoperta che come in passato e anche oggi sia
possibile realizzare l’amore coniugale e la piena coscienza del dono della
vita, tenendo vivo e presente l’amore di Dio e la consapevolezza del percorso
umano e divino per il quale ognuno di noi è chiamato! Come ci rivela la Sacra
Scrittura sin dalle prime pagine, con la creazione dell’uomo e la donna.
A tale rilievo ecco la
presentazione di un matrimonio, quello dei Martin, che sorpassa e sorprende
ancora oggi, dando origine non soltanto a un grande amore terreno, ma inteso
nel suo insieme vivo e presente con attiva partecipazione alla Santa Messa
quotidiana, alla confessione frequente, alle adorazioni notturne, alle attività parrocchiali, ad una scrupolosa osservanza
del riposo festivo, insomma.
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Zelia e Luigi Martin con le figlie |
CHI ERANO ZELIA E LUIGI MARTIN.
I coniugi Luigi e Zelia vissero nella Francia nord, occidentale nella seconda metà dell’Ottocento. Sembravano destinati alla vita consacrata, ma il destino li fece incontrare ed ebbero nove figli, di cui quattro morti in tenera età. Le altre cinque figlie divennero tutte monache. L'ultimogenita fu Teresa di Gesù Bambino.
L'esemplarità della loro vita di sposi e di genitori ha fatto sì che fossero anche loro innalzati agli onori degli altari, Il 26 marzo 1994 furono dichiarati Venerabili dal Servo di Dio Giovanni Paolo II. Il 3 luglio 2008 Benedetto XVI ha riconosciuto il miracolo che ha permesso la loro Beatificazione, avvenuta il 19 ottobre dello stesso anno a Lisieux ricevuta con la guarigione del piccolo Pietro Schilirò, un piccolo nato il 22 maggio 2002 con gravi problemi respiratori i cui genitori pregarono proprio Zelia e Luigi.
Di nuovo irradiati dalla Luce
Quaranta giorni dopo il Natale la nostra vita si riempie di nuovo di Luce, della Luce, della Sua Luce.
La Luce che in maniera splendidamente incomprensibile risplende all'interno del tuo cuore e illumina la tua anima, te la svela, così come lui la conosce.
Chi sei, dolce luce che m'inondi
e rischiari la notte del mio cuore?
Tu mi guidi come la mano di una mamma.
Ma, se mi lasciassi,
non più di un passo solo avanzerei.
Tu sei lo spazio
che circonda il mio essere
e nel quale si nasconde.
Se mi abbandoni,
cado nell'abisso del nulla, dal quale mi chiamasti
all'essere.
Tu, a me vicino più di me stesso, più intimo
dell'intimo mio.
Eppure nessuno può toccarti o comprenderti:
d’ ogni nome tu infrangi le catene.
Spirito Santo, eterno Amore. (Edith Stein)
Come
Maria, dobbiamo, a nostra volta, diventare ostensori di Cristo: “Voi siete la
luce del mondo”.
Sì la luce che riceviamo oggi va irradiata e portata agli altri come ha fatto Maria
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