Soreth uno dei padri dell'ocds

Giovanni Soreth di cui oggi facciamo memoria entrò nell'Ordine dei Carmelitani a 16 anni.   
Nato in Normandia, nel 1394 fu ordinato sacerdote verso il 1417
Eletto provinciale di Francia dal 1440 al 1451 e definitore dal 1445, 
fu scelto come Priore Generale dell'Ordine dal 1451 e lo fu fino alla morte. 
E' conosciuto come uno dei più grandi riformatori dell'Ordine (prima di Teresa)
Scrisse un celebre commento alla Regola e propose la rilettura, 
la ricerca dell'unione con Dio e la pratica constante dell'orazione
sottolineando il valore del silenzio
In Italia, Soreth, recependo la bolla papale Cum nulla di Nicolò V nel 1452,  
contribuì al sorgere del Terz'Ordine Secolare Carmelitano.

Avvolti dalla Benedizione di Dio


Esiste un'oggettiva difficoltà: esercitarsi nella Presenza del Signore. Eppure basta poco. C'è un libricino di Anselm Grun "Il cammino del silenzio" che può aiutarci a staccarci dallo stress quotidiano e insegnarci a immergerci nel silenzio, crearlo in noi per attingerne forza e percepire il Signore in noi, con noi, anche negli ambienti che ci sono familiari. Come il salotto della nostra casa:  "Sedetevi per una volta nella vostra stanza preferita, che probabilmente è il salotto, e assaporate il silenzio che vi domina. Immaginate di non essere soli nel soggiorno, ma abbracciati e avvolti nella benedizione divina. Non dovete far nulla, neppure pregare devotamente

Oggi ricordiamo le martiri di Compiégne

“Il martirio è la suprema testimonianza resa alla verità della fede; il martire è un testimone che arriva fino alla morte. Egli rende testimonianza a Cristo, morto e risorto, al quale è unito dalla carità. Rende testimonianza alla verità della fede e della dottrina cristiana e affronta la morte con un atto di fortezza” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2473).
Il Carmelo oggi ricorda le sedici carmelitane scalze martiri di Compiégne,
La Comunità delle Carmelitane Scalze si era stabilita a Compiègne nel 1641, provenendo dal monastero di Amiens. A sette anni dalla fondazione sorgeva il convento con la chiesa dedicata all’Annunciazione. Il monastero prosperò sempre nel fervore, splendendo per regolare osservanza e per fedeltà allo spirito, godendo dell’affetto e della stima della corte francese. Allo scoppio della Rivoluzione le monache rifiutarono di deporre l’abito monastico e quando i torbidi accennarono ad aumentare, tra il giugno e il settembre 1792, seguendo un’ispirazione avuta dalla priora, Teresa di S. Agostino, tutte si offrirono al Signore in olocausto. L’atto di consacrazione divenne l’offerta quotidiana fino al giorno del martirio, giunto due anni dopo.
Le Carmelitane furono condannate a morte dal tribunale rivoluzionario per la loro fedeltà alla vita religiosa. Giunte ai piedi della ghigliottina, dopo aver cantato il “Veni Creator”, una dopo l’altra rinnovarono davanti alla priora la professione religiosa e furono decapitate. Ultima venne uccisa la Madre Teresa di S. Agostino, che aveva preparato le figlie al martirio e che aveva realizzato in maniera meravigliosa quanto ella era solita dire: “L’amore sarà sempre vittorioso. Quando si ama, si può tutto”. Furono ghigliottinate il 17 luglio 1794.

Beatificate da s. Pio X il 13 maggio 1906, con breve pontificio, la loro festa è celebrata il 17 luglio dall'Ordine dei Carmelitani Scalzi e dall'arcidiocesi di Parigi

Domani Solennità della B. Vergine del Monte Carmelo

Che cosa vuol dire indossare il suo Scapolare

 In ascolto alla Parola
(Lc 2, 1-20)
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo.


L'evangelista Luca descrive con tenerezza, quasi facendocelo vedere, il gesto affettuoso con cui Maria  avvolge con fasce il piccolo Gesù. Un gesto che ogni madre ha fatto, in segno di protezione e di cura. Anche noi siamo rivestiti di fasce da Maria, nostra Madre e Sorella: attraverso lo Scapolare ella si prende cura di noi, ci protegge. Ci fascia per farci cresce forti e robusti alla scuola di suo Figlio.

Il dono dello Scapolare

Nella seconda metà del Duecento, in Europa i frati del Carmelo non erano ben visti  e sull'orlo della scomparsa. La famiglia religiosa di Elia sembrava destinata in poco tempo al disfacimento. 
San Simone Stock, un carmelitano di origini inglesi e di riconosciute virtù, viveva con grande difficoltà l'incarico di Generale dell'Ordine. Non riusciva ad esercitare un'effettiva autorità sopra i suoi fratelli che neppure si rendevano conto di non vivere più la vocazione a cui erano stati chiamati. 

Il Carmelo non possedeva ancora una struttura giuridica e uniforme, capace di conservare uno spirito, promuoverlo e trasmetterlo alla posterità. Stock avvertiva l'esigenza di un cambiamento, ma come poteva fare da solo? Pregando la Madonna con molto fervore, San Simone La implorò che non permettesse la scomparsa dell'Ordine Carmelitano. Ogni giorno recitava con il cuore questa preghiera:


Fiore del Carmelo, vite feconda, splendore del cielo, Vergine pura, singolare; Madre fiorente, d'intatto onore, sempre clemente, dona un favore, Stella del Mare. 
Si racconta che la Santissima Vergine sia apparsa al Padre Generale (nel 1251) porgendogli lo Scapolare, perché fosse usato sopra le vesti.
Ricevi, figlio dilettissimo, lo Scapolare del tuo Ordine, segno della mia fraterna amicizia, privilegio per te e per tutti i carmelitani.
In quell'epoca i servi usavano una tunica come abito civile. Sopra di essa indossavano una tunica più piccola, che indicava, per il colore e per le caratteristiche, l'identità del suo padrone. Lo Scapolare del Carmelo era simile a questa piccola tunica.

Da allora l'uso dello Scapolare fu diffuso in tutto il continente, soprattutto in Portogallo. Non è un caso:  a Fatima, la Madonna apparve, per l'ultima volta, rivestita dell'abito della sua più antica devozione - quello del Carmelo. Il giorno 13 ottobre 1917, infatti, mentre 50mila persone furono testimoni del prodigio del Sole, la Vergine si mostrò ai tre pastorelli nelle vesti della Madonna del Monte Carmelo, presentando nelle loro mani, lo Scapolare. I privilegi inestimabili legati allo Scapolare (la salvezza delle anime purganti) sono parte integrante del Messaggio che ci ha lasciato la Madre di Dio a Fatima, assieme al Rosario ed alla devozione al Cuore Immacolato di Maria. Lucia, fattasi poi carmelitana scalza, disse che nel messaggio della Madonna « il Rosario e lo Scapolare sono inseparabili ».

E OGGI?

Il movimento dello Scapolare, dà alcune indicazioni che riportiamo di seguito:
 1. È segno e pegno. Segno di appartenenza a Maria, pegno della sua materna protezione, non solo in vita, ma anche dopo la morte. 2. Comporta l'aggregazione alla famiglia dei « fratelli della beata vergine Maria ». 3. Con lo Scapolare Maria stessa consacra il proprio figlio, vestendolo e segnandolo in modo speciale come appartenente a Lei. « Donna, ecco il tuo figlio! » (Gv 19,26). 4. Il devoto (dal latino devóvere, offrire, consacrare) con lo Scapolare, « consegna sé stesso » a Maria. Come un uomo libero nel Medio Evo si consegnava ad un signore per prestargli servizio e riceverne protezione. « Ecco la tua madre! » (ibid., 27).
 5. Il devoto si impegna a vivere il suo servizio al Signore Gesù, attraverso l'intimità familiare con Maria, come « fratello della beata vergine Maria ». « Da quel momento il discepolo la prese nella sua casa » (ibidem). Per comprendere lo Scapolare bisogna porsi in un'ottica « cavalleresca » che era quella del tempo in cui è nato, ma che appartiene anche ai valori intramontabili dell'uomo. Chi porta lo Scapolare, ha detto Pio XII, « fa professione di appartenere a nostra Signora, come il cavaliere di quel tredicesimo secolo - a cui risale l'origine dello Scapolare - che si sentiva, sotto lo sguardo della sua “dama”, forte e sicuro nel combattimento e che, portando i suoi “colori”, avrebbe preferito mille volte morire che lasciarli macchiare ». (Papa Pio XII, discorso nel settimo centenario dello Scapolare Carmelitano, 6 agosto 1950).

L'Ordine c'invita a riflettere:

La Vergine ci insegna 

  •  a vivere aperti a Dio e alla sue volontà, manifestata negli avvenimenti della vita;  
  •  ad ascoltare la voce (parola) di Dio nella Bibbia e nella vita, mettendo poi in pratica le esigenze di questa voce;  
  •  a pregare  fedelmente sentendo Dio presente in tutti gli avvenimenti;  
  •  a vivere vicini  ai nostri fratelli ed essere solidali con essi nelle loro necessità. 



Lo Scapolare introduce nella fraternità del Carmelocioè in una grande comunità di religiosi e religiose che, nati in Terra Santa, sono presenti nella Chiesa da più di otto secoli. Col tempo ha assunto il significato del voler portare la croce di ogni giorno, come i veri seguaci di Gesù. Segno della decisione di vivere la vita come servi di Cristo e di Maria
  •  Impegna a vivere l'ideale di questa famiglia religiosa, che è l'amicizia intima con Dio attraverso l'orazione. 
  • Pone dinanzi l'esempio dei santi e sante del Carmelo con cui si stabilisce una relazione familiare di fratelli e sorelle. 
  • Esprime la fede nell'incontro con Dio nella vita eterna per l'intercessione di Maria e la sua protezione.   



Santa Teresa di Los Andes, modello dei giovani

Juana Fernandez Solar (Santiago del Cile, nata il 3 luglio 1900 e morta 13 aprile 1920) è il primo fiore di santità della nazione cilena e del Carmelo Teresiano nell'America Latina. Fin dalla fanciullezza fu affascinata da Cristo. Entrò nel monastero delle Carmelitane scalze di Los Andes il 7 maggio 1919 e vi morì l'anno seguente, dopo aver fatto la sua professione religiosa. Canonizzata da Giovanni Paolo II il 21 marzo 1993, è proposta come modello per i giovani della Chiesa di oggi. Sarà, con S. Teresa di Gesù Bambino, la santa protettrice della GMG 2013 che ci sarà a Rio de Janeiro.

Riportiamo, da una pagina del suo diario, questo semplice schema che descrive la sua anima e ci aiuta a emularla:
Per giungere a vivere in Dio, con Dio e per Dio, ciò che è l'ideale di una Carmelitana, di una Teresa di Gesù e di una ostia, ho compreso che sono necessarie quattro cose:
1) silenzio, tanto interiore che esteriore. Silenzio in tutto il mio essere. Evitare ogni parola inutile,2) non parlare di se stessa. Se occorre, per divertire gli altri, farlo alla terza persona. Non parlare mal della famiglia;5) in maniera assoluta, non accordare nulla alla carne. Non cercare il piacere in nulla e l'inclinazione per entrare più facilmente in relazione con Dio;4) vedere Dio in ogni creatura, poiché tutto si trova nella sua immensità. Leggerò ogni giorno questi punti e mi esaminerò a loro riguardo.

Juana, detta Juanita, aveva cominciato a 15 anni il suo Diario e dedicandolo a una suora che era sua professoressa e guida spirituale, scriveva: 
"Lei crede che s'imbatterà con una storia interessante. Non voglio che s'inganni... La storia della mia anima si riassume in due parole: soffrire e amare".


Il 13 luglio del 1915 annota:

Oggi compio quindici anni. Quindici anni! L'età che tutti vorrebbero avere: i bambini per essere considerati più grandi e gli anziani e quelli che hanno oltrepassato questa età, che hanno venticinque anni, vorrebbero ritornare a questa età perché è la più felice.
Ma penso: quindici anni, quindici anni in cui Dio mi ha conservato in vita. Me la diede nel 1900. Mi preferì tra migliaia di esseri per creare proprio me.Nel 1914, l'anno scorso, fui ammalata da rischiare la morte e mi diede un'altra volta la vita. Che cosa ho fatto da parte mia per un favore così grande perché Dio mi abbia data la vita due volte?Quindici anni! Di che cosa mi sono occupata in questi quindici anni? Che cosa ho fatto per piacere a questo Re onnipotente, a questo Creatore misericordioso che mi creò? Perché mi ha preferito a tante creature?L' avvenire non mi si è svelato, ma Gesù ha sollevato il velo ed ho intravisto le belle spiagge del Carmelo.Quante volte ho chiesto a Dio che mi portasse via da questo mondo ed Egli ha quasi ascoltato le mie suppliche e mi ha mandato malattie dalle quali si credeva che non mi sarei salvata. Ma Gesù mi ha insegnato che non devo domandare questo e mi ha posto come termine del mio viaggio ancora nove anni nel porto benedetto del Carmelo.Questi quindici anni, per una ragazza è l'età più pericolosa, è l'entrata nel mare tempestoso del mondo. Ho quindici anni, Gesù ha preso il comando della mia barchetta e l'ha tirata in disparte dall'incontro con altre navi. Mi ha mantenuta solitaria con Lui. Per questo il mio cuore, conoscendo questo Capitano è stato preso dall'amo dell'amore e qui mi tiene prigioniera in esso. Quanto amo questa prigione e questo Re potente che mi tiene prigioniera, questo Capitano che fra i flutti dell'oceano non mi ha lasciato naufragare.Gesù mi nutre quotidianamente con la sua carne adorabile e, insieme a questo cibo, ascolto una voce dolce e soave come gli echi armoniosi degli angeli del cielo. Questa è la voce che mi guida, che scioglie le vele della nave della mia anima perché non soccomba e perché non affondi. Sento sempre quella cara voce che è quella del mio Amato, la voce di Gesù in fondo alla mia anima; e nelle mie angosce, nelle mie tentazioni, Egli è il mio consolatore, egli è il mio Capitano.Conducimi sempre, Gesù mio, per il cammino della croce. E la mia anima si alzerà in volo dove si trova l'aria che vivifica e la quiete. 



Oggi S. Benedetto, patrono d'Europa

 
Festeggiamo con affetto nella preghiera 
l'onomastico del nostro papa emerito
Benedetto XVI
e ricordiamo il santo protettore d'Europa
 con una catechesi ch'egli gli dedicò nel 2008:
 
Benedetto XVI, il 5 luglio 2013 nei Giardini Vaticani
 
San Benedetto, Fondatore del monachesimo occidentale, e anche Patrono del mio pontificato. Comincio con una parola di san Gregorio Magno, che scrive di san Benedetto: “L’uomo di Dio che brillò su questa terra con tanti miracoli non rifulse meno per l’eloquenza con cui seppe esporre la sua dottrina” (Dial. II, 36). Queste parole il grande Papa scrisse nell’anno 592; il santo monaco era morto appena 50 anni prima ed era ancora vivo nella memoria della gente e soprattutto nel fiorente Ordine religioso da lui fondato. San Benedetto da Norcia con la sua vita e la sua opera ha esercitato un influsso fondamentale sullo sviluppo della civiltà e della cultura europea. La fonte più importante sulla vita di lui è il secondo libro dei Dialoghi di san Gregorio Magno. Non è una biografia nel senso classico. Secondo le idee del suo tempo, egli vuole illustrare mediante l’esempio di un uomo concreto – appunto di san Benedetto – l’ascesa alle vette della contemplazione, che può essere realizzata da chi si abbandona a Dio. Quindi ci dà un modello della vita umana come ascesa verso il vertice della perfezione. San Gregorio Magno racconta anche, in questo libro dei Dialoghi, di molti miracoli compiuti dal Santo, ed anche qui non vuole semplicemente raccontare qualche cosa di strano, ma dimostrare come Dio, ammonendo, aiutando e anche punendo, intervenga nelle concrete situazioni della vita dell’uomo. Vuole mostrare che Dio non è un’ipotesi lontana posta all’origine del mondo, ma è presente nella vita dell’uomo, di ogni uomo.
  Questa prospettiva del “biografo” si spiega anche alla luce del contesto generale del suo tempo: a cavallo tra il V e il VI secolo il mondo era sconvolto da una tremenda crisi di valori e di istituzioni, causata dal crollo dell’Impero Romano, dall’invasione dei nuovi popoli e dalla decadenza dei costumi. Con la presentazione di san Benedetto come “astro luminoso”, Gregorio voleva indicare in questa situazione tremenda, proprio qui in questa città di Roma, la via d’uscita dalla “notte oscura della storia” (cfr Giovanni Paolo II, Insegnamenti, II/1, 1979, p. 1158). Di fatto, l’opera del Santo e, in modo particolare, la sua Regola si rivelarono apportatrici di un autentico fermento spirituale, che mutò nel corso dei secoli, ben al di là dei confini della sua Patria e del suo tempo, il volto dell’Europa, suscitando dopo la caduta dell’unità politica creata dall’impero romano una nuova unità spirituale e culturale, quella della fede cristiana condivisa dai popoli del continente. E’ nata proprio così la realtà che noi chiamiamo “Europa”.
 La nascita di san Benedetto viene datata intorno all’anno 480. Proveniva, così dice san Gregorio, “ex provincia Nursiae” – dalla regione della Nursia. I suoi genitori benestanti lo mandarono per la sua formazione negli studi a Roma. Egli però non si fermò a lungo nella Città eterna. Come spiegazione pienamente credibile, Gregorio accenna al fatto che il giovane Benedetto era disgustato dallo stile di vita di molti suoi compagni di studi, che vivevano in modo dissoluto, e non voleva cadere negli stessi loro sbagli. Voleva piacere a Dio solo; “soli Deo placere desiderans” (II Dial., Prol 1). Così, ancora prima della conclusione dei suoi studi, Benedetto lasciò Roma e si ritirò nella solitudine dei monti ad est di Roma. Dopo un primo soggiorno nel villaggio di Effide (oggi: Affile), dove per un certo periodo si associò ad una “comunità religiosa” di monaci, si fece eremita nella non lontana Subiaco.
Pio II, visitando il Monastero di San Benedetto nel 1461, lo definì "nido di rondini
Lì visse per tre anni completamente solo in una grotta che, a partire dall’Alto Medioevo, costituisce il “cuore” di un monastero benedettino chiamato “Sacro Speco”. Il periodo in Subiaco, un periodo di solitudine con Dio, fu per Benedetto un tempo di maturazione. Qui doveva sopportare e superare le tre tentazioni fondamentali di ogni essere umano: la tentazione dell’autoaffermazione e del desiderio di porre se stesso al centro, la tentazione della sensualità e, infine, la tentazione dell’ira e della vendetta. Era infatti convinzione di Benedetto che, solo dopo aver vinto queste tentazioni, egli avrebbe potuto dire agli altri una parola utile per le loro situazioni di bisogno. E così, riappacificata la sua anima, era in grado di controllare pienamente le pulsioni dell’io, per essere così un creatore di pace intorno a sé. Solo allora decise di fondare i primi suoi monasteri nella valle dell’Anio, vicino a Subiaco.
  Nell’anno 529 Benedetto lasciò Subiaco per stabilirsi a Montecassino.
L'Abbazia di Montecassino
Alcuni hanno spiegato questo trasferimento come una fuga davanti agli intrighi di un invidioso ecclesiastico locale. Ma questo tentativo di spiegazione si è rivelato poco convincente, giacché la morte improvvisa di lui non indusse Benedetto a ritornare (II Dial. 8). In realtà, questa decisione gli si impose perché era entrato in una nuova fase della sua maturazione interiore e della sua esperienza monastica. Secondo Gregorio Magno, l’esodo dalla remota valle dell’Anio verso il Monte Cassio – un’altura che, dominando la vasta pianura circostante, è visibile da lontano – riveste un carattere simbolico: la vita monastica nel nascondimento ha una sua ragion d’essere, ma un monastero ha anche una sua finalità pubblica nella vita della Chiesa e della società, deve dare visibilità alla fede come forza di vita. Di fatto, quando, il 21 marzo 547, Benedetto concluse la sua vita terrena, lasciò con la sua Regola e con la famiglia benedettina da lui fondata un patrimonio che ha portato nei secoli trascorsi e porta tuttora frutto in tutto il mondo.
  Nell’intero secondo libro dei Dialoghi Gregorio ci illustra come la vita di san Benedetto fosse immersa in un’atmosfera di preghiera, fondamento portante della sua esistenza. Senza preghiera non c’è esperienza di Dio. Ma la spiritualità di Benedetto non era un’interiorità fuori dalla realtà. Nell’inquietudine e nella confusione del suo tempo, egli viveva sotto lo sguardo di Dio e proprio così non perse mai di vista i doveri della vita quotidiana e l’uomo con i suoi bisogni concreti. Vedendo Dio capì la realtà dell’uomo e la sua missione. Nella sua Regola egli qualifica la vita monastica “una scuola del servizio del Signore” (Prol. 45) e chiede ai suoi monaci che “all’Opera di Dio [cioè all’Ufficio Divino o alla Liturgia delle Ore] non si anteponga nulla” (43,3). Sottolinea, però, che la preghiera è in primo luogo un atto di ascolto (Prol. 9-11), che deve poi tradursi nell’azione concreta. “Il Signore attende che noi rispondiamo ogni giorno coi fatti ai suoi santi insegnamenti”, egli afferma (Prol. 35). Così la vita del monaco diventa una simbiosi feconda tra azione e contemplazione “affinché in tutto venga glorificato Dio” (57,9). In contrasto con una autorealizzazione facile ed egocentrica, oggi spesso esaltata, l’impegno primo ed irrinunciabile del discepolo di san Benedetto è la sincera ricerca di Dio (58,7) sulla via tracciata dal Cristo umile ed obbediente (5,13), all’amore del quale egli non deve anteporre alcunché (4,21; 72,11) e proprio così, nel servizio dell’altro, diventa uomo del servizio e della pace. Nell’esercizio dell’obbedienza posta in atto con una fede animata dall’amore (5,2), il monaco conquista l’umiltà (5,1), alla quale la Regola dedica un intero capitolo (7). In questo modo l’uomo diventa sempre più conforme a Cristo e raggiunge la vera autorealizzazione come creatura ad immagine e somiglianza di Dio.
  All’obbedienza del discepolo deve corrispondere la saggezza dell’Abate, che nel monastero tiene “le veci di Cristo” (2,2; 63,13). La sua figura, delineata soprattutto nel secondo capitolo della Regola, con un profilo di spirituale bellezza e di esigente impegno, può essere considerata come un autoritratto di Benedetto, poiché – come scrive Gregorio Magno – “il Santo non poté in alcun modo insegnare diversamente da come visse” (Dial. II, 36). L’Abate deve essere insieme un tenero padre e anche un severo maestro (2,24), un vero educatore. Inflessibile contro i vizi, è però chiamato soprattutto ad imitare la tenerezza del Buon Pastore (27,8), ad “aiutare piuttosto che a dominare” (64,8), ad “accentuare più con i fatti che con le parole tutto ciò che è buono e santo” e ad “illustrare i divini comandamenti col suo esempio” (2,12). Per essere in grado di decidere responsabilmente, anche l’Abate deve essere uno che ascolta “il consiglio dei fratelli” (3,2), perché “spesso Dio rivela al più giovane la soluzione migliore” (3,3). Questa disposizione rende sorprendentemente moderna una Regola scritta quasi quindici secoli fa! Un uomo di responsabilità pubblica, e anche in piccoli ambiti, deve sempre essere anche un uomo che sa ascoltare e sa imparare da quanto ascolta.

  Benedetto qualifica la Regola come “minima, tracciata solo per l’inizio” (73,8); in realtà però essa offre indicazioni utili non solo ai monaci, ma anche a tutti coloro che cercano una guida nel loro cammino verso Dio. Per la sua misura, la sua umanità e il suo sobrio discernimento tra l’essenziale e il secondario nella vita spirituale, essa ha potuto mantenere la sua forza illuminante fino ad oggi. Paolo VI, proclamando nel 24 ottobre 1964 san Benedetto Patrono d’Europa, intese riconoscere l’opera meravigliosa svolta dal Santo mediante la Regola per la formazione della civiltà e della cultura europea. Oggi l’Europa – uscita appena da un secolo profondamente ferito da due guerre mondiali e dopo il crollo delle grandi ideologie rivelatesi come tragiche utopie – è alla ricerca della propria identità. Per creare un’unità nuova e duratura, sono certo importanti gli strumenti politici, economici e giuridici, ma occorre anche suscitare un rinnovamento etico e spirituale che attinga alle radici cristiane del Continente, altrimenti non si può ricostruire l’Europa. Senza questa linfa vitale, l’uomo resta esposto al pericolo di soccombere all’antica tentazione di volersi redimere da sé – utopia che, in modi diversi, nell’Europa del Novecento ha causato, come ha rilevato il Papa Giovanni Paolo II, “un regresso senza precedenti nella tormentata storia dell’umanità” (Insegnamenti, XIII/1, 1990, p. 58). Cercando il vero progresso, ascoltiamo anche oggi la Regola di san Benedetto come una luce per il nostro cammino. Il grande monaco rimane un vero maestro alla cui scuola possiamo imparare l’arte di vivere l’umanesimo vero.
 
  Papa Benedetto XVI (Udienza Generale 9.04.2008)

Una lettera di Teresa al monastero di Siviglia


 
Alla M. Maria di San Giuseppe

Toledo, 11 luglio 1576
1. Gesù sia con vostra reverenza. Non si dirà che non le scrivo spesso; forse questa lettera, partendo ora, le arriverà prima di un’altra che le ho scritto, credo, tre o quattro giorni fa. Sappia che per il momento io resto qui; l’altro giorno è partito mio fratello e l’ho indotto a condurre con sé Teresa, perché non so se mi ordineranno di fare un giro e non voglio esser gravata del peso di una bambina. Sto bene e mi sento riposata, ora che sono libera da tutta questa confusione, perché, nonostante il grande affetto che ho per mio fratello, mi preoccupava vederlo fuori della sua casa. Non so quanto resterò qui, visto che cerco sempre ancora il modo migliore di condurre a termine l’opera di Malagón.
2. Il suo male mi è stato causa di pena, e quel purgarsi in tale momento non mi sembra una buona cosa. M’informi della sua salute. Nostro Signore gliela dia, come a quelle mie figlie, in conformità del mio desiderio. A tutte mi raccomando molto. Le loro lettere mi hanno fatto piacere. Ad alcune ho già risposto; ora scrivo alla mia Gabriella e a suor San Francesco, troppo generose di lodi. Piaccia a Dio che non mentano e che un’altra volta quello che racconta una non lo racconti l’altra; l’Ottava del Santissimo Sacramento, cioè la festa, me l’hanno raccontata in tre; ciò nonostante, non ne sono rimasta infastidita, anzi ho goduto molto che sia riuscita così bene. Dio ne ricompensi il nostro padre Garciálvarez. Gli dica che gli bacio le mani. L’altro giorno gli ho scritto.
3. Del fatto che si sia concordata la questione della tassa, mio fratello e io ci siamo molto rallegrati; è straordinario quanto egli le ami, e io ne sono rimasta contagiata. Sono stata anche assai contenta dei libri che ha inviato loro, e di tutte le attenzioni che per loro ha il mio santo priore. Dio gliene renda compenso.
4. Vorrei che mi raccontasse molto particolareggiatamente ciò che fanno ora quei poveri frati – intendo dire se c’è qualche mezzo di riconciliazione – e che ne è dei Francescani. Raccomandino a Dio nostro padre, il quale soggiace a molti travagli. Piaccia a Lui ch’egli l’abbia indovinata ad usare tanta severità con quei padri! Dia i miei saluti al padre fra Antonio di Gesù e al padre Mariano: voglio ormai cercare anch’io di raggiungere la perfezione ch’essi raggiungono nel non scrivermi. Al padre Mariano dica che il padre fra Baldassarre e io siamo molto amici.
5. Ieri è venuto Giovanni Díaz, da Madrid. Non c’è idea di fare il monastero qui, perché Giovanni Díaz ritorna a Madrid. Il re ha ordinato a nostro padre di rivolgersi per queste cose dell’Ordine al presidente del Consiglio Reale e a Quiroga. Piaccia a Dio che tutto vada bene. Le ripeto che ha bisogno di molte preghiere. Raccomandino a Dio anche il nostro padre Generale, che è caduto da una mula e si è fracassato una gamba; ciò mi ha dato molta pena perché è ormai vecchio. Molti saluti a tutti i miei amici e alle mie amiche. Facciano ciò ch’è scritto nel foglio accluso.
6. Oh, come sono contenta delle tuniche che ho ricavato dalle lenzuola! Qui dicono ch’è come portarle di lino. Dio renda tutte loro sante e dia salute a vostra reverenza. Pensi molto a sé, perché è meglio prodigarsi ogni sorta di cure che star male. Oggi è l’11 luglio.
Serva di vostra reverenza, Teresa di Gesù.

"Armati" solo della Parola

Meditiamo il Vangelo di oggi con... p. Ermes Ronchi 
Dal Vangelo secondo Luca 
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi quelli che vi lavorano! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi chi lavori nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”».


La messe è abbondante, ma sono pochi quelli che vi lavorano. Gesù insegna uno sguardo nuovo per muoverci nel mondo: la terra matura continuamente spighe di buonissimo grano. Insegna un modo nuovo di guardare l'umanità: la vede come un campo traboccante di un'abbondanza di frutti. 
Noi abbiamo sempre interpretato questo brano come un lamento sul tanto lavoro da fare e sulla scarsità di vocazioni sacerdotali o religiose. Ma Gesù dice qualcosa di molto più importante: il mondo è buono. C'è tanto bene sulla terra. Sa che il padre suo ha seminato bene nei cuori degli uomini: molti di essi vivono una vita buona, tanti cuori inquieti cercano solo un piccolo spiraglio per aprirsi verso la luce, tanti dolori solitari attendono una carezza per sbocciare alla fiducia. 

Dal baco alla farfalla...l'uomo nuovo

Meditiamo il Vangelo di oggi con... Paolo Curtaz

Dal Vangelo secondo Matteo 
In quel tempo, si accostarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: “Perché, mentre noi e i farisei digiuniamo, i tuoi discepoli non digiunano?”. E Gesù disse loro: “Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno. Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, perché il rattoppo squarcia il vestito e si fa uno strappo peggiore. Né si mette vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si rompono gli otri e il vino si versa e gli otri van perduti. Ma si mette vino nuovo in otri nuovi, e così l'uno e gli altri si conservano”.

Vino nuovo in otri nuovi, non abbiamo altra possibilità. È inutile cercare di infilare il vangelo nelle vecchie botti ammuffite delle nostre tradizioni, delle nostre abitudini, dei nostri "si è sempre fatto così". Guardate alla storia della Chiesa: appena noi cristiani abbiamo cercato di sclerotizzare la Parola, di metterla a regime, di annacquare il vino del vangelo, lo Spirito ha suscitato santi e sante che hanno ribaltato tutto, che hanno conservato la speranza, che hanno sospinto la barca nuovamente al largo, là dove il Signore vuole che stia... Tutto ciò che facciamo, ciò che è buono e giusto: la liturgia, la prassi pastorale, l'organizzazione è e deve restare riflesso della bellezza di Dio, della sua immensa tenerezza, della festa di nozze a cui l'umanità è perennemente invitata! Il digiuno lo facciamo per solidarietà con i fratelli che soffrono la fame, nonostante un terzo del mondo, quello ricco, si dichiari cristiano. Il digiuno lo facciamo per risvegliare le nostre coscienze, non certo per farci vedere pii o devoti. Il digiuno lo facciamo come lo chiede il Signore, nel silenzio e nel nascondimento. Il digiuno, per manifestare la gioia dello sposo, facciamolo oggi, astenendoci dai pensieri scuri e inopportuni...

ECHI TERESIANI


Avrete già udito parlare delle meraviglie che Dio opera nella produzione della seta, invenzione di cui Egli solo poteva essere l'autore. Si tratta di piccoli semi, simili a granellini di pepe che io non ho mai veduto, ma di cui ho sentito parlare: perciò, se cado in qualche inesattezza la colpa non è mia.

E altri due papi diventano santi

Nel corso si un'udienza concessa questa mattina  dal pontefice Francesco  al cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il Papa ha, tra l'altro, autorizzato la promulgazione dei decreti riguardanti la canonizzazione di  Papa Wojtyla e di  Papa Roncalli: Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII saranno santi entro la fine dell'Anno della Fede.


Come seguire Colui che dimora nel cuore

Meditiamo il Vangelo di oggi con... Sant'Ambrogio, vescovo di Milano e dottore della Chiesa

Dal Vangelo secondo Matteo.
In quel tempo, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.  Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: "Misericordia io voglio e non sacrifici". Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».
Seguimi
[Dopo la guarigione del paralitico] ecco la misteriosa vocazione del pubblicano. Il Cristo gli da l'ordine di seguirlo, non con un passo materiale, bensì col cambiamento del cuore. E quest'uomo, che fino a quel momento aveva tratto avidamente il suo profitto dalle merci, che sfruttava duramente le fatiche e i pericoli dei marinai, lascia tutto per una parola che lo chiama.

Le due pietre su cui poggia la Chiesa di Cristo

Prima cerimonia oggi con la presenza di papa Francesco
 e del Sommo Pontefice Emerito Benedetto XVI nei giardini vaticani.
    Nel giorno in cui la sala stampa vaticana rendeva noto il testo della Lumen Fidei (clicca sul titolo per leggerne il testo) le due figure più rappresentative della Chiesa si sono incontrate  per la terza volta pubblicamente (chissà quante volte l'anno fatto in privato!) per la benedizione della statua di san Michele Arcangelo all'ingresso del Governatorato Vaticano, a poca distanza da Santa Marta, dove vive il Papa, e dal monastero Mater Ecclesiae dove vive Benedetto XVI.
Non è solo un’opera celebrativa - ha detto papa Francesco spiegando il motivo della cerimonia -  ma un invito alla riflessione e alla preghiera, che si inserisce bene nell’Anno della fede. Michele – che significa: “Chi è come Dio?” – è il campione del primato di Dio, della sua trascendenza e potenza. Michele lotta per ristabilire la giustizia divina; difende il Popolo di Dio dai suoi nemici e soprattutto dal nemico per eccellenza, il diavolo. E san Michele vince perché in Lui è Dio che agisce.
Questa scultura ci richiama allora che il male è vinto, l’accusatore è smascherato, la sua testa schiacciata, perché la salvezza si è compiuta una volta per sempre nel sangue di Cristo. Anche se il diavolo tenta sempre di scalfire il volto dell’Arcangelo e il volto dell’uomo, Dio è più forte; è sua la vittoria e la sua salvezza è offerta ad ogni uomo. Nel cammino e nelle prove della vita non siamo soli, siamo accompagnati e sostenuti dagli Angeli di Dio, che offrono, per così dire, le loro ali per aiutarci a superare tanti pericoli, per poter volare alto rispetto a quelle realtà che possono appesantire la nostra vita o trascinarci in basso. Nel consacrare lo Stato Città del Vaticano a San Michele Arcangelo, gli chiediamo che ci difenda dal Maligno e che lo getti fuori.            
Cari fratelli e sorelle, noi consacriamo lo Stato Città del Vaticano anche a San Giuseppe, il custode di Gesù, il custode della Santa Famiglia. La sua presenza ci renda ancora più forti e coraggiosi nel fare spazio a Dio nella nostra vita per vincere sempre il male con il bene. A Lui chiediamo che ci custodisca, si prenda cura di noi, perché la vita della Grazia cresca ogni giorno di più in ciascuno di noi.
Papa Bergoglio all'inizio ha salutato  Papa Benedetto XVI, al quale va sempre il nostro affetto e la nostra riconoscenza e al quale vogliamo esprimere la nostra grande gioia per averLo qui presente oggi in mezzo a noi. Grazie di vero cuore!.
Ed è bello e significativo vedere i due papi vicini nel giorno il cui esce l'Enciclica sull'anno della fede, scritta in gran parte da Benedetto XVI, ultimata e firmata da papa Francesco, come egli stesso scrive : Egli aveva già quasi completato una prima stesura di Lettera enciclica sulla fede. Gliene sono profondamente grato e, nella fraternità di Cristo, assumo il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi. Il Successore di Pietro, ieri, oggi e domani, è infatti sempre chiamato a "confermare i fratelli" in quell’incommensurabile tesoro della fede che Dio dona come luce sulla strada di ogni uomo.
Vedendoli insieme, considerando il periodo di difficoltà che la Chiesa attraversa, anche se, silenziosamente, sbocciano nuove vocazioni, nuove forme di volontariato ci viene in mente la frase di Teresa d'Avila nel capitolo 4 delle Fondazioni:
...dovremmo considerare che siamo tutti fondamenta per quelli che verranno. Se, infatti, noi che viviamo ora mantenessimo la perfezione dei nostri predecessori e se quelli che verranno dopo di noi facessero altrettanto, l’edificio resterebbe sempre saldo.(un’anima religiosa) piuttosto, se vedrà che il suo ordine va decadendo in qualche cosa, cerchi d’essere una pietra tale da poter con essa far rialzare l’edificio: il Signore l’aiuterà a riuscirvi.
Ci viene in mente questo passo e ci si sente incoraggiati dal fatto che le pietre benedette dal Signore per tener su l'edificio della Chiesa sono due. Ognuna con il proprio carisma, entrambe con una fiducia totale nell'opera di Dio e con l'unico interesse di compiere la Sua volontà.
Stefania De Bonis

 Per il video della cerimonia cliccare QUI



L'attualità di Teresa

"Teresa ci direbbe oggi, anzi ce lo dice oggi: camminiamo insieme sui sentieri di questo Castello interiore, aiutandoci a vicenda nel cammino della perfezione cristiana. Forse sarà ancora più bella l'avventura e più suggestivo e facile il percorso se, insieme, percorriamo le dimore del Castello interiore, il cammino della santità cristiana per il quale abbiamo non solo una vocazione comune, ma anche una vocazione comunitaria, per giungere insieme alla comunione trinitaria".

p. Jesus Castellano, ocd

La Fede secondo Benedetto e Francesco: esce l'Enciclica

La prima Enciclica di Papa Francesco, intitolata "Lumen fidei", sarà pubblicata venerdì 5 luglio. Il Documento "non molto lungo", ha detto il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Padre Federico Lombardi, S.I., sarà presentato venerdì alle 11:00 nella Sala Stampa della Santa Sede. Alla Conferenza Stampa interverranno il Cardinale Marc Ouellet, P.S.S., Prefetto della Congregazione dei Vescovi; l'Arcivescovo Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e l'Arcivescovo Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione (Vis)

La GMG con Teresa de Los Andes

Dal 23 al 28 luglio si svolgerà la Giornata Mondiale della Gioventù 2013. La sede è Rio de Janeiro. Come ogni volta, accompagnano il cammino dei giovani, alcune figure di santi patroni ed intercessori. Alla GMG 2013 sarà portata anche una reliquia della nostra carmelitana cilena, Teresa di Gesù di Los Andes. Sarà esposta e venerata dai giovani. Come hanno spiegato le carmelitane scalze del monastero in cui visse Teresa, l’immagine-reliquia  che raffigura Teresa di Gesù delle Ande è raffigurata in piedi sul mondo - donata dall’Ordine- è custodita nella cappella del monastero che è situato nel recinto del Santuario di  Auco, sulla cordigliera delle Ande.
Quando nel 1987 il beato Giovanni Paolo II la canonizzò sottolineò il fatto che soprattutto per la sua giovane età, potesse diventare la santa modello dei giovani, nella ricerca di sé e della fede. Ed in realtà proprio questo sarà lo spirito con cui la sua figura sarà proposta nei testi  della preparazione pastorale della GMG (“per aiutare i giovani nella loro ricerca sulla via della santità cristiana, nonché per sostenere i tanti lavori di preparazione ed attuazione della Giornata, è stata scelta Santa Teresa delle Ande come nostra intercessora”, si legge nella lettera ricevuta dalle carmelitane).
 La reliquia sarà esposta nel Carmelo di Santa di Teresa di Rio de Janeiro  fino al 23 luglio, quando verrà esposta per la venerazione, in un luogo completamente sicuro, nella cappella dell’Adorazione del Santissimo Sacramento, sistemata nella Quinta di Boa Vista, dove sarà allestita la “Fiera Vocazionale” fino al 26 luglio con lo scopo di avvicinare i giovani pellegrini alle molteplici realtà presenti nella Chiesa Cattolica.
La Cappella dell’Adorazione sarà il luogo dove i giovani potranno adorare il Santissimo Sacramento, confessarsi e venerare le reliquie dei Santi e Beati scelti come patroni ed intercessori della ‘GMG Rio 2013’. Chiediamo la vostra disponibilità, aiuto ed appoggio in questa iniziativa". Sono sempre più coloro che ci fanno richiesta di reliquie della nostra Santa, sia per la venerazione personale che pubblica. Tra i patroni della GMG-Rio 2013 c’è anche la nostra cara Teresa di Gesù Bambino che esercitò un forte influsso sulla stessa Teresa delle Ande.