Festeggiamo con affetto nella preghiera
l'onomastico del nostro papa emerito
Benedetto XVI
e ricordiamo il santo protettore d'Europa
con una catechesi ch'egli gli dedicò nel 2008:
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Benedetto XVI, il 5 luglio 2013 nei Giardini Vaticani |
San Benedetto, Fondatore del monachesimo occidentale, e
anche Patrono del mio pontificato. Comincio con una parola di san Gregorio
Magno, che scrive di san Benedetto: “L’uomo di Dio che brillò su questa terra
con tanti miracoli non rifulse meno per l’eloquenza con cui seppe esporre la
sua dottrina” (Dial. II, 36). Queste parole il grande Papa scrisse nell’anno
592; il santo monaco era morto appena 50 anni prima ed era ancora vivo nella
memoria della gente e soprattutto nel fiorente Ordine religioso da lui fondato.
San Benedetto da Norcia con la sua vita e la sua opera ha esercitato un
influsso fondamentale sullo sviluppo della civiltà e della cultura europea. La
fonte più importante sulla vita di lui è il secondo libro dei Dialoghi di san
Gregorio Magno. Non è una biografia nel senso classico. Secondo le idee del suo
tempo, egli vuole illustrare mediante l’esempio di un uomo concreto – appunto
di san Benedetto – l’ascesa alle vette della contemplazione, che può essere
realizzata da chi si abbandona a Dio. Quindi ci dà un modello della vita umana
come ascesa verso il vertice della perfezione. San Gregorio Magno racconta
anche, in questo libro dei Dialoghi, di molti miracoli compiuti dal Santo, ed
anche qui non vuole semplicemente raccontare qualche cosa di strano, ma
dimostrare come Dio, ammonendo, aiutando e anche punendo, intervenga nelle
concrete situazioni della vita dell’uomo. Vuole mostrare che Dio non è
un’ipotesi lontana posta all’origine del mondo, ma è presente nella vita
dell’uomo, di ogni uomo.
Questa prospettiva
del “biografo” si spiega anche alla luce del contesto generale del suo tempo: a
cavallo tra il V e il VI secolo il mondo era sconvolto da una tremenda crisi di
valori e di istituzioni, causata dal crollo dell’Impero Romano, dall’invasione dei
nuovi popoli e dalla decadenza dei costumi. Con la presentazione di san
Benedetto come “astro luminoso”, Gregorio voleva indicare in questa situazione
tremenda, proprio qui in questa città di Roma, la via d’uscita dalla “notte
oscura della storia” (cfr Giovanni Paolo II, Insegnamenti, II/1, 1979, p.
1158). Di fatto, l’opera del Santo e, in modo particolare, la sua Regola si
rivelarono apportatrici di un autentico fermento spirituale, che mutò nel corso
dei secoli, ben al di là dei confini della sua Patria e del suo tempo, il volto
dell’Europa, suscitando dopo la caduta dell’unità politica creata dall’impero
romano una nuova unità spirituale e culturale, quella della fede cristiana
condivisa dai popoli del continente. E’ nata proprio così la realtà che noi
chiamiamo “Europa”.
La nascita di san Benedetto viene datata intorno all’anno
480. Proveniva, così dice san Gregorio, “ex provincia Nursiae” – dalla regione
della Nursia. I suoi genitori benestanti lo mandarono per la sua formazione
negli studi a Roma. Egli però non si fermò a lungo nella Città eterna. Come
spiegazione pienamente credibile, Gregorio accenna al fatto che il giovane
Benedetto era disgustato dallo stile di vita di molti suoi compagni di studi,
che vivevano in modo dissoluto, e non voleva cadere negli stessi loro sbagli.
Voleva piacere a Dio solo; “soli Deo placere desiderans” (II Dial., Prol 1).
Così, ancora prima della conclusione dei suoi studi, Benedetto lasciò Roma e si
ritirò nella solitudine dei monti ad est di Roma. Dopo un primo soggiorno nel
villaggio di Effide (oggi: Affile), dove per un certo periodo si associò ad una
“comunità religiosa” di monaci, si fece eremita nella non lontana Subiaco.
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Pio II, visitando il Monastero di San Benedetto nel 1461, lo definì "nido di rondini |
Lì
visse per tre anni completamente solo in una grotta che, a partire dall’Alto
Medioevo, costituisce il “cuore” di un monastero benedettino chiamato “Sacro
Speco”. Il periodo in Subiaco, un periodo di solitudine con Dio, fu per
Benedetto un tempo di maturazione. Qui doveva sopportare e superare le tre
tentazioni fondamentali di ogni essere umano: la tentazione
dell’autoaffermazione e del desiderio di porre se stesso al centro, la
tentazione della sensualità e, infine, la tentazione dell’ira e della vendetta.
Era infatti convinzione di Benedetto che, solo dopo aver vinto queste
tentazioni, egli avrebbe potuto dire agli altri una parola utile per le loro
situazioni di bisogno. E così, riappacificata la sua anima, era in grado di
controllare pienamente le pulsioni dell’io, per essere così un creatore di pace
intorno a sé. Solo allora decise di fondare i primi suoi monasteri nella valle
dell’Anio, vicino a Subiaco.
Nell’anno 529
Benedetto lasciò Subiaco per stabilirsi a Montecassino.
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L'Abbazia di Montecassino |
Alcuni hanno spiegato
questo trasferimento come una fuga davanti agli intrighi di un invidioso
ecclesiastico locale. Ma questo tentativo di spiegazione si è rivelato poco
convincente, giacché la morte improvvisa di lui non indusse Benedetto a
ritornare (II Dial. 8). In realtà, questa decisione gli si impose perché era
entrato in una nuova fase della sua maturazione interiore e della sua
esperienza monastica. Secondo Gregorio Magno, l’esodo dalla remota valle
dell’Anio verso il Monte Cassio – un’altura che, dominando la vasta pianura
circostante, è visibile da lontano – riveste un carattere simbolico: la vita
monastica nel nascondimento ha una sua ragion d’essere, ma un monastero ha
anche una sua finalità pubblica nella vita della Chiesa e della società, deve
dare visibilità alla fede come forza di vita. Di fatto, quando, il 21 marzo
547, Benedetto concluse la sua vita terrena, lasciò con la sua Regola e con la
famiglia benedettina da lui fondata un patrimonio che ha portato nei secoli
trascorsi e porta tuttora frutto in tutto il mondo.
Nell’intero secondo
libro dei Dialoghi Gregorio ci illustra come la vita di san Benedetto fosse
immersa in un’atmosfera di preghiera, fondamento portante della sua esistenza.
Senza preghiera non c’è esperienza di Dio. Ma la spiritualità di Benedetto non
era un’interiorità fuori dalla realtà. Nell’inquietudine e nella confusione del
suo tempo, egli viveva sotto lo sguardo di Dio e proprio così non perse mai di
vista i doveri della vita quotidiana e l’uomo con i suoi bisogni concreti.
Vedendo Dio capì la realtà dell’uomo e la sua missione. Nella sua Regola egli
qualifica la vita monastica “una scuola del servizio del Signore” (Prol. 45) e
chiede ai suoi monaci che “all’Opera di Dio [cioè all’Ufficio Divino o alla
Liturgia delle Ore] non si anteponga nulla” (43,3). Sottolinea, però, che la
preghiera è in primo luogo un atto di ascolto (Prol. 9-11), che deve poi
tradursi nell’azione concreta. “Il Signore attende che noi rispondiamo ogni
giorno coi fatti ai suoi santi insegnamenti”, egli afferma (Prol. 35). Così la
vita del monaco diventa una simbiosi feconda tra azione e contemplazione
“affinché in tutto venga glorificato Dio” (57,9). In contrasto con una
autorealizzazione facile ed egocentrica, oggi spesso esaltata, l’impegno primo
ed irrinunciabile del discepolo di san Benedetto è la sincera ricerca di Dio
(58,7) sulla via tracciata dal Cristo umile ed obbediente (5,13), all’amore del
quale egli non deve anteporre alcunché (4,21; 72,11) e proprio così, nel
servizio dell’altro, diventa uomo del servizio e della pace. Nell’esercizio
dell’obbedienza posta in atto con una fede animata dall’amore (5,2), il monaco
conquista l’umiltà (5,1), alla quale la Regola dedica un intero capitolo (7).
In questo modo l’uomo diventa sempre più conforme a Cristo e raggiunge la vera
autorealizzazione come creatura ad immagine e somiglianza di Dio.
All’obbedienza del
discepolo deve corrispondere la saggezza dell’Abate, che nel monastero tiene
“le veci di Cristo” (2,2; 63,13). La sua figura, delineata soprattutto nel
secondo capitolo della Regola, con un profilo di spirituale bellezza e di
esigente impegno, può essere considerata come un autoritratto di Benedetto,
poiché – come scrive Gregorio Magno – “il Santo non poté in alcun modo
insegnare diversamente da come visse” (Dial. II, 36). L’Abate deve essere
insieme un tenero padre e anche un severo maestro (2,24), un vero educatore.
Inflessibile contro i vizi, è però chiamato soprattutto ad imitare la tenerezza
del Buon Pastore (27,8), ad “aiutare piuttosto che a dominare” (64,8), ad
“accentuare più con i fatti che con le parole tutto ciò che è buono e santo” e
ad “illustrare i divini comandamenti col suo esempio” (2,12). Per essere in
grado di decidere responsabilmente, anche l’Abate deve essere uno che ascolta
“il consiglio dei fratelli” (3,2), perché “spesso Dio rivela al più giovane la
soluzione migliore” (3,3). Questa disposizione rende sorprendentemente moderna
una Regola scritta quasi quindici secoli fa! Un uomo di responsabilità
pubblica, e anche in piccoli ambiti, deve sempre essere anche un uomo che sa
ascoltare e sa imparare da quanto ascolta.
Benedetto qualifica
la Regola come “minima, tracciata solo per l’inizio” (73,8); in realtà però
essa offre indicazioni utili non solo ai monaci, ma anche a tutti coloro che
cercano una guida nel loro cammino verso Dio. Per la sua misura, la sua umanità
e il suo sobrio discernimento tra l’essenziale e il secondario nella vita
spirituale, essa ha potuto mantenere la sua forza illuminante fino ad oggi.
Paolo VI, proclamando nel 24 ottobre 1964 san Benedetto Patrono d’Europa,
intese riconoscere l’opera meravigliosa svolta dal Santo mediante la Regola per
la formazione della civiltà e della cultura europea. Oggi l’Europa – uscita
appena da un secolo profondamente ferito da due guerre mondiali e dopo il
crollo delle grandi ideologie rivelatesi come tragiche utopie – è alla ricerca
della propria identità. Per creare un’unità nuova e duratura, sono certo
importanti gli strumenti politici, economici e giuridici, ma occorre anche
suscitare un rinnovamento etico e spirituale che attinga alle radici cristiane
del Continente, altrimenti non si può ricostruire l’Europa. Senza questa linfa
vitale, l’uomo resta esposto al pericolo di soccombere all’antica tentazione di
volersi redimere da sé – utopia che, in modi diversi, nell’Europa del Novecento
ha causato, come ha rilevato il Papa Giovanni Paolo II, “un regresso senza
precedenti nella tormentata storia dell’umanità” (Insegnamenti, XIII/1, 1990,
p. 58). Cercando il vero progresso, ascoltiamo anche oggi la Regola di san
Benedetto come una luce per il nostro cammino. Il grande monaco rimane un vero
maestro alla cui scuola possiamo imparare l’arte di vivere l’umanesimo vero.
Papa
Benedetto XVI (Udienza Generale 9.04.2008)
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