Parola d'ordine: EVANGELIZZARE

Pubblichiamo una sintesi delle relazioni presentate in Brasile al congresso internazionale Missionario OCD "L’evangelizzazione in una società plurale, svoltosi dal 24 al 27 luglio ":




TEOLOGIA DELLA MISSIONE
P. Marcos Juchem, Le Missioni 50 anni dopo il Concilio Vaticano II. Lettura e attualità del decreto Ad Gentes in America Latina.

L'attività missionaria in America latina, che vanta una storia di oltre cinquecento anni, è stata segnata da contraddizioni derivanti dalla commistione tra gli interessi coloniali e le dinamiche ecclesiastiche. Tuttavia gli evangelizzatori più attenti hanno saputo dare la precedenza ai valori del Vangelo, offrendo un contributo fondamentale alla costruzione della Chiesa e alla promozione dei valori umani di fraternità e rispetto tra i popoli.

Il decreto Ad Gentes del concilio Vaticano II (1965), prodotto della sintesi di numerose istanze, provenienti soprattutto dai paesi di missione, offre un quadro di riferimento per l'azione missionaria della Chiesa, tanto per i principi dottrinali quanto per le indicazioni operative, che hanno trovato applicazione nella Chiesa latinoamericana.


Successive assemblee dei vescovi: Medellín (1968), Puebla (1979), Santo Domingo (1992), Aparecida (2007), hanno elaborato analisi e strategie di evangelizzazione di fronte alle strutture di ingiustizia e di sottosviluppo. La teologia della liberazione, divenuta la modalità principale di riflessione, ha messo i poveri al centro dell'evangelizzazione, partendo da Cristo evangelizzatore. Ciò implica l'evangelizzazione della cultura, la promozione umana e la formazione degli operatori pastorali, clero, religiosi e laici, per rilanciare l'evangelizzazione su nuove basi, secondo uno schema elaborato dalla conferenza di Aparecida (2007) che con un movimento concentrico si estende dalla parrocchia, alla diocesi, a tutto il continente.


 P. Silvano Giordano, Lo spirito missionario oggi e i nuovi contesti della evangelizzazione.

L'enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII (1963) e il concilio Vaticano II hanno aperto una nuova tappa nei rapporti tra la Chiesa e il mondo, non più considerato come un'entità ostile, ma come il luogo in cui la Chiesa svolge la sua vita. Papa Roncalli invitò a leggere i segni dei tempi, indicando come tali l'ascesa economico-sociale della classe operaia, l'ingresso della donna nella vita pubblica e la trasformazione sociale e politica della famiglia umana.

I documenti conciliari aprirono ai cristiani laici un ambito di lavoro autonomo, collaborando con la gerarchia in diversi campi: ecumenismo, libertà religiosa, vita politica e professionale, creando un quadro di riferimento per un dialogo fecondo con il mondo.

Di fronte ai cambiamenti politici avvenuti nel secondo dopoguerra, in particolare con il processo di decolonizzazione, sono cambiati i rapporti tra le chiese. L'enciclica Evangelii nuntiandi (1975) di Paolo VI introdusse il concetto di evangelizzazione come esigenza di portare il Vangelo a tutti gli ambienti dell'umanità, sia di antica quanto di nuova cristianizzazione, constatando la necessità di evangelizzare le culture. Giovanni Paolo II nella Redemptoris missio (1990) mise nuovamente l'accento sulla missione ad gentes, proponendo una nuova evangelizzazione, ormai indipendente da delimitazioni geografiche e destinata a dialogare con la pluralità delle culture e delle religioni e con la modernità.

Oggi, in un contesto in cui si sono perduti i riferimenti religiosi gerarchici e tradizionali, vengono questionati i fondamenti della vita cristiana e alcuni dei pilasti della vita umana, quali la nascita, la morte e la famiglia; in particolare non è più riconosciuta l'universalità del diritto naturale, su cui si base la dottrina antropologica e morale della Chiesa cattolica, come base della convivenza. Il concetto di nuova evangelizzazione vuole essere aperto per adattarsi ai diversi contesti, rispettando l'autonomia della politica, delle scienze e della tecnologia, come pure della libertà di coscienza e del principio di sussidiarietà, per poter rafforzare la testimonianza cristiana.

 
 Mons. Braulio Sáez, Pastorale missionaria in America Latina: teología e spiritualità.

L'analisi della realtà esistente in America latina conduce all'esigenza di creare un mondo nuovo e un ordine nuovo, che la Chiesa si sforza di pensare su basi teologiche. Dio è contemplato, si mette in pratica la sua volontà e solo successivamente si parla di lui. Si tratta comunque di una conoscenza sperimentale e dell'adesione a Dio in quanto persona.
La teologia della liberazione, partendo dalla riflessione sulla realtà della vita cristiana, culmina nella spiritualità. Questa aiuta a penetrare nel mistero che la teologia esprime in categorie riflesse. Per cui la missione si converte in espressione della vita esperienza intima con il Dio che è vicino a ciascuno.
La missione è chiave per intendere la Chiesa e ancor più per essere Chiesa e vivere nella Chiesa. La dimensione missionaria nasce con la Chiesa ed è per essa carisma, ossia sentire, vivere e lavorare in comunione con la Chiesa.
Il documento finale di Aparecida ricorda che la Chiesa è chiamata a ripensare profondamente e a rilanciare con fedeltà e audacia la sua missione nelle nuove circostanze latinoamericane e mondiali, senza ripiegare davanti a chi vede solo situazioni negative, per rinnovare la vitalità del Vangelo e suscitare nuovi discepoli e missionari.
L'impulso dato da questo avvenimento ha significato un profondo cambio nell'orientamento pastorale: da una chiesa ripiegata su se stessa a una chiesa aperta e spontaneamente missionaria, che si situa in stato permanente di missione, fiduciosa nello Spirito e aperta alle sue ispirazioni. A partire dall'ascolto della Parola, la Chiesa elabora la teologia e crea comunità missionarie.
In questo contesto il Carmelo si fa carico delle esigenze della Chiesa locale e, mediante una scelta di fede, si apre alla novità di un progetto tutto da scoprire.

Mons. Oswaldo Azuaje, l carmelitani oggi. Per una cultura della pace e la giustizia in America Latina.

Il religioso non può isolarsi dalla realtà che lo circonda. La fuga mundi può essere un momento di allontanamento e di riflessione in vista dell'impegno nel mondo con una presenza nuova. La vocazione di Teresa di Gesù parte dall'analisi degli elementi negativi presenti al suo tempo, ai quali reagì presentando la sua proposta, rifondando la testimonianza evangelica della vita religiosa con un nuovo stile di fraternità e di ricreazione, in mezzo a un mondo poco ricettivo.
Per un carmelitano scalzo, figlio di Giovanni della Croce, la proposta innovativa si muove verso l'assunzione di un processo di liberazione personale e comunitaria dai pesi che impediscono lo sviluppo di una spiritualità autentica.
La povertà è ancora un problema mondiale e una minaccia alla pace, che non è solo assenza di guerra, ma soprattutto un modo di essere, un atteggiamento persistente. Nonostante le difficoltà, il dialogo deve essere lo strumento per ottenere una pace stabile, per promuovere una cultura della pace, che a sua volta alimenti i propositi di pace: solo i costruttori di pace possono essere chiamati figli di Dio.
I carmelitani scalzi dell'America latina e Caraibi riuniti a Londrina (Brasile) nel settembre 2010 per studiare una ristrutturazione giuridica, sottolinearono invece la necessità di una ristrutturazione della vita, di essere evangelizzati e di incarnare la spiritualità teresiana. Il carmelitano, nel momento in cui vuole essere promotore di una cultura della pace, sceglie la riconciliazione, il perdono, la fraternità, il rispetto per la vita, la solidarietà, l'amore per la natura.
La prospettiva dell'opzione preferenziale per il povero è la chiave fondamentale per mettere a fuoco la visione etica e la prospettiva dialogica di fronte alla globalizzazione. Di fronte alle soluzioni estreme che si prospettano, il Carmelo può presentare la testimonianza di povertà di Teresa, che compie in questo campo una scelta contro corrente.
La Chiesa dell'America latina ha compiuto un lungo cammino dopo il concilio Vaticano II. In essa la spiritualità del Carmelo teresiano, eminentemente cristologica e missionaria, si inserisce con le sue molteplici esperienze: comunità oranti, deserti, parrocchie e missione ad gentes, sostenuta dalla testimonianza di numerosi santi, che diventano un punto di riferimento per la nuova evangelizzazione.


MISSIONE CARMELITANA

Salvador Ros, Santa Teresa di Gesù missionaria: "por ser ésta la inclinación que nuestro Señor me ha dado" (F 1,7).

Teresa di Gesù ha avuto una profonda esperienza di Dio, dalla quale è nato il suo spirito missionario. Un testo fondamentale per interpretare il suo messaggio si trova nel libro della  Vida (17,5), in cui la santa tematizza tre livelli della sua esperienza: ricevere la grazia,  comprendere la grazia, saperla trasmettere (sentire, capire, comunicare). Il terzo livello è  peculiare di Teresa ed è quello che, a differenza di altri, la rende maestra di vita spirituale,  capace di introdurre altri all'esperienza del mistero.  Tale caratteristica si ritrova già nella sua esperienza nel convento dell'Incarnazione, tra le sue  compagne più vicine, e diventa una caratteristica della fondazione di San Giuseppe, in cui  venne promossa una mistagogia esplicita: parlare con Dio e parlare di lui, partendo dalla  constatazione che la donna in questo ambito è più ricettiva rispetto all'uomo.  I grandi desideri che Teresa ebbe fin da bambina sono il motore della sua comunicazione e la  spingono a non tenere per sé le grazie ricevute, ma piuttosto a comunicarle. Importante a  questo proposito è la visione immaginaria dell'inferno, situata nel 1560 che la incoraggiò su  questa strada e che può essere collocata all'origine remota della sua opera di fondatrice.

 Il monastero di San Giuseppe fu modellato inizialmente sulle istanze di povertà promosse  dall'ambiente francescano, ma successivamente l'orientamento mutò grazie alla sensibilità  ecclesiale di Teresa. Il movimento della riforma protestante, che divise la Chiesa, e i progressi  dell'evangelizzazione nelle Indie fecero maturare in lei un orientamento apostolico. L'orazione  quindi ha come finalità aiutare tutti a compiere l'opera di Dio. Da qui la sua approvazione alle  iniziative apostoliche dei carmelitani scalzi.  Come al suo tempo Teresa non approvava l'evangelizzazione condotta con modi trionfalistici  e a volte con mezzi violenti, così oggi invita a realizzare l'opera missionaria con la  discrezione, la pazienza e la modestia che caratterizzano gli interventi di Dio. Sono necessari  a questo scopo missionari che abbiano fatto una profonda esperienza di Dio e la incarnino nel  loro tempo; piccole comunità creative, dove vi sia una vera e profonda esperienza cristiana;  una pastorale mistagogica, ossia la capacità di introdurre gli uomini all'esperienza del mistero,  dato che in una società come la nostra, in cui la fede non è più il patrimonio comune che si  eredita, si può giungere ad essa solo attraverso l'esperienza personale del mistero. 



Dámaso Zuazua, L'espansione carmelitana in America latina nel decennio 1900-1911.

 L'espansione dei carmelitani scalzi in America latina all'inizio del XX secolo ha come  antecedente la presenza in Messico, Perù e Brasile a partire dall'inizio della riforma teresiana,  sotto la responsabilità delle province di Spagna e di Portogallo. Sul finire del XIX secolo il  movimento missionario presente nella Chiesa cattolica coinvolse anche i carmelitani scalzi,  dopo la soppressione della congregazione spagnola e la restaurazione dell'ordine giustificata  davanti al governo in vista dell'azione missionaria. Si diedero di conseguenza due direttrici di  5  espansione: verso l'India a oriente e verso l'America a occidente, grazie all'opera del  provinciale di Navarra, Ezequiel del Sagrado Corazón, più tardi eletto generale dell'ordine.  Nel 1898 venne fatto un tentativo di fondare in Perù; tuttavia, di fronte alle resistenze  incontrate, i fondatori si diressero in Cile, dove tra il 1900 e il 1905 furono eretti cinque  conventi. Lo stesso anno 1900 vi fu una fondazione in Argentina, mentre nel 1902 sorse un  convento in Bolivia, che durò solo tre anni. Nel 1905 il definitorio generale assegnò alle  province spagnole le regioni dell'America: il Messico alla provincia di Aragón-Valencia,  l'Argentina alla Betica, Cile, Bolivia e Perù alla provincia di Navarra, Cuba e le Antille a  Castiglia.  Il 1911 fu un anno particolarmente propizio, dato che la presenza dei carmelitani scalzi si  estese a Colombia, Perù e Brasile, grazie all'impulso del generale padre Ezequiel del Sagrado  Corazón. Come tratti comuni si possono enumerare l'invito fatto ai padri dalle carmelitane  scalze, la devozione alla Madonna del Carmelo presente tra il popolo e la devozione a santa  Teresa.  La missione in Brasile fu assegnata alla provincia di Navarra, che stabilì tre conventi nel sud.  Nel 1910 il vescovo di Pouso Alegre chiamò i padri della provincia Romana nella sua diocesi,  dove essi fondarono tre conventi l'anno seguente. 



Oscar I. Aparicio Ahedo, Sucumbíos: insegnamenti di una storia recente.  La missione di Sucumbíos fu affidata ai carmelitani scalzi nel 1937 dal governo dell'Ecuador,  allo scopo di difendere i confini nazionali e promuovere la civiltà presso le popolazioni locali.  In quegli anni vennero effettuate altre fondazioni nel paese. Nel 1970 fu nominato prefetto  apostolico P. Gonzalo López Marañón, che nel 1984 divenne vicario apostolico, fino al 2010.  Durante il suo mandato egli cercò di aggiornare la pastorale secondo lo spirito del concilio  Vaticano II, nella linea della teologia della liberazione.  Il 15 ottobre 2010 la congregazione di Propaganda fide notificò al generale dell'ordine, P.  Saverio Cannistrà, che la missione di Sucumbíos era stata sottratta ai carmelitani scalzi e  affidata alla Società Clericale Flos Carmeli (Araldi del Vangelo): i carmelitani non potevano  inviare nuovo personale e vi era necessità di nuovi orientamenti pastorali. Mons. López  Marañón ricevette il sostegno del presidente dell'Ecuador, Rafael Correa.  I superiori dell'ordine cercarono di trovare una soluzione in dialogo con le autorità della Santa  Sede, ma la vicenda si concluse il 2 maggio, quando il Padre Generale fu ricevuto in udienza  dal papa, il quale gli ordinò di richiamare i missionari. In seguito la Santa Sede provvide alla  nomina di un nuovo responsabile della circoscrizione ecclesiastica. La vicenda ha suscitato  scalpore sulla stampa e sui blog, particolarmente in Spagna e in America latina, sollevando  reazioni contrapposte.  Da questa vicenda, dolorosa per l'ordine e per i missionari, si possono trarre diversi  insegnamenti. A livello ecclesiologico si può constatare il contrasto tra due modi di intendere  la Chiesa, entrambi ispirati al concilio Vaticano II, che valutano in maniera diversa il  contributo del clero e dei laici alla vita ecclesiale. In ambito politico e diplomatico vanno  analizzati il ruolo dei nunzi, le modalità dei loro interventi nella vita delle chiese locali e il  modo di rapportarsi con le conferenze episcopali. L'analisi degli avvenimenti porta alla   conclusione che tutti i protagonisti di questa vicenda non sempre hanno assolto al loro dovere  di annunciare Cristo. 



Antoine-Marie Zacharie Igirukwayo, Proposte per una teologia della missione a partire dal  Carmelo teresiano.  La proposta per una teologia della missione con un profilo carmelitano parte dal profeta Elia,  secondo la vicenda narrata dalla Scrittura, arricchita dai contributi di Teresa di Gesù, di  Giovanni di Gesù Maria, di Tommaso di Gesù e di Teresa di Gesù Bambino.  Elia è l'ispiratore della vita carmelitana, che è nata sul Monte Carmelo in un luogo a lui  dedicato, consacrato da una lunga tradizione. Secondo K. G. Jung, Elia è un archetipo  poliedrico, in quanto oggetto di molteplici rappresentazioni collettive; in questo senso è il  punto di riferimento del patrimonio spirituale carmelitano. L'opera del carmelitano catalano  Felipe Ribot, Institutio primorum monachorum, conosciuta anche da santa Teresa, ha  rappresentato per alcuni secoli una interpretazione autorevole della figura di Elia.  Nella tradizione bizantina, rappresentata da Basilio di Seleucia e dallo Pseudo Crisostomo,  Elia, inviato al popolo, subisce egli stesso una purificazione per poter annunciare non la  distruzione, ma la salvezza offerta da Dio. Una salvezza che amplia i suoi orizzonti,  oltrepassando i confini di Israele. Il cammino compiuto da Elia si può riassumere in tre  momenti: accettare di essere introdotto in un processo in cui Dio è l'agente principale;  mettersi in cammino confidando solo nella provvidenza di Dio; essere aperto all'espansione  della missione. Elia è chiamato ad operare in ambito politico, nel confronto con il re Acab; in  ambito religioso, per denunciare l'idolatria del popolo, in ambito sociale, per contrastare gli  abusi del re.  Il Carmelo teresiano si ispira all'esperienza di Elia, unendo il criterio della memoria a quello  del dinamismo. Partendo dall'esperienza di Teresa di Gesù, Giovanni di Gesù Maria esprime  la valenza cristologica della missione: come il Verbo ha lasciato il seno del Padre per  compiere la sua missione salvifica, così il carmelitano scalzo deve lasciare la contemplazione  nella sua cella per portare la salvezza al popolo cristiano. La missione per Teresa si situa in  Dio Trinità che è amore ed è giustificata dall'intenzione di salvezza universale e dalla  conoscenza piena della verità.  La visione di Teresa relativa all'inferno, che si può situare all'origine della sua esperienza,  interpreta la domanda ultima di salvezza e il senso che l'uomo vuole dare alla sua vita,  condensato nella scelta tra la salvezza e la perdizione eterna, come afferma Paul Tillich.  Teresa di Gesù partecipa della solidarietà della Chiesa verso tutti gli uomini, che ricorda i  valori della salvezza eterna. Da parte sua ha affidato alle sue figlie il compito di solidarizzarsi  con l'umanità e di dare la vita per gli altri. Nella stessa linea, Teresa di Lisieux si appropria  della preghiera sacerdotale di Gesù in favore di coloro verso i quali sente una responsabilità  "sacerdotale".  Alcuni criteri per la missione sono stati proposti dal Definitorio straordinario di Ariccia  (2011): Domanda sull'essere: la missione di Teresa parte dal suo essere, che la spinge ad  agire; Consistenza antropologica della missione, ovvero la domanda dell'uomo circa la  felicità, che lo conduce alla pienezza; Ermeneutica dal basso: Teresa ascolta l'esperienza che  7  la circonda e la mette in relazione con l'esperienza di Dio, affinché entrambe si incontrino in  una dinamica di salvezza.  8  26 luglio 2012  Nuove sfide e nuove aspettative 



Benedict Kanakappally, Aspettative missionarie dei contesti interculturali e religiosi. Analisi  fenomenologica della società attuale e delle sue esigenze.  La missione per sua natura implica la comunicazione. Dal secolo XV essa si è caratterizzata  per le sue frontiere geografiche. Oggi i confini sono determinati dalla diversità dei mondi  culturali e religiosi e dai modi di essere. Nel mondo globalizzato le società si sono trasformate  in aggregati multietnici, multiculturali e plurireligiosi, per cui la missione si rende presente in  ogni luogo e incontra nuove situazioni con le quali interagire. Tuttavia la centralità di Gesù  Cristo non è venuta meno, così come il compito missionario della Chiesa.  Nonostante le previsioni degli anni Cinquanta e Sessanta, secondo le quali la religione  sarebbe sparita, si nota invece una ripresa del cattolicesimo, come pure delle altre religioni,  testimoniata dal moltiplicarsi di differenti luoghi di culto. L'attuale pluralismo religioso  implica l'accettare che vi siano persone con altre idee e altre convinzioni e che esiste un senso  religioso adeguato alle necessità umane e sensibile alla domanda di autorealizzazione, dove  l'esperienza religiosa contribuisce alla ricerca del senso.  Alla fine del secolo XX la religione ha assunto diversi significati, politici e identitari, e al  tempo stesso si è personalizzata. Oggi è possibile scegliere la propria religione tra le  numerose offerte presenti, oppure comporne una rispondente alle proprie esigenze, come nel  caso della New Age. Ciò è in connessione con la presente società consumista. La religione  può anche essere vista come rifugio di chi è deluso da una società segnata dalla ricerca del  denaro e del successo, dove la ricerca di un'esperienza personale nel presente è più forte della  tradizionale speranza in una vita migliore nell'avvenire.  In un contesto multiculturale, la missione deve prendere sul serio le istanze dell'altro, tenendo  presenti le sue esigenze e i suoi valori. Secondo il cardinale Ivan Dias, essa significa "sentirsi  parte solidale di una totalità che ci sorpassa e ci include in una processualità cosmica. Siamo  parte di un processo globale. Tutto è processo: il cosmo si evolve, crescono le persone, si  trasformano le culture, cambiano le teologie, si sovrappongono le spiritualità, tacitamente si  integrano le religioni". Il vangelo entra nella vita delle persone in molti modi che spesso  rimangono nascosti e non si identificano con il desiderio di appartenere a una chiesa. La  missione chiede di essere cristiani in modo interreligioso, di pensare ad una teologia e a una  spiritualità interculturale e dialogica ed esige un cambiamento nel missionario, chiamato a  praticare una ermeneutica trasformazionale. 



Patrizio Sciadini, Il missionario carmelitano del terzo millennio oggi alla luce della V  conferenza di Aparecida.  Proclamare la fede è un'esigenza interiore che ha la sua radice nell'esperienza personale di Dio  che invia a proclamare la sua grandezza. La Chiesa in America latina ha compiuto un lungo  cammino dal concilio Vaticano II, culminato nella recente conferenza di Aparecida (2009),  9  che la lanciato una missione continentale, che tenga conto della globalizzazione e della nuova  evangelizzazione.  Essere discepoli missionari di Cristo è il primo passo della vita cristiana, che sgorga da  un'esperienza di Dio concreta e umanizzata. L'incontro con Cristo conduce alla conversione  della mente, del cuore e del corpo, e quindi ad una conversione pastorale; essa riproduce  l'atteggiamento di Gesù che conosce personalmente i suoi discepoli, li forma e li invia. Così  pure il missionario è chiamato a conoscere e ad amare la realtà dei popoli ai quali è inviato.  Il missionario carmelitano teresiano, seguendo la parola di Gesù e gli insegnamenti di Teresa  di Gesù e di Giovanni della Croce, deve avere una idea chiara della sua vocazione, che è  servizio a Dio, alla Chiesa e all'ordine. L'esperienza teresiana sottolinea l'importanza  dell'incontro personale con la persona di Gesù Cristo, che si attua attraverso la lectio divina, la  liturgia, l'eucaristia e l'orazione. Contemplare significa tenere gli occhi fissi al cielo e  all'umanità che chiede la forza per non abbattersi nel cammino della vita. L'orazione personale  e comunitaria genera una vera comunione, ad imitazione della primitiva comunità cristiana.  L'esperienza di Dio spinge il missionario a cercare Gesù tra i poveri, gli emarginati e tra  coloro che vivono una vita di sofferenza.  E' necessario tenere accesa la fiamma missionaria del Carmelo teresiano, in se stesso  missionario. Sono da evitare l'intimismo e l'elitarismo spirituale, che vorrebbero limitare a  pochi la vocazione contemplativa e cercare la conversione a una nuova evangelizzazione,  senza perdere l'identità spirituale. Aparecida invita a lasciarsi evangelizzare dalle culture,  praticando una pastorale della preghiera, rinnovando la presenza carmelitana nei luoghi di  frontiera, con la collaborazione dei membri dell'ordine secolare e formando i giovani a  valorizzare l'ideale missionario, fondandosi sull'esperienza di Teresa di Gesù, che era pronta a  dare "mille vite" per la salvezza di un'anima. 



Fernando Susaeta, Missione ed evangelizzazione. Uno sguardo critico dal Sud.  Fino alla metà del XX secolo la Chiesa era ancorata ai modelli centroeuropei; il concilio  Vaticano II fu fatto da teologi europei e discusse problemi europei, rimanendo in buona parte  estraneo alle problematiche del cristianesimo degli altri continenti, dove l'implantazione della  Chiesa aveva accompagnato l'imperialismo europeo, incapace di evangelizzare senza  distruggere le culture e incapace di far nascere Chiese locali. L'attuale crescita delle Chiese  nel sud del mondo impone un atteggiamento di ascolto nei loro confronti.  Dal 1960 numerosi paesi africani hanno ottenuto l'indipendenza. La riflessione sul passato  recente ha generato posizioni ottimiste, che valutano positivamente i progressi economici e  sociali del continente, mentre altri vedono in chiave negativa le presenze neocolonialiste e la  totale assenza di democrazia, che produce la spoliazione e l'umiliazione dell'Africa. Da parte  sua la Chiesa cattolica ha riconosciuto che l'Africa è uno dei polmoni spirituali dell'umanità,  in quanto conserva e promuove valori importanti quali la tradizione, la famiglia, la vita, la  solidarietà, la religiosità.  Secondo molti africani, la pastorale dei missionari non ha raggiunto gli obiettivi prefissi, per  cui si rende necessaria una nuova evangelizzazione. L'incontro tra l'Africa tradizionale e  l'Europa colonizzatrice ha prodotto una società destabilizzata e una religione sincretista e  superstiziosa. La Chiesa è romanizzata: molti vescovi e sacerdoti sono occidentalizzati e  10  ascoltano Roma piuttosto che le comunità locali. Non esiste una vera collaborazione tra  vescovi e teologi.  L'analisi della teologia e della pratica missionaria classica ha evidenziato lo stretto vincolo tra  l'evangelizzazione e il colonialismo e l'imposizione del modello di Cristianità. Di fronte a tale  constatazione, i teologi africani hanno elaborato alcuni modelli, che vanno dalla ricerca di  forme culturali africane suscettibili di adattamento fino ad una vera inculturazione, che  richiede di pensare Dio a partire dall'identità africana, passando per una teologia della  liberazione che sottolinea la povertà antropologica.  A partire dall'ultimo decennio del XX secolo sono stati avanzati altri modelli che vedono il  cristianesimo come forza etica capace di trasformare le società africane, superando una  evangelizzazione superficiale e cercando di reinterpretare in modo originale le grandi verità  della fede cristiana in modo da all'Occidente di incontrare la cultura africana; il tutto a partire  dalla riflessione sull'autenticità africana che si manifesta nella capacità della Chiesa in Africa  di assumere la propria evangelizzazione dal punto di vista pastorale e dal punto di vista  economico-finanziario.  L'esperienza della Chiesa in Africa mostra che i modelli di chiesa non possono sussistere  isolati ma, partendo dalla pari dignità, devono integrarsi reciprocamente, formando una rete di  chiese che si sostengono e si alimentano a vicenda. 



Rafael Santamaría, La recezione della Parola oggi nel contesto latinoamericano. Sfide e  proposte.  Anche nel contesto socioreligioso plurale dei nostri giorni la Parola di Dio incontra le  preoccupazioni, le gioie e le speranze degli uomini di oggi. Si è liberata dai lacci della  dottrina per diventare il libro del popolo di Dio. Assistiamo al superamento della barriera tra  esegesi scientifica e uso pastorale catechetico; tra lo studio elitario e la contemplazione della  Parola come alimento quotidiano. L'approccio alla Parola ha fatto nascere nella Chiesa una  vita spirituale più ricca. Nell'ambito pastorale si è creato un modello di lettura antropologico e  teocentrico, centrato sulla ricerca tra la fedeltà al testo biblico e all'uomo a cui esso è diretto.  Tuttavia vi sono difficoltà di comprensione e di comunicazione: per molti cristiani è difficile  comprendere ciò che si propone come verità biblica.  Le difficoltà irrisolte generano un uso scorretto del contenuto biblico. Il testo può essere usato  come istanza edificante, quando si utilizza come mezzo esclusivo per fondare la dottrina  teologica e per legittimare i propri punti di vista.  Una delle sfide principali, che riguarda il mondo del pensiero teologico, è liberare la parola  dall'identificazione con la cultura dominante, come pure sottrarla a un mondo che difende i  suoi privilegi e la tiene prigioniera. Analizzando il libro di Giobbe, si può vedere come i tre  amici rappresentano la tentazione di trasformare la religione in mercato, di utilizzarla per  imporre il totalitarismo e per garantire situazioni di privilegio.  E' importante restituire alla Parola la sua dignità di Parola, di portavoce di un Dio che non  accetta di essere straniero nel mondo da lui stesso creato. Se le difficoltà devono spingere a  trovare soluzioni, si può affermare che la principale missione che si prospetta è rendere Dio  abitante della nostra storia, come Egli sempre ha voluto e vuole. Dio deve essere storicamente  determinato, per evitare di divenire un'astrazione. Il teologo J. J. Tamayo propone alcune soluzioni per liberare la Parola da una teologia soffocante: una nuova ermeneutica, capace di  superare la mera esegesi del testo e di proporre la ricerca del senso; un nuovo orizzonte  utopico, per progettare cose che ancora non esistono; un nuovo orizzonte anamnesico, che  permetta di recuperare l'eredità apocalittica a partire dalle vittime che cercano riabilitazione e  considerare l'obbedienza a coloro che soffrono un elemento costitutivo della coscienza  morale; una nuova teologia, come dialogo con le scienze della religione e le scienze umane;  una nuova spiritualità interreligiosa, che distrugga le frontiere create da ogni religione per  distinguersi dalle altre.    

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