L'attività missionaria in America latina, che vanta una storia di oltre
cinquecento anni, è stata segnata da contraddizioni derivanti dalla commistione
tra gli interessi coloniali e le dinamiche ecclesiastiche. Tuttavia gli
evangelizzatori più attenti hanno saputo dare la precedenza ai valori del
Vangelo, offrendo un contributo fondamentale alla costruzione della Chiesa e
alla promozione dei valori umani di fraternità e rispetto tra i popoli.
Il decreto Ad Gentes del concilio Vaticano II (1965), prodotto della
sintesi di numerose istanze, provenienti soprattutto dai paesi di missione,
offre un quadro di riferimento per l'azione missionaria della Chiesa, tanto per
i principi dottrinali quanto per le indicazioni operative, che hanno trovato
applicazione nella Chiesa latinoamericana.
Successive assemblee dei vescovi: Medellín (1968), Puebla (1979), Santo
Domingo (1992), Aparecida (2007), hanno elaborato analisi e strategie di
evangelizzazione di fronte alle strutture di ingiustizia e di sottosviluppo. La
teologia della liberazione, divenuta la modalità principale di riflessione, ha
messo i poveri al centro dell'evangelizzazione, partendo da Cristo
evangelizzatore. Ciò implica l'evangelizzazione della cultura, la promozione
umana e la formazione degli operatori pastorali, clero, religiosi e laici, per
rilanciare l'evangelizzazione su nuove basi, secondo uno schema elaborato dalla
conferenza di Aparecida (2007) che con un movimento concentrico si estende dalla
parrocchia, alla diocesi, a tutto il continente.
L'enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII (1963) e il concilio Vaticano II hanno aperto una nuova tappa nei rapporti tra la Chiesa e il mondo, non più considerato come un'entità ostile, ma come il luogo in cui la Chiesa svolge la sua vita. Papa Roncalli invitò a leggere i segni dei tempi, indicando come tali l'ascesa economico-sociale della classe operaia, l'ingresso della donna nella vita pubblica e la trasformazione sociale e politica della famiglia umana.
I documenti conciliari aprirono ai cristiani laici un ambito di lavoro
autonomo, collaborando con la gerarchia in diversi campi: ecumenismo, libertà religiosa,
vita politica e professionale, creando un quadro di riferimento per un dialogo
fecondo con il mondo.
Di fronte ai cambiamenti politici avvenuti nel secondo dopoguerra, in
particolare con il processo di decolonizzazione, sono cambiati i rapporti tra
le chiese. L'enciclica Evangelii nuntiandi (1975) di Paolo VI introdusse
il concetto di evangelizzazione come esigenza di portare il Vangelo a tutti gli
ambienti dell'umanità, sia di antica quanto di nuova cristianizzazione,
constatando la necessità di evangelizzare le culture. Giovanni Paolo II nella Redemptoris
missio (1990) mise nuovamente l'accento sulla missione ad gentes,
proponendo una nuova evangelizzazione, ormai indipendente da delimitazioni
geografiche e destinata a dialogare con la pluralità delle culture e delle
religioni e con la modernità.
Oggi, in un contesto in cui si sono perduti i riferimenti religiosi
gerarchici e tradizionali, vengono questionati i fondamenti della vita
cristiana e alcuni dei pilasti della vita umana, quali la nascita, la morte e
la famiglia; in particolare non è più riconosciuta l'universalità del diritto
naturale, su cui si base la dottrina antropologica e morale della Chiesa
cattolica, come base della convivenza. Il concetto di nuova evangelizzazione
vuole essere aperto per adattarsi ai diversi contesti, rispettando l'autonomia
della politica, delle scienze e della tecnologia, come pure della libertà di
coscienza e del principio di sussidiarietà, per poter rafforzare la
testimonianza cristiana.
Mons. Braulio Sáez, Pastorale missionaria in America Latina: teología e spiritualità.
L'analisi della realtà esistente in America latina conduce all'esigenza di
creare un mondo nuovo e un ordine nuovo, che la Chiesa si sforza di pensare su
basi teologiche. Dio è contemplato, si mette in pratica la sua volontà e solo
successivamente si parla di lui. Si tratta comunque di una conoscenza
sperimentale e dell'adesione a Dio in quanto persona.
La teologia della liberazione, partendo dalla riflessione sulla realtà
della vita cristiana, culmina nella spiritualità. Questa aiuta a penetrare nel
mistero che la teologia esprime in categorie riflesse. Per cui la missione si
converte in espressione della vita esperienza intima con il Dio che è vicino a
ciascuno.La missione è chiave per intendere la Chiesa e ancor più per essere Chiesa e vivere nella Chiesa. La dimensione missionaria nasce con la Chiesa ed è per essa carisma, ossia sentire, vivere e lavorare in comunione con la Chiesa.
Il documento finale di Aparecida ricorda che la Chiesa è chiamata a ripensare profondamente e a rilanciare con fedeltà e audacia la sua missione nelle nuove circostanze latinoamericane e mondiali, senza ripiegare davanti a chi vede solo situazioni negative, per rinnovare la vitalità del Vangelo e suscitare nuovi discepoli e missionari.
L'impulso dato da questo avvenimento ha significato un profondo cambio nell'orientamento pastorale: da una chiesa ripiegata su se stessa a una chiesa aperta e spontaneamente missionaria, che si situa in stato permanente di missione, fiduciosa nello Spirito e aperta alle sue ispirazioni. A partire dall'ascolto della Parola, la Chiesa elabora la teologia e crea comunità missionarie.
In questo contesto il Carmelo si fa carico delle esigenze della Chiesa locale e, mediante una scelta di fede, si apre alla novità di un progetto tutto da scoprire.
Mons. Oswaldo Azuaje, l carmelitani oggi.
Per una cultura della pace e la giustizia in America Latina.
Il religioso non può isolarsi dalla realtà che lo circonda. La fuga mundi può essere un momento di allontanamento e di riflessione in vista dell'impegno nel mondo con una presenza nuova. La vocazione di Teresa di Gesù parte dall'analisi degli elementi negativi presenti al suo tempo, ai quali reagì presentando la sua proposta, rifondando la testimonianza evangelica della vita religiosa con un nuovo stile di fraternità e di ricreazione, in mezzo a un mondo poco ricettivo.
Per un carmelitano scalzo, figlio di Giovanni della Croce, la proposta innovativa si muove verso l'assunzione di un processo di liberazione personale e comunitaria dai pesi che impediscono lo sviluppo di una spiritualità autentica.
La povertà è ancora un problema mondiale e una minaccia alla pace, che non è solo assenza di guerra, ma soprattutto un modo di essere, un atteggiamento persistente. Nonostante le difficoltà, il dialogo deve essere lo strumento per ottenere una pace stabile, per promuovere una cultura della pace, che a sua volta alimenti i propositi di pace: solo i costruttori di pace possono essere chiamati figli di Dio.
I carmelitani scalzi dell'America latina e Caraibi riuniti a Londrina (Brasile) nel settembre 2010 per studiare una ristrutturazione giuridica, sottolinearono invece la necessità di una ristrutturazione della vita, di essere evangelizzati e di incarnare la spiritualità teresiana. Il carmelitano, nel momento in cui vuole essere promotore di una cultura della pace, sceglie la riconciliazione, il perdono, la fraternità, il rispetto per la vita, la solidarietà, l'amore per la natura.
La prospettiva dell'opzione preferenziale per il povero è la chiave fondamentale per mettere a fuoco la visione etica e la prospettiva dialogica di fronte alla globalizzazione. Di fronte alle soluzioni estreme che si prospettano, il Carmelo può presentare la testimonianza di povertà di Teresa, che compie in questo campo una scelta contro corrente.
La Chiesa dell'America latina ha compiuto un lungo cammino dopo il concilio Vaticano II. In essa la spiritualità del Carmelo teresiano, eminentemente cristologica e missionaria, si inserisce con le sue molteplici esperienze: comunità oranti, deserti, parrocchie e missione ad gentes, sostenuta dalla testimonianza di numerosi santi, che diventano un punto di riferimento per la nuova evangelizzazione.
MISSIONE
CARMELITANA
Salvador
Ros, Santa Teresa di Gesù missionaria:
"por ser ésta la inclinación que nuestro Señor me ha dado" (F 1,7).
Teresa
di Gesù ha avuto una profonda esperienza di Dio, dalla quale è nato il suo
spirito missionario. Un testo fondamentale per interpretare il suo messaggio si
trova nel libro della Vida (17,5), in
cui la santa tematizza tre livelli della sua esperienza: ricevere la grazia, comprendere la grazia, saperla trasmettere
(sentire, capire, comunicare). Il terzo livello è peculiare di Teresa ed è quello che, a
differenza di altri, la rende maestra di vita spirituale, capace di introdurre altri all'esperienza del
mistero. Tale caratteristica si ritrova
già nella sua esperienza nel convento dell'Incarnazione, tra le sue compagne più vicine, e diventa una
caratteristica della fondazione di San Giuseppe, in cui venne promossa una mistagogia esplicita:
parlare con Dio e parlare di lui, partendo dalla constatazione che la donna in questo ambito è
più ricettiva rispetto all'uomo. I
grandi desideri che Teresa ebbe fin da bambina sono il motore della sua
comunicazione e la spingono a non tenere
per sé le grazie ricevute, ma piuttosto a comunicarle. Importante a questo proposito è la visione immaginaria
dell'inferno, situata nel 1560 che la incoraggiò su questa strada e che può essere collocata
all'origine remota della sua opera di fondatrice.
Il monastero di San Giuseppe fu modellato
inizialmente sulle istanze di povertà promosse
dall'ambiente francescano, ma successivamente l'orientamento mutò grazie
alla sensibilità ecclesiale di Teresa.
Il movimento della riforma protestante, che divise la Chiesa, e i progressi dell'evangelizzazione nelle Indie fecero
maturare in lei un orientamento apostolico. L'orazione quindi ha come finalità aiutare tutti a
compiere l'opera di Dio. Da qui la sua approvazione alle iniziative apostoliche dei carmelitani
scalzi. Come al suo tempo Teresa non
approvava l'evangelizzazione condotta con modi trionfalistici e a volte con mezzi violenti, così oggi
invita a realizzare l'opera missionaria con la
discrezione, la pazienza e la modestia che caratterizzano gli interventi
di Dio. Sono necessari a questo scopo
missionari che abbiano fatto una profonda esperienza di Dio e la incarnino nel loro tempo; piccole comunità creative, dove
vi sia una vera e profonda esperienza cristiana; una pastorale mistagogica, ossia la capacità
di introdurre gli uomini all'esperienza del mistero, dato che in una società come la nostra, in
cui la fede non è più il patrimonio comune che si eredita, si può giungere ad essa solo
attraverso l'esperienza personale del mistero.
Dámaso
Zuazua, L'espansione carmelitana in
America latina nel decennio 1900-1911.
L'espansione dei carmelitani scalzi in America
latina all'inizio del XX secolo ha come antecedente
la presenza in Messico, Perù e Brasile a partire dall'inizio della riforma
teresiana, sotto la responsabilità delle
province di Spagna e di Portogallo. Sul finire del XIX secolo il movimento missionario presente nella Chiesa
cattolica coinvolse anche i carmelitani scalzi,
dopo la soppressione della congregazione spagnola e la restaurazione
dell'ordine giustificata davanti al
governo in vista dell'azione missionaria. Si diedero di conseguenza due
direttrici di 5 espansione: verso l'India a oriente e verso
l'America a occidente, grazie all'opera del
provinciale di Navarra, Ezequiel del Sagrado Corazón, più tardi eletto
generale dell'ordine. Nel 1898 venne
fatto un tentativo di fondare in Perù; tuttavia, di fronte alle resistenze incontrate, i fondatori si diressero in Cile,
dove tra il 1900 e il 1905 furono eretti cinque
conventi. Lo stesso anno 1900 vi fu una fondazione in Argentina, mentre
nel 1902 sorse un convento in Bolivia,
che durò solo tre anni. Nel 1905 il definitorio generale assegnò alle province spagnole le regioni dell'America: il
Messico alla provincia di Aragón-Valencia,
l'Argentina alla Betica, Cile, Bolivia e Perù alla provincia di Navarra,
Cuba e le Antille a Castiglia. Il 1911 fu un anno particolarmente propizio,
dato che la presenza dei carmelitani scalzi si
estese a Colombia, Perù e Brasile, grazie all'impulso del generale padre
Ezequiel del Sagrado Corazón. Come
tratti comuni si possono enumerare l'invito fatto ai padri dalle carmelitane scalze, la devozione alla Madonna del Carmelo
presente tra il popolo e la devozione a santa
Teresa. La missione in Brasile fu
assegnata alla provincia di Navarra, che stabilì tre conventi nel sud. Nel 1910 il vescovo di Pouso Alegre chiamò i
padri della provincia Romana nella sua diocesi,
dove essi fondarono tre conventi l'anno seguente.
Oscar
I. Aparicio Ahedo, Sucumbíos:
insegnamenti di una storia recente. La
missione di Sucumbíos fu affidata ai carmelitani scalzi nel 1937 dal governo
dell'Ecuador, allo scopo di difendere i
confini nazionali e promuovere la civiltà presso le popolazioni locali. In quegli anni vennero effettuate altre
fondazioni nel paese. Nel 1970 fu nominato prefetto apostolico P. Gonzalo López Marañón, che nel
1984 divenne vicario apostolico, fino al 2010.
Durante il suo mandato egli cercò di aggiornare la pastorale secondo lo
spirito del concilio Vaticano II, nella
linea della teologia della liberazione. Il
15 ottobre 2010 la congregazione di Propaganda fide notificò al generale
dell'ordine, P. Saverio Cannistrà, che
la missione di Sucumbíos era stata sottratta ai carmelitani scalzi e affidata alla Società Clericale Flos Carmeli
(Araldi del Vangelo): i carmelitani non potevano inviare nuovo personale e vi era necessità di
nuovi orientamenti pastorali. Mons. López
Marañón ricevette il sostegno del presidente dell'Ecuador, Rafael
Correa. I superiori dell'ordine
cercarono di trovare una soluzione in dialogo con le autorità della Santa Sede, ma la vicenda si concluse il 2 maggio,
quando il Padre Generale fu ricevuto in udienza
dal papa, il quale gli ordinò di richiamare i missionari. In seguito la
Santa Sede provvide alla nomina di un
nuovo responsabile della circoscrizione ecclesiastica. La vicenda ha suscitato scalpore sulla stampa e sui blog,
particolarmente in Spagna e in America latina, sollevando reazioni contrapposte. Da questa vicenda, dolorosa per l'ordine e
per i missionari, si possono trarre diversi
insegnamenti. A livello ecclesiologico si può constatare il contrasto
tra due modi di intendere la Chiesa,
entrambi ispirati al concilio Vaticano II, che valutano in maniera diversa il contributo del clero e dei laici alla vita
ecclesiale. In ambito politico e diplomatico vanno analizzati il ruolo dei nunzi, le modalità
dei loro interventi nella vita delle chiese locali e il modo di rapportarsi con le conferenze
episcopali. L'analisi degli avvenimenti porta alla conclusione
che tutti i protagonisti di questa vicenda non sempre hanno assolto al loro
dovere di annunciare Cristo.
Antoine-Marie
Zacharie Igirukwayo, Proposte per una
teologia della missione a partire dal Carmelo
teresiano. La proposta per una
teologia della missione con un profilo carmelitano parte dal profeta Elia, secondo la vicenda narrata dalla Scrittura,
arricchita dai contributi di Teresa di Gesù, di
Giovanni di Gesù Maria, di Tommaso di Gesù e di Teresa di Gesù Bambino. Elia è l'ispiratore della vita carmelitana,
che è nata sul Monte Carmelo in un luogo a lui
dedicato, consacrato da una lunga tradizione. Secondo K. G. Jung, Elia è
un archetipo poliedrico, in quanto
oggetto di molteplici rappresentazioni collettive; in questo senso è il punto di riferimento del patrimonio
spirituale carmelitano. L'opera del carmelitano catalano Felipe Ribot, Institutio primorum monachorum,
conosciuta anche da santa Teresa, ha rappresentato
per alcuni secoli una interpretazione autorevole della figura di Elia. Nella tradizione bizantina, rappresentata da
Basilio di Seleucia e dallo Pseudo Crisostomo,
Elia, inviato al popolo, subisce egli stesso una purificazione per poter
annunciare non la distruzione, ma la
salvezza offerta da Dio. Una salvezza che amplia i suoi orizzonti, oltrepassando i confini di Israele. Il
cammino compiuto da Elia si può riassumere in tre momenti: accettare di essere introdotto in un
processo in cui Dio è l'agente principale;
mettersi in cammino confidando solo nella provvidenza di Dio; essere
aperto all'espansione della missione.
Elia è chiamato ad operare in ambito politico, nel confronto con il re Acab; in ambito religioso, per denunciare l'idolatria
del popolo, in ambito sociale, per contrastare gli abusi del re.
Il Carmelo teresiano si ispira all'esperienza di Elia, unendo il
criterio della memoria a quello del
dinamismo. Partendo dall'esperienza di Teresa di Gesù, Giovanni di Gesù Maria
esprime la valenza cristologica della
missione: come il Verbo ha lasciato il seno del Padre per compiere la sua missione salvifica, così il
carmelitano scalzo deve lasciare la contemplazione nella sua cella per portare la salvezza al
popolo cristiano. La missione per Teresa si situa in Dio Trinità che è amore ed è giustificata
dall'intenzione di salvezza universale e dalla
conoscenza piena della verità. La
visione di Teresa relativa all'inferno, che si può situare all'origine della
sua esperienza, interpreta la domanda
ultima di salvezza e il senso che l'uomo vuole dare alla sua vita, condensato nella scelta tra la salvezza e la
perdizione eterna, come afferma Paul Tillich.
Teresa di Gesù partecipa della solidarietà della Chiesa verso tutti gli
uomini, che ricorda i valori della
salvezza eterna. Da parte sua ha affidato alle sue figlie il compito di
solidarizzarsi con l'umanità e di dare
la vita per gli altri. Nella stessa linea, Teresa di Lisieux si appropria della preghiera sacerdotale di Gesù in favore
di coloro verso i quali sente una responsabilità "sacerdotale". Alcuni criteri per la missione sono stati
proposti dal Definitorio straordinario di Ariccia (2011): Domanda sull'essere: la missione di
Teresa parte dal suo essere, che la spinge ad
agire; Consistenza antropologica della missione, ovvero la domanda
dell'uomo circa la felicità, che lo
conduce alla pienezza; Ermeneutica dal basso: Teresa ascolta l'esperienza che 7 la
circonda e la mette in relazione con l'esperienza di Dio, affinché entrambe si
incontrino in una dinamica di salvezza. 8 26
luglio 2012 Nuove sfide e nuove
aspettative
Benedict
Kanakappally, Aspettative missionarie
dei contesti interculturali e religiosi. Analisi fenomenologica della società attuale e delle
sue esigenze. La missione per sua natura
implica la comunicazione. Dal secolo XV essa si è caratterizzata per le sue frontiere geografiche. Oggi i
confini sono determinati dalla diversità dei mondi culturali e religiosi e dai modi di essere.
Nel mondo globalizzato le società si sono trasformate in aggregati multietnici, multiculturali e
plurireligiosi, per cui la missione si rende presente in ogni luogo e incontra nuove situazioni con le
quali interagire. Tuttavia la centralità di Gesù Cristo non è venuta meno, così come il
compito missionario della Chiesa. Nonostante
le previsioni degli anni Cinquanta e Sessanta, secondo le quali la religione sarebbe sparita, si nota invece una ripresa
del cattolicesimo, come pure delle altre religioni, testimoniata dal moltiplicarsi di differenti
luoghi di culto. L'attuale pluralismo religioso
implica l'accettare che vi siano persone con altre idee e altre
convinzioni e che esiste un senso religioso
adeguato alle necessità umane e sensibile alla domanda di autorealizzazione,
dove l'esperienza religiosa contribuisce
alla ricerca del senso. Alla fine del
secolo XX la religione ha assunto diversi significati, politici e identitari, e
al tempo stesso si è personalizzata.
Oggi è possibile scegliere la propria religione tra le numerose offerte presenti, oppure comporne
una rispondente alle proprie esigenze, come nel
caso della New Age. Ciò è in connessione con la presente società
consumista. La religione può anche
essere vista come rifugio di chi è deluso da una società segnata dalla ricerca
del denaro e del successo, dove la
ricerca di un'esperienza personale nel presente è più forte della tradizionale speranza in una vita migliore
nell'avvenire. In un contesto
multiculturale, la missione deve prendere sul serio le istanze dell'altro,
tenendo presenti le sue esigenze e i
suoi valori. Secondo il cardinale Ivan Dias, essa significa "sentirsi parte solidale di una totalità che ci
sorpassa e ci include in una processualità cosmica. Siamo parte di un processo globale. Tutto è
processo: il cosmo si evolve, crescono le persone, si trasformano le culture, cambiano le teologie,
si sovrappongono le spiritualità, tacitamente si integrano le religioni". Il vangelo entra
nella vita delle persone in molti modi che spesso rimangono nascosti e non si identificano con
il desiderio di appartenere a una chiesa. La
missione chiede di essere cristiani in modo interreligioso, di pensare
ad una teologia e a una spiritualità
interculturale e dialogica ed esige un cambiamento nel missionario, chiamato a praticare una ermeneutica trasformazionale.
Patrizio
Sciadini, Il missionario carmelitano del
terzo millennio oggi alla luce della V conferenza
di Aparecida. Proclamare la fede è
un'esigenza interiore che ha la sua radice nell'esperienza personale di Dio che invia a proclamare la sua grandezza. La
Chiesa in America latina ha compiuto un lungo
cammino dal concilio Vaticano II, culminato nella recente conferenza di
Aparecida (2009), 9 che la lanciato una missione continentale,
che tenga conto della globalizzazione e della nuova evangelizzazione. Essere discepoli missionari di Cristo è il
primo passo della vita cristiana, che sgorga da
un'esperienza di Dio concreta e umanizzata. L'incontro con Cristo
conduce alla conversione della mente,
del cuore e del corpo, e quindi ad una conversione pastorale; essa riproduce l'atteggiamento di Gesù che conosce
personalmente i suoi discepoli, li forma e li invia. Così pure il missionario è chiamato a conoscere e
ad amare la realtà dei popoli ai quali è inviato. Il missionario carmelitano teresiano,
seguendo la parola di Gesù e gli insegnamenti di Teresa di Gesù e di Giovanni della Croce, deve avere
una idea chiara della sua vocazione, che è
servizio a Dio, alla Chiesa e all'ordine. L'esperienza teresiana
sottolinea l'importanza dell'incontro
personale con la persona di Gesù Cristo, che si attua attraverso la lectio
divina, la liturgia, l'eucaristia e
l'orazione. Contemplare significa tenere gli occhi fissi al cielo e all'umanità che chiede la forza per non
abbattersi nel cammino della vita. L'orazione personale e comunitaria genera una vera comunione, ad
imitazione della primitiva comunità cristiana.
L'esperienza di Dio spinge il missionario a cercare Gesù tra i poveri,
gli emarginati e tra coloro che vivono
una vita di sofferenza. E' necessario
tenere accesa la fiamma missionaria del Carmelo teresiano, in se stesso missionario. Sono da evitare l'intimismo e
l'elitarismo spirituale, che vorrebbero limitare a pochi la vocazione contemplativa e cercare la
conversione a una nuova evangelizzazione,
senza perdere l'identità spirituale. Aparecida invita a lasciarsi
evangelizzare dalle culture, praticando
una pastorale della preghiera, rinnovando la presenza carmelitana nei luoghi di frontiera, con la collaborazione dei membri
dell'ordine secolare e formando i giovani a
valorizzare l'ideale missionario, fondandosi sull'esperienza di Teresa
di Gesù, che era pronta a dare
"mille vite" per la salvezza di un'anima.
Fernando
Susaeta, Missione ed evangelizzazione.
Uno sguardo critico dal Sud. Fino
alla metà del XX secolo la Chiesa era ancorata ai modelli centroeuropei; il
concilio Vaticano II fu fatto da teologi
europei e discusse problemi europei, rimanendo in buona parte estraneo alle problematiche del cristianesimo
degli altri continenti, dove l'implantazione della Chiesa aveva accompagnato l'imperialismo
europeo, incapace di evangelizzare senza
distruggere le culture e incapace di far nascere Chiese locali.
L'attuale crescita delle Chiese nel sud
del mondo impone un atteggiamento di ascolto nei loro confronti. Dal 1960 numerosi paesi africani hanno
ottenuto l'indipendenza. La riflessione sul passato recente ha generato posizioni ottimiste, che
valutano positivamente i progressi economici e
sociali del continente, mentre altri vedono in chiave negativa le
presenze neocolonialiste e la totale
assenza di democrazia, che produce la spoliazione e l'umiliazione dell'Africa.
Da parte sua la Chiesa cattolica ha
riconosciuto che l'Africa è uno dei polmoni spirituali dell'umanità, in quanto conserva e promuove valori
importanti quali la tradizione, la famiglia, la vita, la solidarietà, la religiosità. Secondo molti africani, la pastorale dei
missionari non ha raggiunto gli obiettivi prefissi, per cui si rende necessaria una nuova
evangelizzazione. L'incontro tra l'Africa tradizionale e l'Europa colonizzatrice ha prodotto una
società destabilizzata e una religione sincretista e superstiziosa. La Chiesa è romanizzata: molti
vescovi e sacerdoti sono occidentalizzati e
10 ascoltano Roma piuttosto che
le comunità locali. Non esiste una vera collaborazione tra vescovi e teologi. L'analisi della teologia e della pratica
missionaria classica ha evidenziato lo stretto vincolo tra l'evangelizzazione e il colonialismo e
l'imposizione del modello di Cristianità. Di fronte a tale constatazione, i teologi africani hanno
elaborato alcuni modelli, che vanno dalla ricerca di forme culturali africane suscettibili di
adattamento fino ad una vera inculturazione, che richiede di pensare Dio a partire
dall'identità africana, passando per una teologia della liberazione che sottolinea la povertà
antropologica. A partire dall'ultimo
decennio del XX secolo sono stati avanzati altri modelli che vedono il cristianesimo come forza etica capace di
trasformare le società africane, superando una
evangelizzazione superficiale e cercando di reinterpretare in modo
originale le grandi verità della fede
cristiana in modo da all'Occidente di incontrare la cultura africana; il tutto
a partire dalla riflessione
sull'autenticità africana che si manifesta nella capacità della Chiesa in
Africa di assumere la propria
evangelizzazione dal punto di vista pastorale e dal punto di vista economico-finanziario. L'esperienza della Chiesa in Africa mostra
che i modelli di chiesa non possono sussistere
isolati ma, partendo dalla pari dignità, devono integrarsi
reciprocamente, formando una rete di chiese
che si sostengono e si alimentano a vicenda.
Rafael
Santamaría, La recezione della Parola
oggi nel contesto latinoamericano. Sfide e
proposte. Anche nel contesto
socioreligioso plurale dei nostri giorni la Parola di Dio incontra le preoccupazioni, le gioie e le speranze degli
uomini di oggi. Si è liberata dai lacci della
dottrina per diventare il libro del popolo di Dio. Assistiamo al
superamento della barriera tra esegesi
scientifica e uso pastorale catechetico; tra lo studio elitario e la
contemplazione della Parola come
alimento quotidiano. L'approccio alla Parola ha fatto nascere nella Chiesa una vita spirituale più ricca. Nell'ambito
pastorale si è creato un modello di lettura antropologico e teocentrico, centrato sulla ricerca tra la
fedeltà al testo biblico e all'uomo a cui esso è diretto. Tuttavia vi sono difficoltà di comprensione e
di comunicazione: per molti cristiani è difficile comprendere ciò che si propone come verità
biblica. Le difficoltà irrisolte
generano un uso scorretto del contenuto biblico. Il testo può essere usato come istanza edificante, quando si utilizza
come mezzo esclusivo per fondare la dottrina
teologica e per legittimare i propri punti di vista. Una delle sfide principali, che riguarda il
mondo del pensiero teologico, è liberare la parola dall'identificazione con la cultura
dominante, come pure sottrarla a un mondo che difende i suoi privilegi e la tiene prigioniera.
Analizzando il libro di Giobbe, si può vedere come i tre amici rappresentano la tentazione di
trasformare la religione in mercato, di utilizzarla per imporre il totalitarismo e per garantire
situazioni di privilegio. E' importante
restituire alla Parola la sua dignità di Parola, di portavoce di un Dio che non accetta di essere straniero nel mondo da lui
stesso creato. Se le difficoltà devono spingere a trovare soluzioni, si può affermare che la
principale missione che si prospetta è rendere Dio abitante della nostra storia, come Egli
sempre ha voluto e vuole. Dio deve essere storicamente determinato, per evitare di divenire
un'astrazione. Il teologo J. J. Tamayo propone alcune soluzioni per liberare la
Parola da una teologia soffocante: una nuova ermeneutica, capace di superare la mera esegesi del testo e di
proporre la ricerca del senso; un nuovo orizzonte utopico, per progettare cose che ancora non esistono;
un nuovo orizzonte anamnesico, che permetta
di recuperare l'eredità apocalittica a partire dalle vittime che cercano
riabilitazione e considerare
l'obbedienza a coloro che soffrono un elemento costitutivo della coscienza morale; una nuova teologia, come dialogo con
le scienze della religione e le scienze umane;
una nuova spiritualità interreligiosa, che distrugga le frontiere create
da ogni religione per distinguersi dalle
altre.
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