Maria Lopez de Rivas (1560
-1640) era una ragazzina timida, a volte collerica e molto bella. Non ebbe titubanza a lasciare un mondo di agiatezza e di lasciarsi guidare dal gesuita p. Castro a capire la vocazione. Così a 17 anni entrò nel monastero di Toledo che nove anni prima era stato fondato da Teresa di Gesù. Fu proprio la santa Madre ad accoglierla l'11 agosto 1577 e volle - nonostante i problemi di salute che Maria rivelò subito - che l'8 settembre 1578 emettesse i voti: "Pensino bene a quello che fanno, perché se non ammettono alla professione suor Maria di Gesù, la farò venire ad Avila, e il monastero che l’avrà sarà il più fortunato di tutti. Per conto mio la vorrei sempre con me nel mio monastero, anche se dovesse stare a letto tutta la vita".
A Toledo suor Maria trascorse tutta la vita, ad eccezione di pochi mesi durante i quali
collaborò alla fondazione di un nuovo monastero a Cuerva. Fu una suora molto cara a S. Teresa
di Gesù, che la chiamava il suo "piccolo letterato" (letradillo), fu insigne per
una profonda contemplazione dei misteri di Cristo, attinta anche dalla Sacra
Liturgia.
Più volte maestra delle novizie e priora, nel luglio 1600, quando mancava ancora un anno alla scadenza
regolare del suo secondo priorato, il P. Alonso di Gesù Maria, delegato del
Provinciale, il P. Francesco dell'Ascensione, fece la visita canonica. Il
Visitatore dette ascolto alle accuse gravi ed ingiustificate di
suor Caterina dell'Ascensione, una monaca che nutriva un'invidia
profonda per la Beata e, trascurando di dare il dovuto
peso alle dichiarazioni della maggioranza della comunità che proclamava la
totale innocenza di Maria di Gesù, non esitò a deporla dalla carica di priora,
disonorandola di fronte al capitolo conventuale. Un'ingiustizia che il Signore permise per avvicinare a sè ancora di più quest'anima e forgiarla. Suor Maria, senza il minimo risentimento, abbandonò il priorato il 25 luglio 1600. Le umiliazioni per lei durarono circa 20 anni.
Fu beatificata da Paolo VI il 14 novembre 1976.
Ecco come la presentò al mondo
Paolo VI nel giorno della beatificazione:
Chi è, chi è la nuova Beata, che la santa Chiesa oggi
propone alla nostra conoscenza? alla nostra venerazione? alla nostra
imitazione? Questa sempre solenne e singolare cerimonia di beatificazione
acquista innanzi tutto il significato d’una presentazione rivelatrice, la
quale, forse anche nell’interno del duplice chiuso alveare del Carmelo scalzo,
maschile e femminile, suscita una felice sorpresa: non tutti avevano di questa
privilegiata Sorella un’adeguata conoscenza; e si spiega perché. Il profilo
biografico, che è stato letto testé, secondo il cerimoniale della Sacra
Congregazione per le Cause dei Santi, e che ciascuno può leggere nell’opuscolo
pubblicato per questa liturgia, ci ha informati che la nuova Beata, Maria di Gesù,
vissuta fra il secolo XVI e il secolo XVII, fu accolta
diciassettenne nel Carmelo di Toledo, che era stato fondato pochi anni prima da
Santa Teresa stessa, allora vivente in Avila, e ciò in virtù d’una
presentazione quanto mai elogiativa della grande Fondatrice. Nel Carmelo di
Toledo la nostra Beata passò, si può dire, tutta la vita ed ivi morì nel 1640.
Ed ecco la singolarità, che può spiegare la limitata conoscenza della sua
vicenda spirituale anche in persone del suo Ordine: nonostante la fama di santità,
che l’accompagnò in vita e continuò a circondarne la memoria anche dopo la
morte, difficoltà di varia indole ritardarono l’istruzione del processo
canonico, che avviato regolarmente non prima degli inizi di questo secolo,
conobbe ancora contrattempi e pause ed ha potuto giungere alla sua conclusione
solo ai giorni nostri. È quindi soltanto ora che viene presentata alla Chiesa
in tutto il suo fulgore l’avvincente figura di questa donna, che oltre tre
secoli di storia separano da noi, lontani pellegrini nel tempo.
Provvidenza anche questa per noi, ai quali è dato di
contemplare nella fisionomia della nuova Beata un riverbero autentico della
spiritualità di Santa Teresa, la riformatrice del Carmelo, una delle
personalità più significative della riforma cattolica. Con Maria di Gesù siamo
riportati infatti a quel periodo, carico di tensioni e di fermenti, che seguì
la conclusione del Concilio di Trento. È il periodo d’oro delle lettere, delle
arti, della potenza militare della Spagna, giunta all’apogeo della sua fortuna
politica e cavalleresca. È anche il periodo, che vede la Chiesa impegnata nel
massimo sforzo spirituale e disciplinare, nell’intento di tradurre in vita
cristiana vissuta le direttive conciliari. È in particolare il periodo nel
quale santa Teresa con coraggio indomito lavora alla realizzazione del progetto
di un rilancio della regola «primitiva» dell’Ordine carmelitano.
Maria Lopez de Rivas è profondamente colpita ed attratta
dalla prospettiva di donazione totale, che Madre Teresa propone; e dopo matura
e sofferta riflessione decide: sarà carmelitana e lo sarà nello spirito e
secondo la disciplina voluta da Teresa di Gesù. Ormai per capire Maria
bisognerà guardare a Teresa, la grande maestra di una vita interiore, intesa
come comunione ininterrotta col Cristo, mediante il dialogo di amicizia della
preghiera (Cfr. S. TERESA, Vita, 8, 5) e la disponibilità costante della
volontà al servizio di Dio (Cfr. IDEM, Castello interiore, VII,
8, 4). Suor Maria di Gesù si lascerà permeare totalmente da questi insegnamenti
della Madre e come lei orienterà la sua esperienza spirituale verso una
maturazione progressiva nella fede, vissuta come adesione totale al Cristo e
alla sua Chiesa, nella speranza, alimentata da una tensione inalterabile a Dio
e al Cielo, nella carità, accolta e donata con uno slancio non soggetto a
stanchezze.
La nostra Beata tuttavia non mancherà di modellare le grandi
linee della spiritualità Teresiana secondo un suo disegno personale, dal quale
emergerà la sua peculiare fisionomia spirituale. I tratti caratteristici
di essa possono riassumersi nella più marcata ed esplicita partecipazione
affettiva ed effettiva ai misteri di Cristo, proposti dalla Sacra Liturgia nei
diversi momenti dell’anno. La troviamo così, durante l’Avvento, totalmente
assorbita e quasi trascinata fuori di sé dalla profonda contemplazione del
mistero del Dio incarnato. Durante le feste di Natale ci incontriamo nella sua
singolare devozione a Gesù Bambino, che lei familiarmente chiama «dottore
dell’infermità d’amore».
Nella Quaresima e soprattutto nei giorni della Settimana Santa, ammiriamo la
sua appassionata partecipazione alle sofferenze del Redentore; a questo
proposito la testimonianza di un carmelitano suo contemporaneo ci informa che
«avendo (ella) chiesto a nostro Signore di concederle qualcosa che le facesse
sentire fisicamente la sua Passione, ebbe dal Redentore, che le apparve, una
corona di spine sul capo, da cui le risultò un dolore cos? forte che mai le si
leva» (GEROLAMO GRACIAN, Peregrinación de Anastasio, Dial. 16).
Suor Maria di Gesù venerava con indicibile ardore
l’Eucaristia, specie nel giorno della sua festa. Alle sue monache ripeteva con
accenti che toccavano il cuore: «Figlie, sanno che siamo di casa con il SS.
Sacramento, che viviamo insieme a Sua Maestà, sotto il medesimo tetto? Se i
religiosi fossero consapevoli di tale privilegio, nessuno riterrebbe
acquistarlo a troppo caro prezzo, fosse pure di lacrime e di sangue». L’intensa
devozione al Sacro Cuore di Gesù e al suo Preziosissimo Sangue completano il
quadro della pietà cristocentrica di quest’anima, che amava esclamare: «Solo
colui che è tanto fortunato da rendere Cristo padrone del proprio essere sa
conoscere Dio Divino ed Umano; costui cammina per sicuro sentiero».
Eccola dunque dinanzi a noi, Suor Maria di Gesù, tutta
assorta nel dialogo d’amore con lo Sposo dell’anima, che riempie le sue
giornate nella solitudine del Carmelo. Forse che questa intima esperienza di
Dio la estrania dalle necessità del suo prossimo, dalle difficoltà in cui si
dibatte la società del suo tempo, dalle prove alle quali è sottoposta la
Chiesa? Affatto. Attorno a lei si muove tutto un mondo di sofferenze, di
debolezze, di infermità, di implorazioni accorate. Attraverso la corrispondenza
epistolare e nei colloqui dietro la grata la miseria umana arriva a bussare al
suo cuore, per sollecitare la sua orante intercessione. E noi la troviamo così,
ad esempio in un momento di grande siccità, tutta intenta a supplicare:
«Signore, acqua! E’ necessaria l’acqua, Signore, in canali che io possa vedere
ed in ruscelli che senta scorrere!»; o quando la guerra reca desolazione e
morte la sentiamo confidarsi: «Stiamo pregando continuamente in comunità per
ciò che ci sta tanto a cuore, ossia per la pace tra i principi cristiani . . .
Attribuisco tutto ai miei peccati, specialmente la mancanza di pace; secondo
me, finché dureranno queste guerre, non si avrà nulla di buono»; o infine,
quando è in gioco il bene della Chiesa: «Ho il cuore trafitto per il momento
critico che la Chiesa di Dio attraversa, per quanto la virtù ha da soffrire e
per i pericoli mortali che corrono gli amici di Dio . . .».
Questa è stata, figli carissimi, Suor Maria di Gesù. Non è
forse vero che la sua esperienza spirituale suscita echi profondi anche nel
nostro cuore di credenti, che vivono in un mondo così diverso dal suo?
Guardando a lei noi comprendiamo quale valore rappresenti per la Chiesa di ogni
tempo la vita contemplativa e non ci è difficile riconoscere, insieme col
Concilio, che i contemplativi «offrono a Dio un eccellente sacrificio di lode,
e producendo frutti abbondantissimi di santità sono di onore e di esempio al
popolo di Dio, cui danno incremento con una misteriosa fecondità apostolica.
Cosicché costituiscono una gloria per la Chiesa e una sorgente di grazie
celesti» (Perfectae
Caritatis, 7).
La testimonianza di Suor Maria di Gesù, carmelitana vissuta
per 63 anni entro le mura di un monastero di clausura, ci convince di una
verità fondamentale, che cioè i valori cristiani più significativi si giocano
nell’interiorità dell’essere umano, là dove «lo Spirito stesso intercede con
insistenza per noi, con gemiti inesprimibili» (Rom. 8, 26), il suo
esempio ci induce a ridimensionare opportunamente l’importanza dell’attività
esterna, fosse pure l’attività apostolica, giacché sul piano soprannaturale
essa non conta che nella misura in cui è colma di amore teologale.
Questa piccola carmelitana, volata al Cielo tanti anni or
sono, ci ricorda l’esigenza ineludibile della dimensione contemplativa nella
vita di ogni cristiano e col suo esempio ci indica la strada concreta per
coltivarla. La strada è quella della meditazione amorosa dei misteri di Cristo,
che la Liturgia ripresenta ed attualizza. Figli carissimi, la partecipazione
intelligente ed assidua alle celebrazioni liturgiche, in particolare alla
liturgia eucaristica domenicale, partecipazione oggi facilitata dalla riforma
conciliare e Post-conciliare, è la via aperta a tutti per un incontro personale
con Cristo, con la luce della sua parola confortatrice e con la forza della sua
grazia risanatrice.
Resti dinanzi a noi, quale esempio stimolante, l’immagine
della nuova Beata, che già anziana ed inferma, non mancava di partecipare alle
funzioni liturgiche nella Chiesa del monastero, ove, stando dietro la grata,
univa la sua voce, resa ormai fioca dagli anni, a quella dei fedeli presenti
nel tempio; narrano infatti le consorelle: «perché vecchia e con acciacchi, era
solita mettersi in un posticino presso la grata del coro da dove si univa ai
canti della Messa, attirando non poco l’attenzione dei fedeli, ammirati per il
fatto che i suoi tanti anni mai le impedivano di cantare le lodi divine».
Rivolto poi alla grande rappresentaza di fedeli spagnoli presenti in San Pietro, Paolo VI proseguì così in lingua spagnola
Nuestro corazón se
llena de gozo al proclamar hoy Beata a Maria de Jestis Lopez de Rivas,
Carmelita, discipula de Santa Teresa de Avila, cuyo camino de perfeccion siguio
con extraordinaria fidelidad .
Por ello, se alegra el
Carmelo, se regocija Toledo, exulta España y exulta la Iglesia. Se tiene la
impresión del descubrimiento de un tesoro escondido; y se siente la alegria de
experimentar que los siglos no apagan las luces que adornan la historia de la
Iglesia. Este desafio al tiempo nos recuerda ya que la Iglesia no envejece
(Cfr. Matth. 28, 20) y
que sus Santos son ya ciudadanos de la eternidad.
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