di P. Enzo Caiffa ocd
L’Avvento è il periodo dell’anno liturgico che apre il ciclo delle
celebrazioni del mistero di Cristo. Ha come punto di riferimento il Natale di Cristo,
sia la venuta storica sia quella escatologica (la sua venuta finale, nella
gloria). Se prestate attenzione alla Liturgia, notate che il tempo d’Avvento è
diviso in due momenti: fino al 16 dicembre si parla della venuta del Signore
nella gloria, dal 17 al 24 dicembre si attende la sua venuta storica. Due
“avventi” che sono connessi fra loro.
La scelta del tema di meditazione parte da qui: la venuta di Cristo.
Parleremo della sua venuta leggendo il Cantico dei Cantici e in
particolare il capitolo 2, dal versetto 8 al versetto 16. L’Avvento è, dunque,
un tempo sotto il segno dell’Attesa. In questo momento lo stiamo aspettando. In
questo momento potrebbe arrivare… Una
voce! Il mio diletto! Eccolo, viene…
Tra la prima e la seconda venuta di Cristo si colloca la vita della
Chiesa che celebra il Mistero di Cristo, nel presente. Sappiamo che il Signore
sta arrivando per ciascuno di noi. Per me, oggi. È l’oggi della sua venuta.
Con quale atteggiamento si vive il tempo dell’attesa? Il silenzio. Non è
un silenzio penitenziale, un isolamento totale, ma è un silenzio di ascolto
perché in ogni momento Lui viene e mi può parlare. Ricordate l’episodio di
Zaccheo? Il pubblicano ha sentito parlare di Gesù e incuriosito per vederlo
bene tra la folla, poiché è piccolo di statura, decide di salire su un sicomoro.
Gesù passa, alza lo sguardo, lo vede e lo chiama: “Zaccheo scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua” (Lc
19,5).
Che cosa significa questo racconto evangelico? Che Gesù in ogni momento
può passare, sfiorarci e chiedere di fermarsi nella nostra casa. Dobbiamo
essere pronti ad aprirgli.
L’Avvento è vivere con consapevolezza quest’attesa non di una
momentanea, ma di una sua costante manifestazione. Io devo essere attento/a in
attesa di Lui, sempre.
Quando dopo la consacrazione, durante la Messa , recitiamo “Annunciamo la tua morte Signore,
proclamiamo la tua risurrezione in
attesa della tua venuta” intendiamo proprio questa sua manifestazione.
Ed è proprio nel Mistero Eucaristico che la venuta storica e quella
escatologica si rendono presenti. L’Eucaristia è l’anello di congiunzione, è
una delle visite che Gesù fa all’anima. È la sua venuta attraverso il
Sacramento. E allora, come la Santa Madre
Teresa insegna, dobbiamo approfittare di questo momento, del suo farci vivere la Sua presenza, offrendosi al
colloquio amoroso, all’intima amicizia di cui parla Teresa di Gesù.
In qualsiasi momento, come si legge nell’Apocalisse (3,20), Gesù può
bussare alla porta della nostra anima e allora? Come gli andiamo incontro, con
che spirito apriamo la porta?
Facciamoci guidare da alcune figure bibliche:
GIOVANNI BATTISTA. Riconosce
Gesù e lo annuncia come l’Agnello.
MARIA. L’angelo arriva
da Lei, annuncia la venuta di Cristo e Lei lo accoglie: “Eccomi sono la serva
del Signore”.
Il Signore è alla porta e bussa.
Noi speriamo in quest’incontro ed è questa la speranza che ci salva. È
il messaggio dell’Enciclica del Santo Padre Benedetto XVI (Spe Salvi). Siamo salvi perché poniamo il nostro fine in Cristo[1].
Perché sappiamo che oggi lo devo incontrare. E l’incontro con Lui, come
c’insegna San Giovanni della Croce, è trasformante.
Analizziamo ancora il passo dell’Apocalisse che ci dice: “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno
ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli
con me”
Gli fa eco il versetto del Cantico dei Cantici “Io dormo, ma il mio cuore veglia. Un rumore! È il mio diletto che
bussa: Aprimi, sorella mia, mia amica, mia colomba…”(5, 2).
E ancora dall’Apocalisse “Ecco, io
verrò presto …” (22,12).
La porta antica si apriva solo dall’interno. Non si poteva entrare se
non c’era qualcuno in casa. Dall’esterno si poteva soltanto bussare. È
l’immagine del Signore che chiede di entrare nella nostra anima e aspetta che
siamo noi ad aprirgli. Aprirgli è manifestargli la volontà di accoglierlo. Come
Maria. Il suo “eccomi” equivale al nostro “vieni”.
Nel Cantico dei Cantici lo Spirito e la Sposa dicono VIENI
Chi ascolta la voce del Signore dice VIENI
Leggiamo il Cantico dei Cantici Cap. 2 ai versetti 8-16
Una voce! Il mio
diletto!
Eccolo, viene / saltando
per i monti,
balzando per le
colline.
Somiglia il mio
diletto a un capriolo
o ad un cerbiatto.
Eccolo, egli sta
dietro il nostro muro;
guarda dalla finestra,
spia attraverso le
inferriate.
Ora parla il mio
diletto e mi dice:
“Alzati amica mia, mia
bella, e vieni!
Perché ecco,l’inverno
è passato,
è cessata la pioggia,
se n’è andata;
i fiori sono apparsi
nei campi
il tempo del canto è
tornato
e la voce della
tortora ancora si fa sentire
nella nostra campagna.
Il fico ha messo fuori
i primi frutti
e le viti fiorite
spandono fragranza.
Alzati amica mia, mia
bella, e vieni!
O mia colomba, che stai
nelle fenditure della roccia,
nei nascondigli dei
dirupi,
mostrami il tuo viso,
fammi sentire la tua
voce,
perché la tua voce è
soave,
il tuo viso leggiadro”.
Prendeteci le volpi,
le volpi piccoline che
guastano le vigne,
perché le nostre vigne
sono in fiore.
Il mio diletto è per
me e io per lui.
Egli pascola il gregge
fra i gigli.
Lo Sposo è il Signore, la sposa è la Chiesa , il popolo di Dio. Ma è anche la nostra
anima. Allora proviamo a rileggere il brano, immaginando di essere chiusi in
casa, nella nostra casa, in silenzio, e di sentire all’improvviso una voce…è
proprio lui, Gesù. È lui che amandoci ci cerca, non riesce a contenere il suo
amore per noi, a prolungare l’attesa. San Giovanni della Croce dice “Non è
tanto l’anima a cercare Dio quanto Dio a cercare l’anima”. Eccolo, egli sta dietro il nostro muro. Ci cerca e aspetta alla
porta una nostra risposta.
Sarà successo così a Maria. Il Signore si è manifestato attraverso
l’angelo, attendendo il suo consenso.
Attende, allo stesso modo, il nostro “Sì”, mentre guarda
dalla finestra, spia attraverso le inferriate.
Poi ci chiama e ci dice che la natura sta rinascendo, dopo l’inverno
dell’umanità, dopo i nostri momenti difficili. I fiori sono apparsi nei campi, sono i fiori della speranza (in Matteo
leggiamo che il fico mette i suoi frutti). Il
tempo del canto è tornato e la voce della tortora ancora si fa sentire nella
nostra campagna. È un canto che intenerisce il cuore di Dio. È la Primavera , la vita che
rinasce.
Il simbolo natalizio dell’albero, per esempio, pieno di colori e di luci,
è il simbolo della gioia primaverile. Così come la culla di Betlemme può
diventare il mio cuore, anche se è povero com’era povera e fredda la grotta in
cui nacque Gesù.
Torniamo al Cantico.
Il paragone con la natura è bellissimo: l’anima si apre a Dio, come il
fiore apre la corolla al bacio del sole.
Il “Sì” diventa la nostra offerta alla volontà di Dio. È l’esempio della
candela messa contro i raggi del sole: la sua fiamma si annulla, diventa un
tutt’uno con la luce solare. Così l’anima che si conforma alla volontà di Dio
s’immerge in Lui e si trasforma.
È tutta la Trinità
a congiungersi all’anima in una santa unione nuziale, al momento del “sì”, come
riempì di sé Maria, dopo l’annuncio dell’angelo.
È Maria a mostrarci come accogliere il “diletto”.
Nel cantico Spirituale San Giovanni della Croce racconta come l’anima cerca
il suo Sposo: siamo noi gli sposi dell’Amato.
Sant’Ireneo dice “La gloria di Dio è l’uomo vivente”
E nel Carmelo? Noi carmelitani siamo sposi del Signore. Dovremmo
sentirci tutti così. Nel Carmelo si vive proprio l’attesa del Signore, il
desiderio di testimoniare l’imminenza di quest’incontro. Il Carmelo figlio dei
profeti si riallaccia all’Antico Testamento, all'attesa, ad un mistero da
compiersi, giorno per giorno. In noi carmelitani l’attesa dell’Amato è l’unica
grande occupazione. Non un’occupazione fine a se stessa. Sappiamo del resto che
siamo chiamati a stare con Lui, all’intima unione con il nostro Signore.
Interrogati dovremmo rispondere: Siamo qui, aspettiamo il Signore. Lui solo,
Lui sempre, Lui dappertutto. Ecco perché la mia casa deve respirare la sua
presenza. La mia anima deve essere pronta ad accoglierlo.
La preghiera della beata Elisabetta della Trinità rispecchia la
percezione di quest’attesa e di quest’unione profonda con il Signore, che
diventa unione nuziale, come si diceva prima, nella Trinità.
Rileggiamola in questa luce:
O mio Dio, Trinità che adoro, aiutami a dimenticarmi
completamente, per fissarmi in Te, immobile e tranquilla, come se la mia anima
fosse già nell'eternità.
Nulla possa turbare la mia pace né farmi uscire da
Te, o mio Immutabile, ma che ogni istante m'immerga sempre più nella profondità
del tuo Mistero. Pacifica la mia anima, rendila tuo cielo, tua dimora
prediletta, luogo del tuo riposo.
Che non ti ci lasci mai solo, ma che sia là tutta,
interamente desta nella mia fede, tutta in adorazione, pienamente abbandonata
alla tua azione creatrice.
O mio Cristo amato,
crocefisso per amore, vorrei essere una sposa per il tuo Cuore, vorrei coprirti
di gloria, vorrei amarti fino a morirne.
Ma sento la mia impotenza, e
ti chiedo di "rivestirmi di te", d'identificare la mia anima a tutti
i movimenti della tua anima, di sommergermi, d'invadermi, di sostituirti a me,
affinché la mia vita non sia che un'irradiazione della tua vita.
Vieni in me come adoratore,
come Riparatore e come Salvatore.
(è il grido della Chiesa:
Vieni in me, Vieni Signore Gesù!)
O Verbo eterno, Parola del mio Dio, voglio
passare la mia vita ad ascoltarti, voglio rendermi perfettamente docile per
imparare tutto da Te.
Poi, attraverso tutte le
notti, tutti i vuoti, tutte le impotenze, voglio sempre fissare Te e restare
sotto la tua grande luce.
O mio Astro amato,
affàscinami perché non possa più uscire alla tua irradiazione. Fuoco
consumante, Spirito d'amore, "discendi in me", affinché si faccia
nella mia anima come una incarnazione del Verbo e io gli sia una umanità
aggiunta nella quale Egli rinnovi tutto il suo Mistero.
E Tu, o Padre, chinati sulla
tua povera piccola creatura, "coprila della tua ombra", e non vedere
in lei che "il Diletto nel quale hai posto tutte le tue compiacenze".
O miei Tre, mio tutto, mia
beatitudine, solitudine infinita, immensità in cui mi perdo, mi abbandono a Voi
come una preda.
(Dio incontra
la sua creatura nella solitudine, nel raccoglimento
L’anima è la colomba nella
fenditura)
Seppellitevi in me perché io
mi seppellisca in Voi, in attesa di venire a contemplare nella vostra luce
l'abisso delle vostre grandezze.
Il dialogo dello Sposo con la sposa è la preghiera che
come spiegava S. Teresa di Gesù è “la porta di tutte le grazie”. Ogni giorno lo
Sposo chiama. L’anima deve rispondere. Bisogna vivere ogni giorno tendendo a
quella vetta che è Dio.
Il cuore di Dio vedendo la fedeltà dell’anima si
commuove, si colma di tenerezza per l’anima, anche se è piena di miseria. Ciò
che conta è abbandonarsi a Lui senza misura, senza resistenze.
I nostri santi esprimono appieno il clima dell’Avvento,
la passione di vedere Dio, il suo desiderio insaziabile: il Carmelo ha fatto
suo questa disposizione.
Ci aiuta una poesia di S. Teresa di Gesù (Esclamazioni,
n.6) in cui tra l’altro la S. M. Teresa
scrive: “Delizia mia, Signore del creato e Dio mio, fino a quando dovrò
aspettare di vedervi di presenza?”
Diciamo allora: “Vieni Signore Gesù!”. Aspettiamolo!
Meditazione sull’Avvento di p. Enzo Caiffa ocd
(per la riproduzione citare la fonte e il sito da cui è tratta)
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PER APPROFONDIRE:
Cantico dei Cantici. Leggerlo integralmente, soffermarsi
sui versetti 2, 8-16
Benedetto XVI, Spe Salvi, Libreria Editrice Vaticana,
Città del Vaticano 2007
Luca 19, 1-10
Apocalisse 3 20; 22, 12
Lettera ai Galati 4,4-5
Matteo 24,32-33
San Giovanni
della Croce, Cantico Spirituale 1,
6-8
Giovanni 15,5
Santa Teresa di
Gesù, Esclamazioni dell’anima a Dio n.
6, 1-3
[1] Scrive
il Papa “Noi abbiamo bisogno delle speranze – più piccole o più grandi – che,
giorno per giorno, ci mantengono in cammino. Ma senza la grande speranza, che
deve superare tutto il resto, esse non bastano. Questa grande speranza può
essere solo Dio, che abbraccia l'universo e che può proporci e donarci ciò che,
da soli, non possiamo raggiungere. Proprio l'essere gratificato di un dono fa
parte della speranza. Dio è il fondamento della speranza – non un qualsiasi
dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine:
ogni singolo e l'umanità nel suo insieme. Il suo regno non è un aldilà
immaginario, posto in un futuro che non arriva mai; il suo regno è presente là
dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge. Solo il suo amore ci dà la
possibilità di perseverare con ogni sobrietà giorno per giorno, senza perdere
lo slancio della speranza, in un mondo che, per sua natura, è imperfetto. E il
suo amore, allo stesso tempo, è per noi la garanzia che esiste ciò che solo vagamente
intuiamo e, tuttavia, nell'intimo aspettiamo: la vita che è “veramente” vita.”
(Spe Salvi, n. 31).
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