Giornata Pro orantibus

Preghiamo per le sorelle claustrali 

in modo particale 

per quelle dei monasteri carmelitani

  Ognuno di noi che è giunto al Carmelo Secolare ha incontrato nel proprio cammino una o più comunità di clausura dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi. 
Per molti di noi è stata una esperienza molto costruttiva e una tappa fondamentale per il cammino spirituale.
La nostra fraternità, che si riunisce in una sala del monastero dei Ponti Rossi, prega con gratitudine per le monache della comunità.

Com'è nata questa giornata. Nel 1953, in occasione memoria liturgica della Presentazione di Maria al Tempio, Papa Pio XII istituì la Giornata Pro Orantibus, dedicata a tutte le comunità di clausura.
Nata come occasione di aiuto materiale alle Comunità di vita contemplativa claustrale, si è sviluppata negli anni come opportunità per proporre una riflessione sul mistero della contemplazione, componente essenziale della vita di ogni credente in Cristo e vissuta dalle claustrali in modo totalitario e permanente

Teresa di Gesù, madre fondatrice delle carmelitani scalze. Scriveva a proposito S. Teresa dando suggerimenti alle monache di San Giuseppe, nel primo monastero da lei riformato:

Tutto ci appare gravoso, e a ragione, perché si tratta di una guerra contro noi stessi, ma appena ci mettiamo all’opera, Dio agisce così efficacemente nell’anima e le dona tante grazie che le sembra poco tutto ciò che si può fare in questa vita. Per noi monache, poi, il più è fatto, quando rinunziamo alla libertà per amor di Dio, rimettendola nelle mani degli altri. Inoltre, osserviamo tante pratiche gravose: digiuni, silenzio, clausura, servizio del coro, che anche a volerci trattare con delicatezza non potremmo farlo se non raramente, e forse l’avrò fatto soltanto io in tanti monasteri che ho visto. Allora, perché trattenerci dal praticare la mortificazione interiore che rende tutto il resto molto più meritorio e perfetto e ce lo fa compiere con maggiore pace e dolcezza? Ci si arriva – come ho detto – a poco a poco, rinnegando la propria volontà e il proprio istinto anche nelle piccole cose, fino ad assoggettare il corpo allo spirito.
  Torno a dire che tutto o quasi tutto consiste nel rinunciare a noi stessi e ai nostri agi. Chi comincia infatti a servire il Signore, il meno che gli può offrire è la vita. E che deve temere chi gli ha già dato la sua volontà? È evidente che se è un vero religioso o una vera anima di orazione che pretende godere i doni di Dio, non deve tornare indietro ma desiderare di morire per Dio e soffrire anche il martirio. Del resto, non lo sapete, sorelle, che la vita del buon religioso, che vuol essere fra i più intimi amici di Dio, è un lungo martirio? Lungo, perché tale può dirsi in confronto a quello di coloro cui veniva tagliata la testa. Ma la vita è breve, anzi a volte brevissima. E che sappiamo se la nostra non sarà così breve che dopo un’ora o un momento dall’aver peso la risoluzione di servire totalmente Dio, si estinguerà? Sarebbe possibile perché, dopo tutto, non c’è da fare assegnamento su quanto ha fine. E, pensando che ogni ora può essere l’ultima, chi di voi non vorrà impiegarla bene? Credetemi, questo pensiero è la cosa più sicura.
  Adoperiamoci, pertanto, a contraddire in tutto la nostra volontà; se ci impegneremo a farlo, come ho detto, a poco a poco, senza saper come, ci troveremo sulla vetta. Ma non sembra troppo rigoroso di re che noi non dobbiamo cercare soddisfazione in nulla? Sì, perché non si dice quali grazie e gioie comporti questa contraddizione e quanto si guadagna con essa anche in questa vita, quale sicurezza! Qui, poiché tutte voi percorrete questa strada, il più è fatto. Ora, stimolatevi e aiutatevi a vicenda: in questo ciascuna di voi deve cercare di superare le altre.
(cammino di perfezione, capitolo 12)