P. Ballestrero verso gli altari

Lo scorso 4 febbraio i vescovi piemontesi al termine della loro sessione di lavori hanno annunciato  «Con gioia, in modo plebiscitario, l’avvio dell’inchiesta diocesana per la causa di beatificazione-canonizzazione del card. Anastasio Ballestrero e di Sr. Maria Carola del Cottolengo».

Vogliamo ricordare così la figura di questo carmelitano che seppe essere uomo di orazione anche quando fu chiamato a "governare" i vescovi e due diocesi.

Anastasio Ballestrero del SS. Rosario, carmelitano scalzo morto il 21 giugno del 1998, è stato un uomo che ha saputo affidarsi a Dio, percorrere la strada da Lui tracciata, senza mai titubanze, fedele in ogni circostanza alla propria vocazione al Carmelo, anche quando –per obbedienza alla Chiesa- lasciò la vita della comunità carmelitana per diventare presidente della Conferenza Episcopale Italiana (qualcuno lo vide piangere, all’annuncio della sua nomina, ma il suo amore e la sua fedeltà alla Chiesa, tipicamente carmelitani, gli fecero accettare l’incarico senza indugio).
Chi era padre Anastasio

Anastasio Ballestrero (al secolo Alberto Ballestrero) nacque a Genova il 3 ottobre del 1913. A nove anni perse la mamma (un dolore grandissimo vissuto con una grande maturità e lo si vide quando nel 1928 quando morì la nonna paterna, scrivendo una lettere al padre ebbe per lui parole tenere e lo incoraggiò a rifugiarsi nel cuore di Gesù come fece lui). L’amore per il cuore di Gesù fu rafforzato quando ricevette da un sacerdote un’immaginetta dell’allora venerabile (oggi è santa) Teresa Margherita Redi del Sacro Cuore di Gesù, dove c’era scritto “Deus caritas est”. “Da allora”, scrisse p. Anastasio, “non ho più dimenticato: Dio è amore”.
A 11 cominciò il proprio cammino al Carmelo (“Il Signore mi ha preso presto perché ero un bel tipo. Ho capito poco, ma ho capito che dovevo dire di sì”).
A 15 anni iniziò il noviziato. I superiori che inizialmente non volevano ammetterlo perché ribelle e vivace, erano sicuri che si sarebbe arreso strada facendo. Dimostrò un notevole cambiamento: saper vivere alla presenza di Dio è la sapienza suprema di un’anima carmelitana.
Anastasio Alberto Ballestrero fece la professione religiosa il 17 ottobre 1929 con il nome di fra Anastasio del SS. Rosario. Ordinato sacerdote il 6 giugno 1936, insegnò teologia nelle case di formazione della sua provincia religiosa, dove gli furono affidati vari incarichi di responsabilità. Nel 1948 fu eletto Provinciale, nel 1955 Preposito Generale dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi. Durante il suo mandato diede impulso agli studi teresiani, stimolando fedeltà al carisma originario dell'Ordine, soprattutto al primato assoluto di Dio, all'orazione contemplativa, al senso della Chiesa e allo spirito apostolico. Partecipò al Concilio Ecumenico Vaticano II come membro della commissione teologica. Fu consacrato vescovo di Bari il 2 febbraio 1974. Trasferito alla sede episcopale di Torino nel 1977. Giovanni Paolo II lo nominò cardinale nel 1979. Dal 1979 al 1985 fu presidente della CEI. Nel 1988 lasciò la sede di Torino, si ritirò a Bocca di Magra dove morì il 21 giugno 1998.

Qual è la testimonianza lasciataci
Non ha mai voluto scrivere nulla. Quello che di lui abbiamo oggi è stato raccolto dalle monache e dai sacerdoti cui teneva prediche, esercizi spirituali e sistemati p. Giuseppe Caviglia che fu suo segretario.
Il carmelitano sente il bisogno di fare tutto, attimo per attimo alla presenza reale di Dio, cercare continuamente il Signore, di attenderlo. Da qui scaturisce la carica di speranza che fu propria di p. Anastasio.
L’amicizia e l’intimità con il Signore è stata, quindi, alla base del suo essere e del suo operare. 
“Se qualcosa ha dato alla mia vita senso e felicità è aver creduto al Signore e avergli detto di sì a occhi chiusi e averlo seguito come un discepolo che non sa dove va ma che ha la mano nella mano di Qualcuno che lo sa anche per lui
  
L’intransigenza della spiritualità.
 “Niente è più estraneo al Carmelo di quella mentalità che affiora in certi cristiani per i quali si direbbe che il Signore è ridotto alle nostre proporzioni con una faciloneria che non rivela né intimità né familiarità con il Signore, ma solo superficialità”
Anche questa frase di p. Ballestrero, attualissima, evidenzia la forza con cui il cardinale ha saputo riconoscersi creatura: Dio è il Signore e io resto creatura che solo lui può deificare.
Ha amato in modo straordinario l’Ordine; ha voluto che le sue monache e i suoi frati vivessero lo spirito del Carmelo fino in fondo e diede lui per primo esempio di obbedienza piena alla volontà di Dio anche quando questa volontà “taglia, sradica e trapianta”.
Come superiore Ballestrero fu intransigente e metteva in guardia dal destreggiarsi fra Dio e gli idoli. Ma ogni suo insegnamento, anche più intransigente, lo viveva in prima persona.  “Dio al primo posto sempre e in tutto il resto viene dopo” ripeteva e affermava il primato assoluto dell’orazione contemplativa e un apostolato nel modo tipico del Carmelo effusione della comunione con Dio
Quando nel 1967 diede un’Istruzione all’Ordine per il rinnovamento della  vita religiosa secondo il Concilio Vaticano II, fissò alcuni punti inderogabili:
Fedeltà alla Chiesa,  ritorno allo spirito dei fondatori, orazione, ascesi, povertà, austerità, in conformità della scelta di Sequela Christi, insieme ad un apostolato generoso in conformità con lo spirito del Carmelo.
Quando a Bocca di Magra si ritirò nel monastero di Santa Croce, anziano e malato, dice che è quella la sua ultima dimora “dove il Signore a poco a poco ci demolisce, per provare la fedeltà del nostro amor. Il Signore  cerca anima cui possa chiedere tutto per poter concedere tutto”.
Anche le sue sofferenze, come tutta la sua vita, le mise nelle mani di Dio, ripetendo “Signore tutto questa per la Chiesa e per il bene dell’Ordine”.
 Con questa umiltà si è lasciato consumare fino alla morte con un immenso amore. “Siamo fratelli e tra fratelli ci possono essere anche difficoltà divergenze ma il sangue è lo stesso l’ideale è lo stesso e l’amore non può venire meno”.
Anche la sua ultima testimonianza, dettata al  segretario particolare, è un testamento spirituale di cui far tesoro:
“Il Carmelo è stato ed è la casa del mio cuore e la patria dell’anima dell’anima mia. La mia vita ha trovato nel Carmelo tutto. Tutte le energie, tutte le grazie: il mio cuore si è saziato, la mia anima non è mai stata randagia, le difficoltà della vita hanno trovato in casa sempre la soluzione e oggi che sono alla fine dei miei giorni ringrazio Dio di questo dono, ringrazio la Madonna di questa grazia  e ti auguro che possa essere vero per te come lo è stato per me. La fedeltà al Carmelo è il viatico della vita”.