Domani su Youtube "Oltre la tempesta con i Mistici"

Ricordiamo che domani e dopodomani si svolgerà a Roma il Simposio Internazionale di Mistica, dalle ore 16.00 alle 19.00. é possibile seguirlo anche sul canale di youtube. Il tema che guiderà le relazioni del Simposio è «Oltre la tempesta con i Mistici». Aprirà i lavori, mercoledì 1 dicembre, p. Christof Berschart, Preside del Teresianum, cui seguiranno; gli interventi  con una relazione dal titolo “Con Cristo sul mare in tempesta” di p. Bruno Moriconi,“Nel ventre della balena: Giovanni della Croce”  di P. Innocent Ndimubanzi Hakizimana . Concluderà la prima giornata del Simposio p. François-Marie Léthel con una trattazione sul tema «Tanta sofferenza non sia inutile»: Lezione di Teresa di Lisieux”.
La seconda giornata del Simposio, giovedì 2 dicembre, vedrà l’iniziale intervento di p. Luis Jorge González, che tratterà il tema “L’unione con Dio: porto sicuro per servire. Santa Teresa”, cui farà seguito l’intervento di p. Emilio José Martínez González che metterà in luce il tema: “«Tutti amici»: Per remare e tenere la barca a galla. Teresa d’Avila”. A concludere il Simposio sarà il nuovo Preposito Generale dei Carmelitani Scalzi e Gran Cancelliere della Pontificia Facoltà Teresianum, p. Miguel Márquez Calle con intervento sul tema: “Vita nuova con i mistici”.


Il XIX Simposio di Mistica
potrà essere seguito
in diretta streaming

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Iniziamo con fede e con l'aiuto dei nostri santi l'Avvento

 

«Risvegliaci e illuminaci, Signore mio, affinché conosciamo e amiamo i beni che ci porgi continuamente, e sapremo che ti sei mosso a farci grazia e che ti sei ricordato di noi» (Giovanni della Croce, ocd FB 4,9).

L’Avvento è il “tempo forte” della Chiesa nel quale siamo invitati ad una preghiera più intensa. Una preghiera nella quale non chiediamo qualcosa, ma cerchiamo ed aspettiamo qualcuno, Gesù Cristo. Dobbiamo intensificare l’orazione come “sete di Dio”, alla quale ci invita soprattutto il Vangelo, quando ci chiede di «vegliare e pregare in ogni momento», in modo che la nostra attesa di Lui sia sostenuta dalla speranza cristiana. Ma domandiamoci: è possibile “pregare in ogni momento” come comanda il Signore, o “pregare ininterrottamente», come chiede san Paolo ai suoi discepoli di Tessalonica? No. E’ lo stesso Apostolo che, rimproverando i Tessalonicesi per un’attuazione letterale del suo comando, ci invita a distinguere lo “stato di preghiera” dall’atto di pregare. Lo “stato di preghiera” è la percezione continua di essere alla presenza di Dio (lo insegna Teresa di Gesù, la vita di preghiera di Fra Lorenzo della Risurrezione). E questa possiamo averla anche durante il lavoro o lo svago. L’atto della preghiera suppone, invece, che cessiamo le altre occupazioni per dialogare personalmente con Dio. Abbiamo bisogno di entrambe.
La prima domenica di Avvento c'invita a essere vigili, ad alzare lo sguardo verso il Cielo. Il santo carmelitano Giovanni della Croce a commento della sua  "Fiamma d’amor viva",  parla del risveglio di Dio nell’anima, del Verbo sposo nel fondo dell’anima, che è una sorta di un movimento che il Verbo produce nella sostanza dell’anima. Così l’anima stessa è risvegliata dal sonno grazie al risveglio di Dio in lei, e passa da una conoscenza naturale ad una conoscenza soprannaturale che permette di «conoscere le creature mediante Dio e non Dio mediante le creature, ciò significa conoscere gli effetti mediante la loro causa e non la causa mediante gli effetti» (FB 4,5).
Ma S. Giovanni della Croce (di cui il 14 dicembre celebriamo la memoria liturgica che per noi carmelitani è solennità) è anche colui che per celebrare nel periodo in cui fu imprigionato il tempo sacro dell'Avvento, si dedicò a ri-esprimere, in poesia, il Prologo del Vangelo di Giovanni e il Vangelo dell'Infanzia di Gesù, componendo così Nove Romanze, trinitarie e cristologiche. In quel secolo, la creazione poetica e musicale delle "Romanze" era un fenomeno molto diffuso che impregnava la vita e la cultura popolare della Spagna.

QUINTA ROMANZA (l'attesa)

..la speranza lunga
e il crescente desiderio
di godere con lo Sposo
di continuo li affliggeva…

Dicean gli uni:… "Orsù, Signore
Invia chi ci devi mandare!"
Ed altri: "Oh, se squarciassi
I cieli e potessi ammirare
con i miei occhi la tua discesa…!"

Altri dicevan: "Felice
chi in quel tempo vivrà,
e con i suoi occhi mortali
di veder Dio meriterà,

e toccarlo con le mani
e stare in sua compagnia
e godere dei misteri
che ordinerà in armonia!".

Piccole carmelitane crescono


Le nuove sorelle della comunità secolare dei carmelitani scalzi  (Pasqualina Adenzato, Maria Chiara Stella Zaccaria, Ornella Minieri, Maria Giovanna Zizza, Elena De Dominicis, Almerinda Basile) con il maestro di Formazione e con il p. Provinciale Luigi Gaetani, la presidente, il maestro di formazione e parte della comunità ocds

Domani, 27 novembre nuove ammissioni in comunità

 

NAPOLI. Alle ore 10 nella Chiesa del monastero dei Ponti Rossi la comunità secolare dei carmelitani scalzi accoglierà sei nuove sorelle (Pasqualina Adenzato, Maria Chiara Stella Zaccaria, Ornella Minieri, Maria Giovanna Zizza, Elena De Dominicis, Almerinda Basile) alla formazione. Il rito di ammissione sarà celebrato dal Superiore Provinciale dei Carmelitani Scalzi, p. Luigi Gaetani. Alle nostre sorelle, emozionatissime in questa vigilia, dedichiamo una bellissima preghiera del servo di Dio p. Anastasio Ballestrero, carmelitano scalzo:


Signore, tu chi sei? Questo desiderio di conoscerti è la vera risposta alla tua venuta.
Sei venuto per essere cercato ogni giorno, là dove ti doni nell'inesauribilità del tuo Mistero.
Ogni giorno tu mi rivelerai "chi sei".
Gesù dammi questa fede e questa speranza.
La mia vita terrena non è più banale, gretta, meschina, da quando tu l'hai percorsa camminando per le mie stesse strade, godendo e soffrendo le mie stesse vicende, insegnandomi che la provvidenza del Padre vigila su tutti e soprattutto su coloro che seguono te.
Fammi fedele al tuo: "Vieni e seguimi".
Dicendo "vieni", non hai detto: andremo qui, andremo a far questo, a far quello...
Hai detto in modo assoluto: "Vieni e seguimi"; perciò il nostro andare è seguirti.
Seguirti con fedeltà, ma anche con umiltà.
Non ti dirò come Pietro: "Signore dove vai? Darò la mia vita per te".
Tu mi risponderesti: "Ci sarà chi ti cingerà i fianchi e ti condurrà dove non vorresti".
Signore, mi sia dato di seguirti e non di precederti.
Signore, mi sia dato di seguirti senza domandarti dove mi porti.
Ho tanta fiducia in te e mi basta; dove tu mi porterai, verrò.
Se ti seguirò, potrò diventare testimone di tutti i tuoi miracoli; se invece vorrò precederti, non conoscerò che la follia e il peccato.
Dove ti piacerà camminare, là io camminerò.
Gesù, per dove ti piacerà passare, là io passerò.
Mi basti tu, perché non soltanto cammini sulla mia strada, ma sei addirittura la "mia strada".
Se sarai per me via serena e pianeggiante, sii benedetto!
Se sarai sentiero affocato e polveroso, sii ugualmente benedetto!
Mi basta sapere, per la mia pace, che non sono chiamato a camminare per tante strade ma per una sola: te.
Tu sei la strada che mi conduce alla mèta: in Patria, alla Casa del Padre.
Sarò pellegrino fino a quel momento.
Allora finalmente nessuno mi comanderà di andare, né tu mi dirai più: "Vieni", ma la tua voce, fatta di amore, mi inviterà: "Rimani!".

p. Anastasio del SS. Rosario, ocd

Il carmelitano amato da Wojtyla

Raffaele Kalinowski, il carmelitano scalzo, che ricordiamo oggi, nasce a Vilnius, in Lituania, nel 1835,
E’ ingegnere militare e capitano di Stato maggiore. Lavora a ferrovie e fortezze. Partecipa, sia pur controvoglia, alla rivolta polacco-lituana contro i russi. Conosce per questo i lavori forzati in Siberia, dove porta con sé il Vangelo, l'«Imitazione di Cristo» e un crocifisso. Liberato, entra quarantaduenne nel Carmelo di Graz. Divenuto fra' Raffaele di San Giuseppe, va in Polonia, a Czerna dove passa le sue giornate esercitando per ore e ore il ministero della Confessione. Ha un carattere aperto, molto cordiale. Dalla sua permanenza in Siberia ritorna convinto della necessità di dedicarsi ai giovani, perché durante la giovinezza l’apprendimento struttura la persona e si fanno le scelte per il futuro. Cerca innanzi tutto una formazione totale dell’essere umano, spinto dall’interesse spirituale e intellettuale. La sua vita è illuminata dal Vangelo e dalla Persona di Gesù. Nella sua vita emergono in modo speciale lo spirito di carità e di riconciliazione e l’impegno profuso nella formazione, specialmente dei giovani.

Insegna ad essere coraggiosi nella perseveranza della fede, ad aver fiducia nelle difficoltà, come pure la persuasione che solo alla luce della riconciliazione proveniente da Dio si può andare incontro all’uomo e perdonare, e che per poter perdonare è necessario riconoscere di essere perdonati.

L'Ordine lo chiama a fondare nuove comunità nel Paese. L'ultima è quella di Wadowice, città che darà i natali nel 1920 a Karol Wojtyla e dove p. Raffaele morirà nel 1907.

Papa Giovanni Paolo II, molto legato a questa figura carmelitana che lo avvicinò alla nostra spiritualità,  beatifica Kalinowski il 22 giugno 1983 e lo proclama santo il 17 novembre 1991. 

È invocato come patrono dei siberiani, degli educatori, dei ferrovieri, degli ingegneri e dei giovani.

Con Giovanni della Croce ricordando i defunti dell'Ordine

 Radunati da uno stesso amore per Cristo e dall’affidamento alla Vergine Maria, i membri della famiglia del Carmelo oggi raccomanda alla misericordia di Dio i fratelli e le sorelle defunti, affinché, per intercessione della Vergine Maria, siano accolti in Paradiso.
La Liturgia di questa giornata ci propone un brano di S. Giovanni della Croce, tratto dal Cantico Spirituale:

Mi uccida la tua vista e la tua bellezza

Anticamente, i figli d’Israele, poiché non erano così forti nell’amore né così prossimi a Dio per amore, te­mevano di morire alla vista di Dio. Ma ora ormai nel­la legge di grazia in cui, quando muore il corpo, l’anim­a può vedere Dio, è più sano voler vivere poco e morire per vederlo. E se così non fosse, se l’anima amasse Dio come lo ama quella del Cantico, non te­merebbe di morire alla sua vista; infatti il vero amore riceve allo stesso modo e alla stessa maniera tutto quello che gli giunge da parte dell’Amato, che sia favo­revole o avverso, e anche gli stessi castighi, se è qualcosa che lui vuol fare, e gli procura gioia e piace­re perché, come dice san Giovanni, «la carità perfetta scaccia ogni timore» (1Gv 4,18).


Per l’anima che ama, la morte non può essere amara, poiché in essa trova tutte le dolcezze e i piaceri d’amore. Non le può essere triste il pensiero della morte, poi­ché insieme a lei tro­va la gioia; non le può essere pe­sante e penosa, perché è il coronamento di tutti i suoi patimenti e pene, e principio di tutto il suo bene. La ritiene amica e sposa, e gode del suo ricordo come se fosse il giorno del suo fidanzamen­to e delle sue nozze, e desi­dera quel giorno e quell’ora in cui deve venire la sua morte più di quanto i re della terra abbiano desiderato i regni e i principati.

Infatti, di questa caratteristica della morte il Saggio dice: «O morte, è buono il tuo giudizio per l’uomo che si sente nel bisogno» (Sir 41,3). Se essa è buona per l’uomo che si sente bisognoso delle cose di qua, non dovendo sovve­nire ai suoi bisogni, ma piuttosto spogliarlo di ciò che aveva, quanto migliore sarà il suo giudizio per l’anima che ha bisogno d’amore come questa, che sta invocando al­tro amore, poiché non solo non la spoglierà di ciò che aveva, ma piutto­sto le sarà causa del completamento d’amore che de­siderava e soddisfazione di tutti i suoi bisogni! Ha dunque ragione l’anima quando osa dire senza timo­re: «Mi uccida la tua vista e la tua bellezza», perché sa che nello stesso momento in cui la vedesse sarebbe rapita alla stessa «bellezza» e assorta nella stessa «bellezza» e trasfor­mata nella stessa «bellezza», e sa­rebbe bella come la stessa «bellezza» e dotata e arric­chita come la stessa «bellezza».

Perciò Davide dice che «la morte dei santi è preziosa alla presenza del Signore» (Sal 115,15). Non sarebbe così se essi non partecipassero delle sue stesse gran­dezze, poiché davanti a Dio non vi è nulla di prezioso se non ciò che lui è in se stesso. Perciò l’anima non teme di mo­rire quando ama, ma lo desidera; invece il peccatore teme sempre di morire perché intravede che la morte gli toglierà tutti i beni e gli darà tutti i mali; infatti, come dice Davide, «la morte dei peccatori è pessima» (Sal 33,22); e perciò, come dice il Saggio, è loro «amaro il suo ricordo» (Sir 41,1). Infatti, poiché amano molto la vita di questo mondo e poco quella dell’altro, temono molto la morte.

Invece l’anima che ama Dio vive più nell’altra vita che in questa; infatti l’anima vive di più dove ama che non dove abita, e così tiene in poca considerazione questa vita temporale. Per questo dice: «Mi uccida la tua vista e la tua bellezza».

Solennità di tutti i santi carmelitani


 In questa domenica il Carmelo ricorda anche tutti gli uomini e le donne di cui lo Spirito Santo si è degnato di rendere continuamente fe­conda la nostra famiglia spirituale. Modelli divenuti maestri di vita spirituale e testimoni della bellezza di appartenere a Cristo (cfr. Costituzioni OCD, 5.17). In questa ricorrenza, l’Ordine si stringe attor­no a questi Predecessori per ringraziare Dio e rinvigorire il suo cammino.

Al Teresianum e on line il Simposio «Oltre la tempesta» con i Mistici.

 Il diciannovesimo Simposio Internazionale di Mistica sarà celebrato nei giorni 1 e 2 dicembre 2021, dalle ore 16.00 alle 19.00. Il tema che guiderà le relazioni del Simposio è «Oltre la tempesta» con i Mistici. Aprirà i lavori, mercoledì 1 dicembre, p. Christof Berschart, Preside del Teresianum, cui seguiranno gli interventi di p. Bruno Moriconi, con una relazione dal titolo “Con Cristo sul mare in tempesta”, e di P. 

Il XIX Simposio di Mistica
potrà essere seguito
in diretta streaming
sul canale Youtube del Teresianum

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Innocent Ndimubanzi Hakizimana, che tratterà il tema: “Nel ventre della balena: Giovanni della Croce”. Concluderà la prima giornata del Simposio p. François-Marie Léthel con una trattazione sul tema “«Tanta sofferenza non sia inutile»: Lezione di Teresa di Lisieux”.  La seconda giornata del Simposio, giovedì 2 dicembre, vedrà l’iniziale intervento di p. Luis Jorge González, che tratterà il tema “L’unione con Dio: porto sicuro per servire. Santa Teresa”, cui farà seguito l’intervento di p. Emilio José Martínez González che metterà in luce il tema:  “«Tutti amici»: Per remare e tenere la barca a galla. Teresa d’Avila”. A concludere il Simposio sarà il nuovo Preposito Generale dei Carmelitani Scalzi e Gran Cancelliere della Pontificia Facoltà Teresianum, p. Miguel Márquez Calle con intervento sul tema: “«Vita nuova» con i mistici”.



Dalla musica al Carmelo: Elisabetta della Trinità.

 Oggi ricordiamo una delle figure più belle fra i modelli che il Carmelo di offre: Santa Elisabetta della Trinità. Nata domenica 18 luglio 1880, Elisabetta Catez in una baracca del campo militare d’Avor, vicino a Bourges, dove il padre, Giuseppe Francesco, è ufficiale col grado di capitano, la piccola è segnata subito da un grande dolore, la morte  il 2 ottobre 1887 del papà improvvisamente stroncato da una crisi cardiaca. Muore fra le sue braccia. Bambina molto vivace, a tratti capricciosa, Elisabetta dopo la prima comunione si addolcisce molto. Diventa riflessiva. Comincia a studiare pianoforte. 

Ama molto la musica e trascorre molte ore al piano. Spesso partecipa con successo ai concerti organizzati in città dal Conservatorio e dal grande Teatro di Digione, presso San Michele. I giornali spesso parlano di lei. Eppure la sua strada è un'altra:  “Stavo per compiere 14 anni, quando una mattina nel ringraziamento della Comunione mi sentii spinta irresistibilmente a scegliere Gesù per mio unico Sposo, e senza indugio a Lui mi legai col voto di verginità. Non ci scambiammo parole, ma ci donammo l’un l’altra in silenzio, con un amore così forte, che la risoluzione di non appartenere che a Lui divenne in me definitiva”. (S 23) 

Comincia a frequentare il monastero delle carmelitane scalze. Ma quando parla con la mamma della sua vocazione  le è proibito addirittura di frequentare il Carmelo. Elisabetta soffre, ma ubbidisce convinta che la volontà della madre è volontà di Dio... fino al giorno in cui comprende che Dio ha addolcito il cuore della madre: “…dopo colazione – scrive Elisabetta – questa povera mamma mi ha interrogata, e quando ha veduto che le mie idee erano sempre le stesse, ha pianto molto, e ha detto che a ventun’anni non mi impedirà di partire;… Quanto ho ammirato la sua rassegnazione! È stata propriamente la Madonna che mi ha ottenuto questa grazia, poiché non avevo mai trovato la mamma così. Quando le ho vedute piangere tutte e due (mamma e sorella), anch’io ho pianto a dirotto. O mio Gesù! Bisogna che siate proprio Voi a chiamarmi e sostenermi… perché il mio cuore non si spezzi. Per risparmiare loro una lacrima, tenterei tutto;… ed invece sono propriamente io che le affliggo così!”

Entra nel Carmelo di Digione il 2 agosto 1901, prendendo il nome di Elisabetta della Trinità. Nel 1905 è stata colpita dalla malattia di Addison, una morbo che la porterà alla morte il 9 novembre 1906. 
Beatificata nel 1984 da papa Giovanni Paolo II, è stata proclamata santa da papa Francesco nel 2016.


LA SOFFERENZA IN ELISABETTA DELLA TRINITA'

«se guardo le cose dal punto di vista terreno, vedo la solitudine e anche il vuoto, perché non posso dire che il mio cuore non abbia sofferto; m a se il mio sguardo rimane sempre fisso su di lui, mio astro luminoso, oh, allora tutto il resto scompare e io mi perdo in lui come una goccia d’acqua nell’oceano» (Lettera 190)

Una lettura attenta delle opere di Elisabetta, ci porta alla seguente conclusione: la sofferenza è per lei, un dono che purifica, che rende possibile una realtà nuova, una creatura nuova, con un nuovo nome, avendo come modello Maria. Il dono, accolto e vissuto in questo modo, diventa fonte di gioia. (Juan  Debono,ocd)


Il mistero della sofferenza nel cammino spirituale di S. Elisabetta della Trinità leggi qui la riflessione di p. Juan Debono.

Ricordiamo Francesco Palau e il suo amore per la Vergine

Ricordiamo oggi il b. Francesco Palau. Nato il 29 dicembre 1811 ad Aytona in Spagna, a 17 anni entrò nel seminario di Lèrida. Completato il triennio di studi filosofici e concluso il primo corso di teologia, nel 1832 passò nell'Ordine dei Carmelitani Scalzi dove l'anno successivo emise i voti. Costretto da circostanze politiche a vivere da ex claustrato, poté ricevere l'Ordinazione Sacerdotale a Barbastro nel 1836.  Dopo un lungo periodo di permanenza in Francia (1840 - 1851), ritornò in Spagna e si dedicò al ministero della predicazione e delle missioni popolari, specialmente a Barcellona e nelle Isole Baleari. Fu lì che negli anni 1860 - 1861 si occupò dell'organizzazione di alcuni gruppi femminili dando origine a quelle che oggi si chiamano le Suore Carmelitane Missionarie Teresiane e le Suore Carmelitane Missionarie. Fondò anche una famiglia di Fratelli della Carità, oggi estinta. Morì a Tarragona il 20 marzo 1872.
Durante la cerimonia della beatificazione (Basilica di S. Pietro, 24 aprile 1988) papa Giovanni paolo II disse: Un’altra personalità ecclesiale, che nella sua attività apostolica si sforzò di imitare Gesù, Buon Pastore, è il nuovo beato Francisco Palau y Quer. Questo religioso, carmelitano scalzo, fece della sua vita sacerdotale una offerta generosa alla Chiesa, gregge di Cristo. Nelle sue lunghe ore di contemplazione e nel suo apostolato, fu sempre concentrato sul mistero della Chiesa. Di essa dirà: “Nel giorno in cui sono stato ordinato sacerdote, sono stato consacrato, attraverso l’ordinazione, al tuo servizio, sono stato consegnato a te, Chiesa, e da quel giorno non appartengo più a me stesso, tuo sono e tue le mie azioni, per quanto sono e ho” (Francisco Palau y Quer “Mis relaciones con la Iglesia”, 503). Si consegna al suo servizio con entusiasmo perché la sente come una madre tenera e amorosa, e la ama come una sposa pura e santa.  
Quando la persecuzione religiosa l’obbligò a lasciare il convento carmelitano di Barcellona, si dedicò, dopo averla contemplata in solitudine a Eirissa, a studiare questo mistero di comunione che è il corpo mistico di Cristo, giungendo alla convinzione che nell’amore per la Chiesa si realizza il grande precetto cristiano dell’amore per Dio e per i fratelli.
Animato da questo amore Francisco Palau giunge ad esclamare: “La mia missione è di annunciare ai popoli che tu, Chiesa, sei infinitamente bella e amabile, e predicare che ti amino. Amore per Dio, amore per il prossimo: questo è l’oggetto della mia missione” (Francisci Palau y Quer “Mis relaciones con la Iglesia”, 341). Realizza questo lavoro di buon pastore attraverso la predicazione e le missioni popolari, e con la catechesi nella “scuola della virtù”.

Alimenta anche la devozione a Maria, che presenta come “l’archetipo perfetto della santa Chiesa” (Francisco Palau y Quer “Mis relaciones con la Iglesia”, 331).Ma l’opera prediletta del padre Palau è la fondazione del Carmelo Missionario, che si ispira alla santa riformatrice e a san Giovanni della Croce. Le sue figlie spirituali (le Carmelitane Missionarie e le Carmelitane Missionarie Teresiane) incarnano e prolungano nella Chiesa lo spirito di questo apostolo. Fedeli al suo carisma, desiderano farsi presenti “là dove la carità compie le sue azioni e funzioni”.

Secondo incontro formativo

 Nel secondo appuntamento formativo, tenutosi stamattina, è stato introdotto dall'incaricato alla formazione il Vangelo di Matteo (scarica qui), sottolineandone le differenze dagli altri sinottici e i temi che ricorrono nel suo scritto, quelli che si trovano solo in questo evangelista.  Paolo ha anche ricordato come la figura di matteo abbia ispirato molti artisti fra cui il Caravaggio. Oltre alla nota tela "La Vocazione di San Matteo è un dipinto realizzato tra il 1599 ed il 1610 dal pittore, ispirato all'episodio raccontato in Matteo 9,9-13[1]. Si trova nella Cappella Contarelli, nella chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma, c'è quella che mette in risalto proprio la sua missione di evangelizzatore e autore del Vangelo: San Matteo e l'angelo (foto qui a sinistra). La prima versione del dipinto, acquistata da Vincenzo Giustiniani, passò ai Musei di Berlino nel 1815 e fu distrutta verso la fine della seconda guerra mondiale nell'incendio della Flakturm Friedrichshain, Un'altra versione nella stessa Cappella Contarelli di San Luigi dei Francesi.
Elisabetta della Trinità
 La Presidente ha letto una riflessione sul "Regno dei cieli": l
’oggetto centrale di tutta l’opera dell’evangelista Matteo si concentra proprio con le parabole del  Regno dei cieli, infatti nel discorso della montagna Gesù ci rivela come sostiene Papa Francesco “La carta d’identità del Cristiano” dove la strada da percorrere viene indicata dalla porta stretta delle Beatitudini. E ha ricordato la santa carmelitana di cui lunedì si celebra la memoria liturgica, Elisabetta della Trinità
(scarica qui)


Ricordiamo che il prossimo 27 novembre sarà celebrato il rito di ammissione per sei nuove aspiranti all'ocds.




Josefa, una laica sui passi di Teresa

Spagnola, come Teresa di Gesù. Questa carmelitana che la Chiesa ha beatificato, ha vissuto nell'Ottocento.
Nacque l’11 dicembre 1820 ad Algemesí (Valencia, Spagna) sulle rive del fiume Jucar e dopo di lei nacquero altri cinque figli.  La famiglia era in condizioni modeste, e Josefa frequentò la scuola di una vicina di casa, dove oltre che leggere e scrivere, imparò i lavori femminili, specie il ricamo in seta ed oro.

A otto anni ricevette la Cresima e a nove la Prima Comunione. Aveva 13 anni quando morì la mamma, giovanissima (35 anni). Lasciò la scuola per occuparsi dei fratelli e una nonna di cagionevole salute. Ciò non le impedì di frequentare ogni giorno la vicina parrocchia. Qui si affidò alla guida spirituale di don Gaspare Silvestre; a 18 anni il 4 dicembre 1838 si era consacrata a Cristo con il voto di castità; praticò facendone norma di vita, i tre principi ispiratori, obbedienza, laboriosità, perseveranza. Quando nel 1847 morì la nonna, Josefa aveva 27 anni ed era la responsabile della famiglia. Fu vicina al padre  fino alla sua morte e allo zio un cristiano esemplare. Nel 1850, con la guida del parroco che la seguì per ventotto anni (1833-1860), Josefa cominciò ad organizzare incontri di lettura e formazione spirituale che teneva in casa e trasformò una camera in un vero e proprio laboratorio, dove insegnò gratuitamente alle giovani il ricamo. Un pretesto per dedicarsi anche alla formazione spirituale e all'educazione delle ragazze. Fu in effetti una “monaca di casa”, scelta fatta sin dal Settecento da tante anime elette (basti pensare alla francescana Maria Francesca delle cinque piaghe, la santa dei Quartieri napoletani), che facevano tanto bene al di fuori del chiostro. Josefa estese la sua opera d’apostolato anche ai bambini, agli ammalati e fu pacificatrice di discordie familiari. Sofferente, trascorse gli ultimi due anni di vita a letto nella sua casa di Algemesí. Morì circondata dalle sue figlie spirituali il 24 febbraio 1893. Papa Giovanni Paolo II la beatificò il 25 settembre 1988, che nell'omelia disse:  La Chiesa intona un canto di giubilo e lode a Cristo per la beatificazione di Josefa Naval Girbés, vergine secolare che dedicò la sua vita all’apostolato nel suo paese natale, Algemesi, dell’arcidiocesi di Valencia, Spagna. Donna semplice e docile al soffio dello Spirito, raggiunse nella sua lunga vita l’apice della perfezione cristiana, dedita al servizio del prossimo nei tempi per nulla facili del XIX secolo, durante i quali visse e sviluppò la sua intensa attività apostolica.

Aveva diciotto anni quando, con il beneplacito del suo direttore spirituale, fece il voto di castità. Aveva trent’anni quando nella casa della sua famiglia apre una scuola-seminario dove si formeranno umanamente e spiritualmente moltissimi giovani. Questo apostolato proseguirà nelle cosiddette “conversazioni del giardino”, mediante le quali i discepoli meglio preparati ricevevano una formazione spirituale più profonda.

Cosciente del fatto che, come più tardi avrebbe affermato il Concilio Vaticano II, “la vocazione è, per sua natura, anche vocazione all’apostolato” (Apostolicam Actuositatem, 2), Josefa si è fatta tutta a tutti, come l’apostolo san Paolo, per salvare tutti (cf. 1 Cor 9, 22). Da ciò l’impronta incancellabile lasciata nell’esercizio della sua carità. Assisteva con cura i moribondi, aiutandoli a morire in grazia di Dio. L’attenzione eroica a coloro che erano colpiti dall’epidemia di colera nel 1885, è uno dei più espressivi esempi della carità di questa anima prediletta.

Una caratteristica singolare di Josefa è la sua condizione di secolare. Essa, che riempì di discepole i conventi di clausura, rimase nubile nel mondo, vivendo i principi evangelici ed essendo esempio di virtù cristiane per tutti quei figli della Chiesa che, “dopo essere stati incorporati a Cristo col Battesimo . . . per la loro parte compiono, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano” (Lumen Gentium, 31)".