CHIAMATA DALLA SANTA MADRE FRA LE SUE FIGLIE

"Sono Teresa di Gesù e ti voglio fra le mie figliole" - "Io sono Teresa di Gesù e ti dico che fra non molto sarai nel mio monastero"
Che cosa accadde nell'animo di quella giovane studentessa dell'Educandato di sant'Apollonia che per ben due volte sentì la voce di una donna parlarel così?
Maturò il desidero della consacrazione al Carmelo. E così fu. E come la santa Madre desiderò consumarsi per amore dell'Amato.
"Bisogna restituire amore per amore".

E' una delle esortazioni di Teresa Margherita Redi, carmelitana scalza. L'amore genera anche in lei una capacità di ascolto che  la rende sensibile ad ogni suggerimento dello Spirito. Una domenica, mentre pregava in coro  l’Ora di Terza, sentì dalla lettura breve: “Deus Charitas est et qui manet in charitate, in Deo manet” (Gv. 1 4,16). 
Fu come uno scossone alla sua anima. Per giorni quella frase le risaliva dal cuore alla mente. Comprese che la vera grandezza stava nell’accettare generosamente l’Amore del Cuore di Gesù, “altro non bramo che di essere una vittima del Sacro Cuor vostro, consumata tutta in olocausto col fuoco del vostro santo Amore”. Unita a Dio anche la povera creatura come sentiva di essere era in grado di amare.

"Bisogna restituire amore per amore".

Dio esaudì il suo desiderio di consumarsi per l'Amore. Chiese al confessore il permesso di fare l’offerta della Alacoque: porre la propria volontà nella piaga del costato di Cristo ed entrare nel suo Cuore: "Mio Dio..., ora e sempre intendo racchiudermi nel tuo amabilissimo Cuore, come in un deserto, per condurvi con Te, per Te, in Te una vita nascosta di amore e sacrificio....
 
 
 
 Nata ad Arezzo il primo settembre 1747. Il primo settembre 1764 entrò quindi nel monastero di S. Teresa a Firenze, dove l'11 marzo 1765 ricevette l'abito delle Carmelitane Scalze e il 12 marzo 1766 fece la sua Professione religiosa, prendendo il nome di Teresa Margherita del Cuore di Gesù. Il 7 Marzo 1770 suor Teresa Margherita, non ancora 23enne, morì stroncata da una peritonite fulminante. Gregorio XVI decretò l'eroicità delle sue Virtù nel 1839, mentre fu Pio XI a beatificarla il 9 giugno 1929 e canonizzarla il 19 marzo 1934. I suoi resti incorrotti riposano nella chiesa delle Carmelitane Scalze a Firenze, vigilati dalla preghiera delle consorelle e dalla venerazione dei fedeli. Memoria liturgica 1 settembre.

BREVE CRONACA DEL CONGRESSO TERESIANO

Si è aperto oggi ad Avila, nella sede del CITeS, il III Congresso Internazionale Teresiano, dedicato al libro delle Fondazioni di Teresa di Gesù.
Dopo l'esposizione della copia originale del libro, in una delle sale del Centro, il direttore Francisco Javier Sancho Fermín (nella foto) ha presentato il programma del Congresso, le autorità presenti e le novità di questa terza edizione (fra cui la partecipazione di tutti i gruppi nati dal carisma teresiano). Nella sua introduzione p. Javier ha sottolineato l'attualità del messaggio di Teresa d'Avila, una donna convinta che Dio la stesse guidando passo per passo. "Anche noi dobbiamo camminare oggi come e con Teresa, a creare insieme con lei". Assieme alle autorità municipali che stanno impegnandosi per la preparazione del V centenario di Santa Teresa ,che vedrà la città di Avila accogliere molti pellegrini da tutto il mondo, il Vescovo della città natale di Teresa di Gesù ha ricordato anche la fondazione del primo monastero teresiano, di cui abbiamo festeggiato il 450esimo anniversario, divenuto un esempio per tutti i monasteri teresiani. "Una stella che risplende nei secoli", proprio come Gesù promise a Teresa.
La prima giornata si è conclusa con la lectio inaugurale del vicario generale dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi, Fr. Emilio Martinez: "Teresa fondatrice. Passato, presente e futuro di un progetto necessario", magnifica panoramica del significato e dell'attualità delle fondazioni teresiane. Un atto, quello del "fondare" che - ha spiegato p. Emilio - è ancora in fieri e che coinvolge tutti i figli di Teresa, chiamati "non al rigore, ma alla trasparenza dell'amore" che Teresa apprese dallo stesso Gesù e che ci trasmette affinché anche noi possiamo viverla con discrezione e trasmetterla ad altri. E' questo il segno di un carisma che nella Chiesa vive ancora al servizio del Signore.
Su questo blog metteremo presto on line la traduzione integrale della lectio.
 

 

Trasverberazione: l'idillio fra l'anima e Dio



LA TRASVERBERAZIONE del cuore (dal latino da trans-verberare, cioè trafiggere), è l’'esperienza mistica vissuta da s. Teresa di Gesù e da lei stessa descritta nelle sue opere.
Questa grazia che ricordiamo  liturgicamente il 26 agosto è, in particolare,  raccontata da Teresa nel capitolo 29 del Libro della Vita. Dopo aver descritto il cammino di orazione percorso, la santa, infatti, si sofferma su grazie particolari, doni sovrannaturali che spesso il Signore le dona. Uno di questi è appunto l’episodio in cui il suo cuore sarebbe stato trafitto, durante un'estasi, da un angelo con una freccia di fuoco (come è rappresentato da molti pittori e, in modo sublime, nella scultura del Bernini custodita a Roma nella cappella Cornaro della chiesa di Santa Maria della Vittoria).

Il cuore di Teresa è invece conservato in una teca ad Alba de Tormes, in Spagna, nel cui monastero la santa morì il 4 ottobre 1582.

 Fonti del tempo sostengono che, estrattole il cuore per essere conservato in un reliquiario, furono osservate proprio le cinque ferite che ella aveva descritto, attribuite alla Transverberazione, di cui una di dimensioni superiori ai 5 centimetri.

Ecco come la santa Madre racconta quest’esperienza nella autobiografia: “Il Signore, mentre ero in tale stato, volle alcune volte favorirmi di questa visione: vedevo vicino a me, dal lato sinistro, un angelo in forma corporea, cosa che non mi accade di vedere se non per caso raro. Benché, infatti, spesso mi si presentino angeli, non li vedo materialmente, ma come nella visione di cui ho parlato in precedenza.

In questa visione piacque al Signore che lo vedessi così: non era grande, ma piccolo e molto bello, con il volto così acceso da sembrare uno degli angeli molto elevati in gerarchia che pare che brucino tutti in ardore divino: credo che siano quelli chiamati cherubini, perché i nomi non me ridicono, ma ben vedo che nel cielo c’è tanta differenza tra angeli e angeli, e tra l’uno e l’altro di essi, che non saprei come esprimermi. Gli vedevo nelle mani un lungo dardo d’oro, che sulla punta di ferro mi sembrava avesse un po’ di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, così profondamente che mi giungeva fino alle viscere, e quando lo estraeva sembrava portarselo via, lasciandomi tutta infiammata di grande amore di Dio.

Il dolore della ferita era così vivo che mi faceva emettere quei gemiti di cui ho parlato, ma era così grande la dolcezza che mi infondeva questo enorme dolore, che non c’era da desiderarne la fine, né l’anima poteva appagarsi d’altro che di Dio. Non è un dolore fisico, ma spirituale, anche se il corpo non tralascia di parteciparvi un po’, anzi molto.

È un idillio così soave quello che si svolge tra l’anima e Dio, che supplico la divina bontà di farlo provare a chi pensasse che mento.

ESTASI DI SANTA TERESA. L’opera di Gian Lorenzo Bernini, realizzata nel 1646  in marmo e bronzo dorato  sembra essersi ispirata fedelmente alla descrizione che ne fa la santa. L’ “Estasi di santa Teresa” è un  capolavoro della scultura non solo del periodo barocco, sia per la resa d’insieme che sembra dar vita alla pagina teresiana, sia per la resa dei volti dell’angelo e della santa. E' il gioiello scultoreo della chiesa di Santa Maria della Vittoria a Roma (costruita dai Carmelitani Scalzi frail 1608 e il 1620), ideato e realizzato per il cardinale Cornaro di Venezia.
 

 


 

Così nacquero gli Scalzi. Attualità del carisma

Messaggio del Preposito Generale per il 450° anniversario

della riforma teresiana



Celebriamo quest’anno un anniversario particolarmente significativo: il 24 agosto si compiranno 450 anni dalla fondazione del monastero di San José di Avila, e quindi dall’inizio della riforma di Teresa. Lo stesso Santo Padre ha voluto esprimere la sua gioia e la gioia di tutta la Chiesa per questa ricorrenza, inviando, nel giorno della festa della Vergine del Carmelo, un messaggio ricco di spiritualità e dottrina teresiana.
Al pensiero che la nostra famiglia religiosa compie 450 anni di vita il primo sentimento che riempie i nostri cuori è la gratitudine al Signore per la fedeltà del suo amore, unita alla meraviglia per le grandi cose che ha operato in noi. Davvero se Teresa si è donata a Gesù, molto di più Gesù si è donato a Teresa e continua a donarsi a tutta la sua famiglia. Esortiamoci vicendevolmente a non dimenticare ("Ricorda, Israele!") quale grande grazia egli ci ha fatto col chiamarci a far parte di questa storia, a ritenerci capaci di poterla testimoniare nel presente e farla avanzare verso il futuro, in un cammino di incessante fondazione, che – come Teresa ci ha insegnato – non si può mai considerare concluso. Nessuno di noi avrebbe potuto stare in questo posto, né assumere questa responsabilità, se non gli fosse stato donato da Dio, e se in ciò non si fossero manifestati il suo amore misericordioso e la sua gratuita iniziativa.
Un altro spunto di riflessione proviene dalla considerazione del segmento più recente della nostra storia. Nel 1962 l’Ordine celebrò il quarto centenario della riforma, giusto alle soglie del Vaticano II, che avrebbe segnato, sotto molti aspetti, l’inizio di un’epoca nuova nella storia della Chiesa. Questi ultimi cinquant’anni sono una tappa del nostro cammino, che si offre alla nostra serena valutazione storiografica e al nostro discernimento spirituale. Siamo molto cambiati in questi anni, ma continua a vibrare in noi la stessa vocazione e la stessa passione dei figli e delle figlie di Teresa di Gesù. Siamo consapevoli che non ogni cambiamento ha espresso la creatività del carisma, né ogni volontà di conservazione è stata manifestazione di fedeltà autentica. Ma soprattutto constatiamo che questa nostra realtà, complessa e a volte contraddittoria, è oggi abitata da volti nuovi, da nuove generazioni nate in questi cinquant’anni, con sensibilità nuove ed esperienze diverse, provenienti da tutte le parti del mondo, le quali in essa vogliono esprimere ciò che sono e ciò che hanno, fragilità e forza, povertà e ricchezza, intuizioni e oscurità, entusiasmo della giovinezza e saggezza dell’età già matura.

Teresa aveva 47 anni quando risuonarono i primi rintocchi della campana di San José. Più di due terzi della sua esistenza terrena erano già trascorsi. A un’età che, in quel tempo assai più che nel nostro, doveva essere considerata piuttosto avanzata, ella partiva per un’avventura completamente nuova, di cui presagiva i rischi e le incognite. Sappiamo che due forze le fecero superare ogni umana e ragionevole resistenza: la forza dell’esperienza di Dio e la forza della passione per una Chiesa e un mondo in preda a uno sconvolgimento epocale. Anche oggi sono queste le forze che possono animarci e rimetterci in cammino, o piuttosto aprirci un cammino in un paesaggio che a volte ci appare come un deserto vuoto e senza strade, in cui ci sentiamo dispersi, a volte come una foresta inestricabile, in cui è impossibile trovare un varco per avanzare.
Teresa non poté contare né sull’appoggio di molti amici potenti, né su grandi risorse economiche. La sua stessa condizione di donna le era causa di innumerevoli difficoltà e limitazioni. Ci furono momenti in cui il progetto della nuova fondazione dovette sembrarle semplicemente irrealizzabile, e se ne lamentò col Signore, che le chiedeva cose impossibili (cfr. Vita 33, 11).
La storia della prima fondazione è un intreccio di fatiche, di dubbi, di persecuzioni e di ostacoli di ogni genere, ma al tempo stesso di consolazioni, di incontri provvidenziali, di aiuti inaspettati e soprattutto di certezze interiori continuamente ravvivate. Per questo il racconto di essa si trasforma da narrazione autobiografica in confessione di fede vissuta, in racconto di una storia di salvezza, la cui memoria deve essere tramandata di generazione in generazione perché ad essa si continui ad attingere forza ed ispirazione. Al destinatario del libro della Vita, il P. García de Toledo, Teresa lasciò la libertà di cancellare tutto, salvo il racconto della prima fondazione:
Pertanto supplico la signoria vostra, per amore di Dio, di strappare, nel caso lo creda opportuno, le altre parti di questo manoscritto, ma di conservare quanto riguarda questo monastero, affidandolo, dopo la mia morte, alle consorelle che staranno qui. Le nuove venute ne saranno molto incoraggiate a servire Dio e a fare il possibile, non solo perché l’opera incominciata non vada in rovina, ma perché progredisca sempre più, vedendo quanto il Signore si è adoperato per il suo compimento, mediante uno strumento imperfetto e misero come sono io
(Vita, 36, 29).
È con questo spirito che anche noi, dopo 450 anni, ritorniamo a quella esperienza fondante, da cui siamo nati. Se il Signore si è tanto adoperato perché quell’opera si compisse, continuerà a farlo perché essa non vada in rovina, ma al contrario progredisca sempre più. Teresa ci tiene a sottolineare che se tutto ciò si è potuto realizzare, ciò non è dipeso dallo strumento utilizzato, una donna imperfetta e povera come lei, ma da colui che ha voluto servirsene. Teresa non è falsamente umile, dice – come sempre – "cose verissime" (Vita 40, 3),in modo particolare riguardo a un fatto così importante come la riforma del Carmelo.
È l’opera del Signore, al cui servizio ella si è posta, non senza dubbi, angosce e resistenze. Ma alla fine la sua grazia è stata più forte.
Quest’opera voluta da Dio, questo gioiello prezioso di cui ha voluto adornare Teresa, e in lei tutta la Chiesa (mi riferisco alla famosa visione narrata in Vita 33, 14), è ora posto nelle nostre mani.
 Che cosa ne faremo? Quale sarà la nostra risposta all’appello che ci giunge dalle pagine autobiografiche della Santa Madre? Tante volte oggi parliamo della crisi della vita religiosa, delle sue difficoltà dovute – specialmente in Occidente – alla mancanza di vocazioni e all’invecchiamento delle comunità, ma anche e ancor di più a una generale perdita di motivazioni e a una crisi di identità. Non voglio minimizzare questi problemi, di cui facciamo esperienza quotidianamente, tanto più coloro che sono stati chiamati al servizio dell’autorità. Senza dubbio la crisi che stiamo vivendo è epocale e non si potrà uscire da essa senza intuizioni nuove e cambiamenti profondi.
Ma la domanda che mi sembra essenziale è: da dove potranno venire queste intuizioni nuove?
Dove attingeremo forza per i cambiamenti che i tempi richiedono?
Ho notato che in questo periodo di crisi economica sta riscuotendo molto successo un pensiero che Albert Einstein scrisse  all’indomani della grande crisi del 1929. Lo si trova citato in una infinità di siti web, di blog e perfino l’ho trovato in una lettera che una consorella mi ha inviato. Scriveva Einstein nel 1935:
La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi.
La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere ‘superato’.
Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è la crisi dell’incompetenza.
L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. È nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.
Sono certamente parole di stimolo e di speranza, che invitano a rialzarsi e a dare il meglio di sé, senza lasciarsi vincere dalla paura e dallo scoraggiamento. È possibile che per l’economia e per la politica queste parole colgano nel segno e indichino la via giusta per uscire dalla crisi. Ciononostante, non mi pare che si possa dire lo stesso riguardo alla crisi della vita religiosa e della vita spirituale. Fare appello alle risorse della volontà e dell’intelligenza dell’uomo è giusto, invitare a elaborare progetti efficaci e a sviluppare una creatività che renda capaci di affrontare le sfide del presente, ha un senso e una indiscutibile ragionevolezza. E tuttavia, dobbiamo essere coscienti che non saranno i nostri progetti a salvarci. Abbiamo bisogno di bere a una fonte d’acqua viva, che sgorga da una vena molto più profonda, dove l’uomo non fa, ma si lascia fare, dove non sceglie, ma accetta di essere scelto, dove non sperimenta la sua sapienza e forza, ma la sua stoltezza e debolezza. La via d’uscita non si trova cercando di tornare indietro, alla situazione precedente la crisi, o di proiettarsi in avanti, ma approfondendo la crisi presente, scendendo fino alle sue radici, in quelle profondità dove le cose si vedono diversamente, l’agitazione e la paura si placano e la preghiera del povero comincia a innalzarsi più pura, più umile e più vera. Da essa possiamo riprendere il cammino.
Questa via che va verso il basso e che Teresa ha percorso e ha continuato a percorrere fino all’ultimo giorno della sua vita, la via del mistero pasquale, la si può imboccare solo quando si è sperimentato che tutte le altre vie sono vicoli ciechi o sentieri che si perdono nel nulla. È un cammino che ha come bastone la preghiera e come bisaccia la perdita di sé, e per questo assomiglia al cammino dei discepoli di Gesù, chiamati ad abbandonare tutto per andar dietro a colui in cui credono e da cui sperano tutto. Un cammino in cui – come scriveva il beato Newman nella sua magnifica poesia "La colonna di nube" – non si pretende di vedere in lontananza, ma solo quel piccolo passo che ogni giorno siamo chiamati a fare.
È forse questo "il poco che dipende da noi", che Teresa ha scelto di compiere nel momento in cui ha preso coscienza della gravità della situazione in cui la Chiesa e il mondo si trovavano e della missione che il Signore le stava affidando. So che può sembrare davvero molto poco, ma è proprio il poco e il piccolo, per non dire il nulla, ciò da cui Dio crea il tutto. E di questo noi abbiamo il dovere di essere testimoni, con Teresa e come Teresa lo è stata a partire da quel lontano eppure vicinissimo 24 agosto 1562.
Fr. Saverio Cannistrà, ocd
Prepósito Generale.

Albino, Teresa, un soldo e Dio

Il 17 ottobre saranno 100 anni dalla nascita di Papa Luciani e nel Bellunese, sua terra d'origine, sono già cominciate varie manifestazioni celebrative. Anche noi vogliamo ricordare la figura di papa Giovanni Paolo I che nel suo libro "Illustrissimi" dedica una bellissima lettera alla nostra santa Madre. Eletto al soglio pontificio il giorno della Trasverberazione del cuore di Teresa di Gesù, il 26 agosto del 1978, visse soltanto altri 33 giorni. Di seguito riportiamo integralmente, ciò che scrisse immaginando di rivolgersi direttamente alla santa di Avila, e vi invitiamo a leggere, dal sito della Santa Sede, le sue quattro uniche catechesi delle udienze generali su  umiltà, fede, speranza e carità:

Teresa, un soldo e Dio

     Cara Santa Teresa, Ottobre è il mese della vostra festa: ho pensato che mi permettereste di intrattenermi per iscritto con Voi. Chi guarda a! famoso gruppo marmoreo, nel quale il Bernini vi presenta trasverberata dalla freccia del Serafino, pensa alle vostre visioni ed estasi. E fa bene: la Teresa mistica dei rapimenti in Dio è pure una vera Teresa. Ma è vera anche l’altra Teresa, che mi piace di più: quella vicina a noi, quale risulta dall’autobiografia e dalle lettere. E’ la Teresa della vita pratica; che prova le stesse nostre difficoltà e le sa superare con destrezza; che sa sorridere, ridere e far ridere; che si muove con spigliatezza in mezzo a! mondo ed alle vicende più diverse e tutto ciò in grazia delle abbondanti doti naturali, ma più ancora della sua costante unione con Dio. Scoppia la Riforma protestante, la situazione della Chiesa in Germania e in Francia è critica. Voi ve ne accorate e scrivete: "Pur di salvare un’anima sola delle molte che là si perdevano, avrei sacrificato mille volte la vita. Ma ero donna!". Donna! ma che vale venti uomini, che non lascia intentato alcun mezzo e che riesce a realizzare una magnifica riforma interna e con l’opera e gli scritti influisce su tutta la Chiesa; la prima e l’unica donna che, con Santa Caterina, sia stata proclamata Dottore della Chiesa! Donna dalla lingua schietta e dalla penna forbita e tagliente. Avevate un altissimo concetto della missione delle monache, ma avete scritto a padre Graziano: "Per amor di Dio, badi bene a quello che fa! Non creda mai alle monache, perché se esse vogliono una cosa, tentano tutti i mezzi possibili". E a padre Ambrogio, rifiutando una postulante, dite: "Lei mi fa ridere, dicendomi di avere compreso quell’anima solo a vederla. Non è tanto facile conoscere le donne!". E’ vostra la lapidaria definizione del diavolo: "Quel povero disgraziato, che non può amare". A don Sancho Davila: "Distrazioni nella recita dell’Ufficio divino ne ho anch’io... me ne sono confessata da padre Domenico (Bañez, teologo famoso, n.d.a.), il quale mi ha detto di non farne caso. Altrettanto dico a lei, perché il male è incurabile". E’ un consiglio spirituale, questo, ma di consigli ne avete sparsi a piene mani e di tutti i generi; a padre Graziano, avete perfino dato il consiglio di cavalcare nei suoi viaggi un ciuco più dolce, che non avesse il vezzo di scaraventare i frati a terra, oppure di farsi legare al ciuco stesso per non cascare! Insuperabile, però, apparite nel momento della battaglia. Il Nunzio, nientemeno, vi fa rinchiudere nel convento di Toledo, dichiarandovi "femmina inquieta, vagabonda, disobbediente e contumace...". Ma dal convento vostri messaggi a Filippo II, a principi e prelati sciolgono ogni matassa. Vostra conclusione: "Teresa da sola vale nulla; Teresa e un soldo valgono meno di nulla; Teresa, un soldo e Dio possono tutto!".

Per me, Voi siete un caso notevole di un fenomeno, che si ripete regolarmente nella vita della Chiesa Cattolica. Le donne cioè, di per sé, non governano, questo appartiene alla Gerarchia, ma molto spesso ispirano, promuovono e talvolta dirigono. Da una parte, infatti, lo Spirito “spira dove vuole”; dall’altra, la donna è più sensibile alla religione e più capace di darsi generosamente alle grandi cause. Di qui la schiera grandissima di sante, di mistiche e di fondatrici apparse nella Chiesa Cattolica. Accanto ad esse bisognerebbe annoverare le donne, che hanno avviato movimenti ascetico-teologici, i quali influirono su raggio molto vasto. La nobile Marcella, che diresse sull’Aventino una specie di convento composto di patrizie ricche e colte, collaborò con San Girolamo alla traduzione della Bibbia. Madame Acarie influenzò illustri personaggi come il gesuita Coton, il cappuccino de Canfelt, lo stesso Francesco di Sales e molti altri, influendo su tutta la spiritualità francese del primo Seicento. La principessa Amalia di Gallitzin, dal suo “Circolo di Münster”, apprezzato perfino da Goethe, diffuse su tutta la Germania settentrionale una corrente di vita intensamente spirituale. Sofia Swetchine, russa convertita, nel primo Ottocento, apparve in Francia la “direttrice spirituale” dei laici e dei sacerdoti più rappresentativi. Potrei citarne altri casi, ma ritorno a Voi che, più di figlia, siete stata madre spirituale di San Giovanni della Croce e dei primi Carmelitani riformati. Oggi è tutto chiaro e liscio in proposito, ma ai vostri giorni ci fu lo scontro sopra accennato. Da una parte c’eravate Voi, ricca di carismi, forze ardenti e luminose concessevi per la Chiesa di Dio; dall’altra c’era il Nunzio ossia la Gerarchia che doveva giudicare l’autenticità dei vostri carismi. In un primo momento, poste le informazioni distorte, il giudizio del Nunzio fu negativo. Una volta date le necessarie spiegazioni ed esaminate meglio le cose, queste si chiarirono: la Gerarchia approvò tutto e i vostri doni poterono espandersi a favore della Chiesa.


Una coraggiosa figlia di Teresa

“Se siamo abbandonate a Lui, Egli faccia ciò che vuole di noi”.

Una delle figlie di Teresa d'Avila che ben incarnò il suo carisma fu la beata che si ricorda oggi: Maria Sagrario di San Luigi Gonzaga (1881-1936), entrata nel Carmelo di Sant'Anna e san Giuseppe di Madrid nel 1915, dopo aver ottenuto il titolo di farmacista municipale (mai ottenuto prima da una donna).  Si dedicò agli altri anche all'interno del Carmelo con uno spirito di orazione e di carità davvero particolari. Eletta Priora della sua comunità, durante la guerra civile spagnola, desiderò immolarsi e il 15 agosto 1936 affrontò coraggiosamente e con grande fede il martirio, dopo un giorno incessanti interrogatori,  nella prigione repubblicana di via Marqués del Riscal, ai quali non rispose, ma  scrisse su un foglio “Viva Cristo Re” . Trasportata nella Padrera de San Isidro, nelle prime ore del mattino fu fucilata. Aveva 45 anni.
Il motto che da bambina aveva accompagnato i suoi capricci "deve essere così" divenne il segna di quella determinada determinaciòn che assimilò dalla spiritualità del Carmelo Teresiano in cui seppe così bene e umilmente integrarsi.

Quel giorno dell'Assunzione di Maria ...

Riportiamo, dal Libro della Vita il paragrafo 14 del capitolo 33, in cui la nostra madre Teresa racconta di una particolare visione avvenuta il giorno in cui si celebrava la festa dell'Assunzione in cielo della Madre di Dio.

"In quello stesso tempo, il giorno dell’Assunta, in un convento dell’Ordine del glorioso san Domenico, stavo meditando sui molti peccati che in passato avevo lì confessato e su altre cose della mia vita miserabile, allorché fui presa da un rapimento così grande che mi trasse quasi fuori di me. Mi sedetti e mi pare di non aver neppure potuto vedere l’elevazione né seguire la Messa, tanto che poi me ne rimase lo scrupolo. Mentre ero in questo stato, mi sembrò di vedermi rivestire di una veste bianchissima e splendente e, al principio, non vidi chi me la ponesse. In seguito scorsi alla mia destra nostra Signora e alla sinistra il mio padre san Giuseppe che me la metteva indosso e capii che ero ormai purificata dei miei peccati. Vestita che fui e piena di grandissima felicità e gioia, mi parve che nostra Signora mi prendesse le mani, dicendomi che la mia devozione al glorioso san Giuseppe le faceva molto piacere, che la fondazione del monastero da me desiderata si sarebbe fatta e che in essa nostro Signore ed entrambi loro due vi sarebbero stati fedelmente serviti; che non temessi vi potesse mai essere in ciò un’incrinatura, anche se la giurisdizione sotto cui mi trovavo non fosse di mio gusto, perché essi ci avrebbero protette e che già suo Figlio ci aveva promesso di stare sempre con noi; come pegno che ciò si sarebbe avverato mi dava un gioiello. Mi parve, infatti, che mi mettesse al collo una bellissima collana d’oro, da cui pendeva una croce di grande valore. Quest’oro e queste pietre sono così diversi da quelli della terra che non si possono fare paragoni: la loro bellezza è assai lontana dal potersi qui immaginare; l’intelletto non arriva a capire la materia di cui è fatta la veste, né ad avere un’idea del candore di cui Dio la fa risplendere, di fronte al quale quello di quaggiù sembra un qualcosa di fuligginoso, per così dire".

La preghiera di Charles de Foucauld a Teresa di Gesù

"Capisco quanto lei gusti la vita di questa grande santa...Santa Teresa è uno di quegli autori che diventano il nostro pane quotidiano", così Charles del Foucauld scrisse ad un  amico, come riferisce Emmanuel Renault in "Teresa d'Avila e l'esperienza mistica", che gli aveva confidato di aver letto l'Autobiografia della santa e, dopo quell'opera, di avre cominciato a leggere altre sue opere.

Parole che rivelano quanto anche per il frate - che prima di scoprire la propria vocazione, aveva ritrovato la fede a 28 anni dicendo a se stesso «Come credetti che c’era un Dio, compresi che non potevo far altro che vivere per Lui solo» la lettura delle opere di Teresa di Gesù, cominciata per caso nel 1988, sia stata importante. Sembra addirittura che si sia offerto di ricopiarne alcune pagine per alcune claustrali clarisse.

Il 15 ottobre 1898 dedica alla santa Madre una preghiera:

"O cara madre, santa Teresa,

Quando Teresa fu "incoraggiata" da S. Chiara

L'11 agosto 1562 nel monastero dell’Incarnazione di Avila le monache partecipano alla celebrazione eucaristica. Tra loro c’è Suor Teresa de Ahumada. È la vigilia di un evento importante: la fondazione di un nuovo monastero carmelitano, organizzato secondo il rigore originario della Regola di Sant’Alberto e destinato a vivere “per la Chiesa e per la redenzione delle anime” . Poco prima della comunione Suor Teresa ha una visione. Ecco come la racconta nel LIBRO DELLA Vita, la sua autobiografia:

 Il giorno di santa Chiara, mentre stavo per comunicarmi, mi apparve questa santa splendente di bellezza; mi disse di sforzarmi d’andare innanzi nell’opera intrapresa, perché ella mi avrebbe aiutata. Cominciai a nutrire per lei una grande devozione, tanto più che le sue promesse sono risultate così veritiere che un monastero di suore del suo Ordine, vicino al nostro, ci aiuta a mantenerci. E la cosa più importante è che, a poco a poco, ha perfezionato a tal punto il mio desiderio di rinuncia a tutto che la povertà osservata da questa gloriosa santa nella sua casa si osserva anche da noi e viviamo di elemosina. Non mi è costato poca fatica ottenere l’autorizzazione del santo Padre a mantenerci salde in questa Regola, senza discostarcene né aver mai rendite. Il Signore fa molto di più e lo si deve forse alle preghiere di questa santa gloriosa perché, senza esserne richiesto, ci provvede completamente di tutto il necessario. Sia egli benedetto per ogni cosa! Amen. (Vita 33,13)”

È dunque anche grazie all’intercessione della santa di Assisi che Teresa di Gesù fondò il suo primo monastero di stretta clausura, quello di San Giuseppe, inaugurato il 24 agosto 1562. Così a 800 anni dalla consacrazione della santa di Assisi ricordiamo i 450 della riforma teresiana. Due sante molto diverse, vissute in due epoche molto diverse. Eppure dalla clarissa di San Damiano, Teresa sente  non solo di poter ricevere la protezione celeste, ma anche l’ispirazione per lo stile di vita con cui dar vita a una nuova, piccola comunità. Così, rivolta alle consorelle del monastero di San Giuseppe, alle quali insegna il cammino di orazione, Teresa spiega che l’orazione non può prescindere da uno stile di vita  votato all’umiltà, all’amore vicendevole e al distacco. E parla loro di povertà:  

Ecco le armi che devono figurare sulle nostre bandiere e che dobbiamo custodire in ogni circostanza, in casa, nel modo di vestire, nelle parole e soprattutto nel pensiero. Finché vi atterrete a questa norma, non temete che abbia a decadere l’osservanza della Regola in questa casa, col favore di Dio, perché, come diceva santa Chiara, forti mura sono quelle della povertà. Di queste mura – ella diceva – e di quelle dell’umiltà voleva veder recinti i suoi monasteri, e certamente, se si osserva davvero questa pratica, l’onore del monastero e tutto il resto viene salvaguardato molto meglio che non con sontuosi edifici. Guardatevi bene dal costruirne di tali, ve ne scongiuro in nome di Dio e del suo sangue e, se posso dirlo in tutta coscienza, mi auguro che crollino il giorno stesso in cui siano costruiti. (Cammino di perfezione, 2,8)”
Nel Libro della vita, nei capitoli (32-36) in cui ripercorre la fondazione del primo monastero riformato la santa Madre commenta  Contemplando Cristo in Croce, così povero e nudo, non potevo sopportare di essere ricca, per cui lo supplicai con le lacrime agli occhi di far sì che io divenissi povera come Lui” (Vita 35,3).
Forse Teresa non ha mai letto le parole di Chiara d’Assisi ad Agnese di Praga, ma la sintonia spirituale c’è ed è forte.

 « In questo specchio rifulge la beata povertà, la santa umiltà e l'ineffabile carità. Contempla lo specchio in ogni parte e vedrai tutto questo.Osserva anzitutto l'inizio di questo specchio e vedrai la povertà di chi è posto in una mangiatoia ed avvolto in poveri panni. O meravigliosa umiltà, o stupenda povertà! Il Re degli angeli, il Signore del cielo e della terra è adagiato in un presepio!Al centro dello specchio noterai l'umiltà, la beata povertà e le innumerevoli fatiche e sofferenze che egli sostenne per la redenzione del genere umano.Alla fine dello stesso specchio noterai l'umiltà, la beata povertà e le innumerevoli fatiche e sofferenze che egli sostenne per la redenzione del genere umano. Alla fine dello stesso specchio potrai contemplare l'ineffabile carità per cui volle patire sull'albero della croce ed in esso morire con un genere di morte di tutti il più umiliante. »
L’invito di entrambe è a tenere gli occhi fissi su di Lui, sempre.

Stefania ocds